Sempre più donne perdono la vita per mano di uomini che, spesso, sostengono di "amarle". Che cosa non sta funzionando? “Denunciare è importante, ma lo Stato ha il dovere di sostenere chi ha il coraggio di esporsi".
Sempre più donne perdono la vita per mano di uomini che, spesso, sostengono di "amarle". Che cosa non sta funzionando? “Denunciare è importante, ma lo Stato ha il dovere di sostenere chi ha il coraggio di esporsi".Una strage. Una strage di donne morte ammazzate per colpa di una cultura patriarcale che non tollera il loro diritto di scegliere, di andarsene, di chiudere una relazione. Nel nostro Paese i femminicidi sono in costante aumento: dall'inizio del 2021 le vittime sono 57. Un’escalation inaccettabile, da Nord a Sud, che ci ricorda quanto la cultura sia profondamente intrisa di maschilismo e ci fa chiedere: cosa non sta funzionando se le vittime continuano a crescere? Perché le istituzioni non riescono a evitare queste morti? Perché le denunce cadono spesso nel vuoto? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione Matrimonialisti Italiani.
Foto: studiolegalegassani.it
UN’ESCALATION DEGENERATA CON LA PANDEMIA
“Siamo in guerra, ma non possiamo fare una guerra senza le armi: quelle della prevenzione, della protezione e della punizione. Se non consideriamo questa come la prima vera emergenza nazionale - soprattutto durante questa fase pandemica in cui c’è stato un aumento della violenza del 70% di violenze intrafamiliari e del 20% dei femminicidi – non ne usciremo”, sostiene l’avvocato Gassani.
Essendo un tema culturale, l’unica soluzione sarebbe ripartire dalle scuole e dai ragazzi, per lavorare sulla cultura di genere: “Abbiamo abrogato il delitto d’onore dal codice penale dall’81”, ricorda l’avvocato, “ma non dalla cultura che vede le donne come oggetti e non come persone con il diritto di scegliere, di troncare una relazione se vogliono”. Bisogna “rimodulare il concetto dello stare insieme, il concetto del rispetto”. Per l’avvocato servirebbero una “scuola dell’amore” e una “scuola del litigio”, dove andrebbero definiti i limiti entro i quali non si può andare.
L’UNICA SOLUZIONE? RIPARTIRE DALLE SCUOLE
Occorre quindi “ridisegnare la cultura a scuola: i ragazzini, da quando iniziano a camminare, devono iniziare ad avere un rapporto diverso con le ragazze. Non possiamo pensare di combattere la violenza in famiglia solo a colpi di codice penale, non possiamo continuare a intervenire quando c’è già la vittima a terra”. Per Gassani “dobbiamo prevenire con una scuola più attenta alle dinamiche tra i ragazzi, serve un personale con maggiore formazione: la violenza contro le ragazzine avviene anche a 14 anni”.
Il problema è che in Italia non stiamo facendo niente, dice l’avvocato con la rabbia di chi ha avuto a che fare con troppi casi, tutti uguali, senza una concreta e sicura via d’uscita: “Il problema è che non c’è una volontà politica di risolvere questo problema, al di là delle fiaccolate e del 25 novembre”.
Sproniamo sempre le vittime di violenza a denunciare, diciamo loro di chiedere aiuto, “ma io da avvocato ormai tremo”, dice, “perché spesso le denunce si trasformano in condanne a morte se la persona offesa viene lasciata al proprio destino. Dire di denunciare è giusto, ma mi chiedo: dopo l’atto formale, chi proteggerà quella donna?” Il problema, sostiene, è che non abbiamo i mezzi per fronteggiare questa emergenza.
DA NORD A SUD, LA CULTURA È PATRIARCALE
“Le vittime di femminicidio sono così tante che dimostrano che la famiglia nella sua dimensione patologica uccide più della malavita organizzata. È più facile che una donna venga ammazzata nel tinello che per strada, perché come sappiamo l’assassino ha quasi sempre le chiavi di casa”. E il fenomeno è trasversale, dal Nord al Sud Italia, senza particolari distinzioni di ceto o istruzione: “Nelle famiglie, il padre padrone c’è nelle province lombarde come in quelle calabresi”.
LA PIAGA DELLA VIOLENZA ECONOMICA
Poi c’è un altro tema cruciale: quello della violenza economica. In molte coppie e famiglie decidere di lasciare il proprio partner violento e andarsene significa perdere tutto. “Perché non abbiamo un welfare che sostenga le donne”, sottolinea l’avvocato, “manca un sistema che garantisca loro l’autonomia”. Prendiamo il Sud Italia, dove metà delle donne è disoccupata: “La politica mi deve spiegare come può fare una vittima di violenza in una famiglia monoreddito, che non lavora, magari con figli, a mandare in galera un marito. Cosa fa, si prostituisce?”.
Il problema è non vengono forniti strumenti alle vittime per salvarsi, “perché c’è uno Stato assente”. La colpa non è solo degli uomini, è anche di una società sorda, che non vuole sentire, che si volta dall’altra parte. Insiste l’avvocato su questo punto: “È facile dire a una donna di Canicattì di denunciare il marito, ma cosa ne sarà di lei? Dove andrà? Come camperà?”.
LA SPERANZA NELLE POLITICHE DEL GOVERNO DRAGHI
Da una parte manca quindi un lavoro urgente e massiccio sulla cultura di genere, dall’altra mancano gli investimenti: senza un fondo di solidarietà per le donne vittime di violenza, come possiamo salvarle?
“Purtroppo credo che finché derubricheremo questa battaglia come una battaglia “di donne” e non comune, di entrambi i sessi, non ne usciremo mai. Gli uomini devono essere in prima linea a voler salvare le proprie sorelle, le proprie figlie”. Gassani si dice pessimista: “Spero solo che con il nuovo governo si metta nell’agenda politica come priorità la violenza in famiglia. Altrimenti non ne usciremo”.
Foto apertura: Olga Yastremska