Editoriali
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Le vittime di violenza non denunciano per colpa di quelli come Beppe Grillo

Il video del leader del Movimento 5 stelle in difesa del figlio, accusato di stupro, scredita la ragazza offesa mettendo in dubbio la sua versione e giudicando i tempi delle denuncia. Ancora una volta, uno spettacolo umiliante di victim blaming.

Il video del leader del Movimento 5 stelle in difesa del figlio, accusato di stupro, scredita la ragazza offesa mettendo in dubbio la sua versione e giudicando i tempi delle denuncia. Ancora una volta, uno spettacolo umiliante di victim blaming.

«Una persona che viene stuprata la mattina, il pomeriggio fa Kitesurf e dopo otto giorni denuncia… è strano!».
«Sono ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande e saltellano, con il p****** di fuori perché sono quattro coglioni, non quattro stupratori».

In questa storia, avvenuta nell’estate 2019 in Costa Smeralda, c’è una vittima di violenza sessuale e ci sono quattro presunti carnefici.

Immaginate di essere una ragazza che due anni fa ha subito uno stupro, e di essere costretta a convivere da tutto questo tempo con il trauma che quell’episodio ha vi ha provocato. La vergogna, l’umiliazione, la paura di denunciare, il dolore, la diffidenza. Immaginate di soffrire da due anni, e di sapere che inevitabilmente soffrirete ancora per quello che vi è successo, perché una violenza sessuale è un’esperienza inevitabilmente traumatica e complessa da elaborare.

Immaginate, a un certo punto, di essere nuovamente umiliata e sbattuta sul banco degli imputati da un famoso e potente leader politico che si chiama Beppe Grillo, padre di uno dei presunti carnefici, che pubblicamente, sbraitando con tutta la rabbia che ha in corpo, ribalta il punto di vista di questa storia, minimizzando l’accaduto e - quel che è peggio – dubitando di voi, vittima, mentre cerca di giustificare e assolvere coloro che avrebbero commesso un reato grave come la violenza sessuale. Perché al contrario di ciò che sostiene la famiglia Grillo, per la Procura che ha visionato il filmato che ha immortalato l’episodio, «non fu sesso consenziente».

La violenza sessuale di gruppo, sostiene l’articolo 609 bis del Codice penale, consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, agli atti di violenza sessuale. I responsabili vengono puniti con pene dai sei ai 12 anni. Beppe Grillo però, padre di uno dei presunti stupratori, ha furiosamente preso le parti dei carnefici, stabilendo con convinzione la loro innocenza, e infischiandosene del racconto della vittima, con un’operazione pericolosissima di vittimizzazione secondaria.

L’ennesimo spettacolo di victim blaming

Si chiama victim blaming, colpevolizzazione della vittima. “Com’era vestita?”, “Era ubriaca”, “Perché non è scappata?” ne sono gli esempi più comuni, mentre si cerca di deresponsabilizzare l’unico colpevole di uno stupro, quindi il carnefice, per mettere in dubbio la versione della vittima che in qualche modo deve aver manifestato, con qualche segnale (magari un vestito corto o un cocktail in più), una parte di consenso.
Beppe Grillo si è permesso di screditare pubblicamente la vittima di una violenza sessuale di gruppo, insinuando che fosse una bugiarda per non aver denunciato il fatto subito dopo, ma otto giorni dopo. Concludendo che quindi fosse consenziente, perché dopo l’abuso avrebbe fatto kitesurf in spiaggia, un fatto che si prende la libertà di definire “strano”. 

Se il movimento #metoo non ci ha insegnato niente

Non ci è dato sapere dove fossero i quattro ragazzi dopo la gravità inaudita di quella violenza di gruppo, e nessuno se l’è chiesto: piangevano, si pentivano, si consegnavano alla polizia? Pare di no. Per quello che sappiamo potevano essere andati a una festa, potevano aver continuato a “divertirsi” come ha detto il padre di Ciro Grillo nonostante poco prima avessero obbligato una giovane a ingurgitare mezza bottiglia di vodka prima di abusare di lei. Questo però sembra non importare a Grillo, che è preoccupato soltanto di capire se lei ha davvero fatto o meno kitesurf. E se lo ha fatto, allora stava bene, allora forse non aveva subito una violenza.

Sono passati quasi quattro anni dall’esplosione del Movimento #MeToo con il caso Weinstein, e di violenza e molestie sessuali, nonché del tema del consenso, in questo tempo si è parlato molto più che in passato. Ed è profondamente sconfortante e deprimente scoprire invece che ancora bisogna battersi per spiegare che una denuncia di violenza non è un’azione semplice o automatica, e che non esiste un tempo limite entro la quale può essere definita credibile.

Non parliamo nemmeno di un cittadino qualunque (sarebbe comunque gravissimo), ma per di più del leader di un movimento politico che dai propri canali social ha deciso di parlare a milioni di persone mettendo in dubbio il racconto di una vittima di stupro. 

Il codice rosso offre alla vittima 365 giorni di tempo

Ci sono infiniti motivi per cui una vittima non riesce a sporgere denuncia subito dopo l’abuso, e non devono riguardare nessuno, se non lei stessa. Evidentemente Beppe Grillo ignora che il Codice Rosso permetta di sporgere denuncia in caso di violenza sessuale anche 12 mesi dopo. Fino a 365 giorni dopo, altro che otto.

E nel frattempo può aver fatto kitesurf come qualsiasi altra cosa. Può essere anche andata a ballare tutte le sere. Resterebbe comunque una vittima di violenza. E chi l’ha violentata resterebbe un violentatore.
Evidentemente Grillo ignora anche che la stragrande maggioranza delle donne non denuncia il proprio carnefice, e non per questo non è stata stuprata, picchiata, molestata. 

Il dolore della famiglia della vittima

Se le donne non denunciano è per colpa di spettacoli umilianti come quello del monologo furioso del leader del Movimento 5 stelle. Perché sanno di non venire credute, di essere screditate, zittite, contraddette. Sanno che qualcuno le chiamerà “bugiarde” e che il peso psicologico da portare diventerebbe doppio, schiacciante. 

«Siamo distrutti. Il tentativo di fare spettacolo sulla pelle altrui è una farsa ripugnante», hanno dichiarato i genitori della ragazza che ha denunciato lo stupro tramite l’avvocata Giulia Bongiorno. «Cercare di trascinare la vittima sul banco degli imputati, cercare di sminuire e ridicolizzare il dolore, la disperazione e l'angoscia della vittima e dei suoi cari sono strategie misere e già viste».

Un abuso spacciato per divertimento

Tra le “strategie misere” nel video-sfogo di Grillo c’è anche il vergognoso tirare in ballo il concetto di “divertimento”: «Sono ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande e saltellano, con il p****** di fuori perché sono quattro coglioni, non quattro stupratori». Come se svestirsi davanti a una donna non consenziente e abusare di lei fosse solo uno stupido gioco da ragazzi in preda agli ormoni, poverini, una bravata di poco conto. Non un reato. Non un’umiliazione. Non un abuso.

In un video di poco più di un minuto Grillo è riuscito a screditare la vittima prima, insinuando si fosse inventata tutto, e a banalizzare una violenza come lo stupro di gruppo poi. 
Se già non potevo immaginare come si sentisse la ragazza prima di tutto questo, prima che ieri si parlasse di lei in tutta Italia in termini tanto squallidi, non posso immaginare come possa sentirsi oggi. E come possano sentirsi tutte quelle donne che magari proprio in queste ore stavano cercando il coraggio di sporgere denuncia dopo una violenza. Se dopo aver ascoltato Grillo, qualcuna non lo farà, non potremo biasimarla. La responsabilità è di tutti quelli come lui.

Foto apertura: LaPresse