Come possiamo lasciarci alle spalle quella sensazione di disagio all'idea di metterci in costume, per goderci finalmente in spensieratezza la nostra vacanza al mare? Per cominciare, potremmo smettere di chiamarla "prova costume". Ne abbiamo parlato con la dottoressa Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e clinical director di Unobravo.
Come possiamo lasciarci alle spalle quella sensazione di disagio all'idea di metterci in costume, per goderci finalmente in spensieratezza la nostra vacanza al mare? Per cominciare, potremmo smettere di chiamarla "prova costume". Ne abbiamo parlato con la dottoressa Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e clinical director di Unobravo.L’abbiamo aspettata tanto, l’estate. Durante gli interminabili pomeriggi invernali al chiuso, con la luce artificiale perennemente accesa; mentre le temperature iniziavano ad alzarsi facendoci sudare in metropolitana; mentre correvamo da un’incombenza all’altra, e l’idea di passare qualche giorno nella nullafacenza più totale ci sembrava un miraggio.
Ora che l’estate è arrivata, però, bisogna scontrarsi con una guastafeste abituale: quell’insopprimibile sensazione di disagio all’idea di mettersi in costume davanti a tutti. Un’ansia sottile, ribattezzata bikini blues, che alcune persone riescono a scrollarsi di dosso con qualche minuto di imbarazzo ma che, per altre, può diventare un motivo valido per declinare inviti al mare o in piscina e perdersi preziosi momenti di socialità. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e clinical director di Unobravo, il servizio di psicologia online che oggi conta su un’équipe di di 3.500 psicologi e più di 114mila pazienti.
È corretto parlare di “prova costume”?
Parlare di “prova” sottende la necessità di dover dimostrare il proprio valore, la propria bellezza aderendo a standard di perfezione precostituiti e imposti dall’esterno. Avere dei modelli a cui aspirare è importante: ci spinge al movimento, ci motiva ad agire nella direzione dei nostri desideri, di ciò che vogliamo per noi stessi. Quando, però, il nostro ideale non tiene conto di ciò che siamo, del nostro punto di partenza, o dà risalto esclusivamente alla nostra esteriorità, rischiamo di piombare in una spirale di rabbia, insoddisfazione e frustrazione da cui può essere complesso tirarsi fuori.
Perché l’idea di mettersi in costume mette a disagio anche persone che solitamente non hanno particolari problemi alimentari o di autostima?
L’estate, nell’immaginario comune, rappresenta un momento di relax e leggerezza in cui ci è concesso vivere con spontaneità e spensieratezza le nostre giornate. In realtà, può rappresentare anche un momento complesso da gestire perché ci costringe ad abbandonare la protezione dei comodi vestiti invernali, capaci di rendere invisibile all’occhio esterno tutto ciò che non ci convince del nostro corpo. Scoprire il corpo significa mostrare una parte di noi, su cui in genere abbiamo controllo, che ci espone al giudizio. Gestire le aspettative rispetto ai canoni di bellezza considerati accettabili può trovarci impreparati e dar luogo ad un profondo senso di inadeguatezza. Nel tentativo di proteggerci da questi vissuti, spesso la soluzione più immediata è evitare di esporci.
Se su Instagram vediamo corpi artefatti e ritoccati, su una spiaggia vediamo anche tutti i difetti. Questo però spesso non è sufficiente per accettare di essere imperfetti come gli altri. Perché?
Spesso i social ci mostrano vite perfette di persone perfette. Credere a questo, che la perfezione esista, ci espone senza dubbio a un rischio enorme. Ci spinge a rifiutare le parti di noi che temiamo possano non ricevere il consenso desiderato. Certamente l’incontro vis a vis con persone in carne ed ossa ci permette di superare questa difficoltà. Tuttavia, ci espone direttamente allo sguardo dell’altro, senza la protezione dello schermo, che ci consente di mostrare solo ciò che scegliamo di condividere di noi. In realtà, l’implacabile giudizio che sentiamo provenire dall’esterno, proviene da noi: siamo i giudici più severi di noi stessi e finiamo per proiettare questa severità all’esterno.
Quali sono i consigli pratici che darebbe a una persona che si sente in difficoltà all’idea di mettersi in costume?
Il primo passo è tentare di creare un contesto in cui ci sentiamo al sicuro, nella nostra zona di comfort. Circondarsi di persone che tengono a noi, sentirsi a proprio agio con ciò che indossiamo è sicuramente importante per non alimentare angosce e timori. La libertà interiore di mostrarsi passa per l’accettazione di noi stessi e del nostro modo di essere. Solo imparando ad abitare chi siamo potremo imparare ad apprezzarci, nella consapevolezza che il nostro corpo rappresenta la nostra storia, chi siamo, e può aiutarci a comunicare al mondo la nostra personalità e unicità.
Quali sono invece i campanelli d’allarme che fanno sospettare che alla base ci sia un disagio più profondo?
Qualora le nostre preoccupazioni rispetto alla nostra immagine corporea dovessero impedirci di svolgere serenamente le nostre attività quotidiane e fossero tali da implicare una seria compromissione della nostra libertà di muoverci nel mondo o, persino, condurci a sviluppare sintomi, non dobbiamo assolutamente esitare a chiedere il supporto necessario. Un professionista potrà sicuramente sostenerci nell’individuare le cause profonde del nostro malessere e nel modificare le dinamiche che ci arrecano sofferenza.
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