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Salute mentale, l'approccio per superare lo stigma sociale

Si ammette con serenità di doversi assentare dal lavoro per una gamba rotta, ma non perché si è in cura per la depressione. Questo avviene perché la salute mentale, ad oggi, in certi contesti è ancora un tabù. Cerchiamo di capire come scardinare questo muro di stereotipi.

Si ammette con serenità di doversi assentare dal lavoro per una gamba rotta, ma non perché si è in cura per la depressione. Questo avviene perché la salute mentale, ad oggi, in certi contesti è ancora un tabù. Cerchiamo di capire come scardinare questo muro di stereotipi.

“Sono terrorizzata che in ufficio vengano a sapere che mi curo per la depressione”, racconta Marta. “I capi diffiderebbero di me e cercherebbero di emarginarmi, ma anche dai colleghi e pure le colleghe riceverei frecciate o atti di comprensione più fastidiosi”. Ribatte Franco: “Le prescrizioni dello psichiatra non le passo da trascrivere al medico di base che le renderebbe gratuite, no, perché lui mi conosce e potrebbe parlare. Per lo stesso motivo vado a comprare le medicine in farmacie lontane da casa, dove nessuno mi conosce. E, naturalmente, le pago a prezzo pieno”. Marta e Franco (nomi di fantasia), le cui testimonianze sono raccolte dalla Fondazione Veronesi, soffrono di disturbi mentali. Come migliaia, anzi, milioni di altre persone in Italia. E, oltre a dover gestire la propria salute, si trovano a fare i conti con uno stigma sociale ancora molto presente.

I pregiudizi sulla salute mentale 

Se persone come Marta e Franco vivono con vergogna la propria condizione è perché sono consapevoli di quanto certi stereotipi siano radicati. In occasione del Festival della Salute Mentale RO.MENS del 2022, Bva Doxa ha condotto un’indagine su un campione di mille individui per l’Asl Roma 2. 

Otto su dieci dichiarano di avere avuto a che fare con persone che hanno sintomi legati alla salute mentale, a testimonianza di quanto siano diffusi. Nonostante ciò, il 65% degli intervistati crede che le persone con disturbi mentali siano pericolose per se stesse e il 48% che lo siano anche per gli altri, perché possono diventare aggressive e violente (55%), non rispettare le regole sociali condivise (49%) ed essere poco autonome nel lavoro (46%).

Una descrizione negativa che, sottolinea però l’organizzazione del festival, “non è suffragata da evidenze scientifiche statistiche” e “rappresenta un ostacolo verso i percorsi terapeutico-riabilitativi e di inclusione sociale, dalla ricerca di abitazioni e di lavoro ai rapporti emotivi e relazionali”.

Quante persone soffrono di disturbi mentali

Che il disturbo mentale non sia una pericolosa eccezione, bensì un qualcosa di presente nella nostra società, lo dicono i numeri. Nel 2019, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, 970 milioni di persone convivevano con un disturbo mentale, cioè un abitante del Pianeta su otto. Al primo posto ci sono disturbi d’ansia e depressione, che coinvolgono rispettivamente 301 e 280 milioni di individui, con una quota considerevole di bambini e adolescenti. Numeri che peraltro sono già stati superati, perché lo scoppio della pandemia ha portato a un drastico incremento dei sintomi e delle diagnosi. 

Più contenuti, ma sempre consistenti, i dati sul disturbo bipolare (di cui soffrono 40 milioni di persone nel mondo, sempre nel 2019), sulla schizofrenia (24 milioni di persone, una su trecento), sui disturbi alimentari (14 milioni di persone, di cui 3 milioni sono bambini o adolescenti). Altri 40 milioni soffrono di un disturbo della condotta. Questi sono soltanto i problemi più comuni e facilmente diagnosticabili. Restano fuori da questo conteggio, per esempio, il disturbo post traumatico da stress, i disturbi del neurosviluppo e così via.

La salute è anche salute mentale 

Sono numeri paragonabili a quelli di patologie come il diabete (di cui soffrono 422 milioni di persone nel mondo), l’ictus (15 milioni di casi ogni anno), il cancro al seno (7,8 milioni di donne, nel 2020, avevano ricevuto una diagnosi nei cinque anni precedenti). Ma come mai si può dire a voce alta e senza tentennamenti di doversi assentare dal lavoro per una bronchite o una gamba rotta, ma non si ammette con altrettanta serenità di essere in cura per la depressione o per la schizofrenia? 

Nell’opinione comune, sembra esserci una frattura netta tra la salute mentale, di competenza della psicologia e della psichiatria, e la salute fisica, appannaggio della medicina. In realtà, la definizione di salute (e di salute mentale) data dall’Oms ci fa capire che non è così. La sua Costituzione infatti descrive la salute come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente come “assenza di malattie o infermità”. Insomma, non esistono gerarchie, né scale di priorità. Di fronte a qualsiasi problema che comprometta il suo benessere, dunque, ogni persona ha il diritto di trovare comprensione e aiuto

Come chiedere aiuto 

L’aiuto, per l’appunto, è un altro grande tema. Il dibattito tutto italiano sul bonus psicologo, introdotto nel 2022 e poi rinnovato ma con una dotazione largamente insufficiente rispetto alla domanda, ha quanto meno squarciato il velo su una realtà: chiedere supporto a un professionista ha un costo. Questo è forse l’ostacolo più sentito dai giovani, più aperti e consapevoli nei confronti della salute mentale rispetto alle generazioni che li hanno preceduti ma, al tempo stesso, più soli. Oltretutto, essere ancora studenti o all’inizio della propria carriera significa avere un reddito ancora precario, oppure non averlo proprio; e, quando mancano le risorse economiche, la strada è in salita già in partenza. 

Che fare, dunque, se si sente di non poter fare tutto da soli? Ci sono scuole e aziende che offrono uno sportello psicologico a cui rivolgersi nell’anonimato. Se non si ha questa opportunità, o se si preferisce rivolgersi a un volto già conosciuto, il primo interlocutore è il medico di base, che conosce bene i servizi sul territorio. Stiamo parlando di consultori familiari, centri psico sociali e ambulatori psichiatrici che, dopo la presa in carico, propongono un percorso individualizzato. Perché ciascuno ha la sua storia, le sue esigenze e le sue necessità. Ma tutti hanno il diritto di stare bene. 

Foto copertina: starush/123rf.com