Il bonus psicologo basterà per riportare la giusta attenzione sul benessere psicologico, messo a dura prova da questi due anni di pandemia? Ne abbiamo parlato con Davide Baventore, vicepresidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia.
Il bonus psicologo basterà per riportare la giusta attenzione sul benessere psicologico, messo a dura prova da questi due anni di pandemia? Ne abbiamo parlato con Davide Baventore, vicepresidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia.Tagliato fuori dalla legge di bilancio, il bonus psicologo è ricomparso sotto forma di emendamento al decreto Milleproroghe. Il governo ha stanziato circa 20 milioni di euro: 10 serviranno per rafforzare le strutture sanitarie pubbliche, gli altri 10 verranno erogati appunto sotto forma di voucher a chiunque abbia bisogno di sostegno da parte di uno psicologo. Il suo importo sarà legato all’Isee e in ogni caso non potrà superare i 600 euro pro capite, l’equivalente di una decina di sedute. Ma non è da escludere che qualche dettaglio possa cambiare, visto che la misura deve ancora essere discussa alla Camera e al Senato.
Il bonus basterà per riportare la giusta attenzione sul benessere psicologico, messo a dura prova da questi due anni di pandemia? Ne abbiamo parlato con Davide Baventore, vicepresidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia. E ne abbiamo approfittato anche per un piccolo fack checking su alcuni falsi miti legati alla professione dello psicologo.
Dopo un lungo iter, e con un budget ridimensionato, il bonus per la salute mentale è stato inserito nel decreto Milleproroghe. Qual è la sua opinione in merito?
L’opinione naturalmente è positiva, perché apprezziamo il significato di quest’iniziativa. Il legislatore ha dato un bel segnale, valorizzando il tema del benessere psicologico in un’ottica più vasta, non più limitata alle forme di grave disagio. Avremmo sperato in un budget più elevato, come proposto inizialmente. Rispetto alle modalità è ancora presto per esprimersi, perché il testo deve ancora passare al vaglio delle Camere e non sappiamo se verrà approvato in questa forma.
Sappiamo che la pandemia ha fatto emergere grandi difficoltà dal punto di vista psicologico. Ma queste difficoltà si sono tradotte anche in un aumento delle richieste di aiuto ai professionisti?
L’aumento delle richieste è assolutamente riscontrabile, sia nelle strutture del sistema sanitario sia nel mondo libero professionale. Contemporaneamente dobbiamo registrare il fatto che molte persone – quantomeno quelle che si rivolgevano al privato – sono state costrette a rinunciare per le difficoltà finanziarie legate a questo periodo pandemico.
Quali canali consiglia di percorrere a una persona che ha bisogno di un supporto ma ha ridotte disponibilità economiche?
Naturalmente può provare a rivolgersi ai servizi del sistema sanitario che però tendono a essere abbastanza saturi, tanto da avere liste d’attesa importanti. Un’alternativa può essere il privato sociale, per esempio la rete dei consultori familiari, dove vengono erogate prestazioni psicologiche gratuite almeno fino a un numero predeterminato di sedute, con la possibilità di accedere successivamente una forma di solvenza a prezzo calmierato. Poi esistono realtà aggregative del terzo settore che hanno come scopo sociale quello di erogare prestazioni psicologiche a prezzi di vantaggio, o proporzionali all’Isee.
Soltanto una ridotta minoranza degli psicologi italiani (5mila su 120mila) è impiegato nel pubblico. Come ci possiamo spiegare questo dato?
Il pubblico non assume psicologi perché gli investimenti nel benessere psicologico sono sempre stati bassi. L’obiettivo esplicito e dichiarato è quello di stanziare il 5% della spesa sanitaria per queste attività, ora siamo attorno al 3,5%. Il risultato è che i servizi sono pochi, le liste d’attesa sono lunghe e, in assenza di concorsi e assunzioni, i colleghi optano per la libera professione.
Dall’esterno, viene da pensare che un professionista che chiede circa 80 euro all’ora sia ricco. Cosa dicono invece i dati sul reddito medio degli psicologi?
Gli stipendi dei colleghi che lavorano nel settore pubblico li conosciamo, sono quelli previsti per i dirigenti del servizio sanitario nazionale. Nel privato, l’idea dello psicologo che guadagna bene si scontra con i dati forniti dalla nostra cassa di previdenza. Il reddito medio al nord Italia si aggira attorno ai 1.800 euro al mese, una cifra da cui vanno sottratti i contributi previdenziali e i costi, come l’affitto dello studio e la formazione obbligatoria. Oltretutto, gli 80 euro richiesti per un colloquio vanno parametrati sul numero di pazienti che il singolo professionista riesce a seguire.
Un altro timore comune è che il percorso psicologico duri inevitabilmente per anni e quindi comporti un esborso economico fisso. Come si definisce la durata della terapia?
Durante la loro formazione, gli psicologi e psicoterapeuti scelgono la metodologia di intervento sulla quale specializzarsi. Alcune prevedono un percorso di lungo periodo, altre invece affrontano in modo più rapido un problema specifico. La durata del percorso dunque è un mix tra la situazione del paziente e la metodologia usata dal professionista. In generale, non è più attuale l’immaginario un po’ alla Woody Allen della terapia che dura per dieci anni consecutivi; la maggior parte dei percorsi si conclude in un tempo ragionevole, spesso inferiore o attorno all'anno. Detto questo, come fa il paziente a capire qual è la metodologia migliore per lui? Il mio consiglio è quello di fare domande al professionista fin dal primo contatto telefonico, oppure di fissare due o tre primi colloqui con psicologi differenti. Il successo del percorso ha molto a che fare con il feeling tra paziente e terapeuta.
Sappiamo che il Covid-19 ha avuto un enorme impatto sul benessere psicologico di bambini e adolescenti. Che consiglio darebbe a un genitore che sta cercando di capire se può gestire la situazione in autonomia o se c’è la necessità di un aiuto esterno?
Il primo step di sicuro è quello di fissare un colloquio e spiegare al professionista il motivo per cui ritengono di aver bisogno del suo aiuto. Sarà lui a valutare se sia il caso di avviare un percorso; magari può anche ritenere che la preoccupazione non sia motivata. Nel caso invece sia opportuno cominciare un lavoro terapeutico, è utile sapere che alcuni psicologi preferiscono lavorare direttamente col bambino, altri con tutta la famiglia.
Che consiglio darebbe a un adolescente che vuole andare dallo psicologo ma non riesce a comunicarlo ai genitori, magari perché loro sono contrari?
Il rapporto tra adolescenti, famiglia e professionisti è un po’ più complesso. È importante che il ragazzo partecipi alla scelta del professionista, anche per costruire fin da subito un rapporto di fiducia. Se la famiglia non è d’accordo in effetti è un problema, perché la legge italiana prevede che i genitori esprimano il loro consenso per qualsiasi prestazione sanitaria. In questo caso il consiglio è che il genitore chieda allo psicologo se può partecipare al primo incontro insieme al figlio/figlia adolescente per parlare con il/la professionista e chiarire ogni aspetto legato al percorso.