Quando chiudono gli occhi e ripensano a un amico, alla propria casa o a un oggetto qualsiasi, alcune persone non vedono nessuna immagine. Come un computer senza schermo. Questa condizione si chiama afantasia ed è molto più comune di quanto sembri.
Quando chiudono gli occhi e ripensano a un amico, alla propria casa o a un oggetto qualsiasi, alcune persone non vedono nessuna immagine. Come un computer senza schermo. Questa condizione si chiama afantasia ed è molto più comune di quanto sembri.“Le relazioni a distanza, nel migliore dei casi, non sono semplici. Ma, quando io e la mia ragazza ci siamo dovuti trasferire per lavoro ai due capi opposti degli Stati Uniti, abbiamo affrontato un ostacolo che incontrano in pochi. Non riuscivo a immaginare il suo viso”.
Inizia così il racconto autobiografico di Dustin Grinnell, scrittore americano affetto da un disturbo che in pochi avranno sentito nominare, eppure esiste eccome: l’afantasia, cioè l’incapacità di immaginare.
Che cos’è l’afantasia?
L’etimologia della parola ci dà qualche indizio. La phantasia, dal greco phaino (mostrare), è un concetto molto caro ad Aristotele, che la descrive come una via di mezzo tra il pensiero e la percezione. Anche se una cosa o una persona non è più con noi, possiamo comunque ricreare la sua immagine mentale. Basta aggiungere un’alfa, con valore di privazione, ed ecco l’aphantasia.
Chi soffre di questo disturbo percepisce le persone e le cose che lo circondano esattamente come tutti gli altri, ma è incapace di rappresentarle visivamente nella propria mente. Per fare un esempio banale, sa che un pallone da calcio è sferico, fatto di cuoio e suddiviso in pentagoni bianchi e neri; ma, quando chiude gli occhi e prova a pensarci, non vede nulla. Un po’ come un computer senza schermo.
Le origini del disturbo: lo studio di Francis Galton
Era il 1880 quando l’esploratore, climatologo e antropologo britannico Francis Galton ha chiesto a un gruppo di conoscenti di raffigurarsi seduti al tavolo della colazione. Quanto era nitida questa scena nella loro mente, in termini di luce, definizione e colori del tavolo e degli oggetti posati su di esso? Ad alcuni – come suo cugino Charles Darwin – sembrava di avere davanti a sé una fotografia precisa fino ai minimi dettagli. Per altri, il buio totale. Questo esperimento è stato descritto in un articolo pubblicato dalla rivista Mind, il primo a indagare con gli strumenti della scienza il tema delle immagini mentali.
Le ricerche più recenti
Sembrerà curioso, ma per lunghi decenni l’afantasia è stata pressoché ignorata dal mondo medico e scientifico. Le cose sono cambiate nel 2003, quando ad Adam Zeman, neurologo e professore dell’università di Exeter, è stato sottoposto il caso di MX, un paziente che aveva perso la capacità di immaginare a seguito di un intervento chirurgico al cuore. Da qui ha preso il via un fittissimo percorso di studio e ricerca che ci ha insegnato praticamente tutto ciò che sappiamo sull’argomento.
Rispetto all’epoca di Galton, Zeman aveva a disposizione molti strumenti tecnologici in più. Come la risonanza magnetica dell’encefalo, un esame che consente di vedere quali aree del cervello rispondono agli stimoli ricevuti. Quando per esempio guardiamo un albero, nella nostra testa si attiva un determinato gruppo di neuroni; quando ripensiamo all’albero accade lo stesso, ma con un’intensità inferiore.
Cosa succedeva nel cervello di MX? Quando osservava le foto di personaggi famosi, come l’ex-premier britannico Tony Blair, i neuroni corrispondenti si accendevano normalmente. Nel momento in cui però gli veniva chiesto di ripensare a loro, la risonanza magnetica non captava nulla. Il paziente sapeva rispondere a domande sul colore dei suoi occhi o altri suoi tratti fisici, ma solo perché li aveva memorizzati. Troviamo qualche dettaglio in più in un articolo pubblicato da Neuropsychologia.
I sintomi dell’afantasia
Il vero, grande sintomo dell’afantasia è quello che abbiamo descritto fin qui: l’incapacità di ricreare un’immagine mentale di ciò che non si vede con gli occhi. Anche se sono persone familiari o oggetti comuni, come un letto o una mela. Ad alcuni questa facoltà manca del tutto, ad altri risulta molto più debole rispetto alla norma. Esistono alcuni test psicologici che aiutano a diagnosticare una possibile condizione di afantasia; sono paragonabili a quelli per il quoziente intellettivo (QI) e sono disponibili gratuitamente online.
Dagli studi condotti nel tempo è emerso che le persone afantasiche possono mostrare difficoltà a sognare, immaginare, ricordare o a riconoscere i volti. Viceversa, possono anche sviluppare abilità logiche, matematiche e verbali superiori alla media. Un esempio da manuale è il medico e professore britannico Oliver Sacks, autore di indimenticabili best seller come “L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello”. Già, anche lui era affetto da afantasia!
Come si comporta il cervello
La domanda viene spontanea: come funziona il cervello di una persona incapace di immaginare? C’è un meccanismo che a un certo punto si inceppa? Se sì, quale?
Curioso di capire qualcosa di più su sé stesso e sul motivo per cui alcuni esercizi gli risultavano più facili di altri, lo scrittore Dustin Grinnell ha interpellato un neuroscienziato. Quest’ultimo gli ha spiegato che il nostro cervello ha a disposizione diverse strade per formare le immagini mentali. È come se alle persone afantasiche fossero stati disattivati i circuiti neurali che regolano la visione. Quando gli viene chiesto di eseguire un compito che in teoria li dovrebbe coinvolgere, il loro cervello però non si arrende ma sceglie un percorso alternativo (interpellando, per esempio, i circuiti che controllano il movimento fisico).
Le possibili cause
Proprio come nel caso del celebre paziente MX, reduce da un intervento al cuore, l’afantasia può essere la conseguenza di un trauma o di uno stato di depressione. Eppure, appena ha iniziato a rendere noti i suoi studi, il dottor Zeman è stato contattato da decine di persone che sostenevano di esserne affette da sempre. Ha capito così che nella maggior parte dei casi non c'è una causa specifica, ma è semplicemente una condizione che accompagna una persona per tutta la vita. Esiste anche il fenomeno opposto, cioè l’iperfantasia, caratterizzata da un’immaginazione molto più vivida della media.
Non essendo una patologia vera e propria, al momento non è stata trovata nemmeno una cura per l’afantasia. Alcuni pazienti sono stati sottoposti a esercizi per “allenare” l’immaginazione, ma sulla loro efficacia non è ancora stata detta l’ultima parola.
Come convivere con l’afantasia
Soprattutto se non ne abbiamo mai sentito parlare, possiamo restare sbalorditi nello scoprire che circa il 2-3% della popolazione potrebbe essere affetto da afantasia, stando ad alcuni studi scientifici. La stragrande maggioranza di queste persone vive una vita perfettamente normale. Trattandosi di una condizione innata, infatti, molti non se ne rendono nemmeno conto fino a quando non accade un episodio particolare che la porta alla luce.
Ora che c’è una maggiore consapevolezza di questa condizione, coloro che la vivono in prima persona si incontrano su Facebook e Reddit per scambiarsi consigli, racconti e riflessioni. E, perché no, anche per scherzarci su.
Foto apertura: hootie/123rf.com