Il 4 marzo si celebra la Giornata mondiale contro l'obesità, nata per sensibilizzare i cittadini su quella che non può più essere vista come una semplice "condizione": l'obesità è una malattia cronica, che necessita di cure adeguate. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Mary Calabria, psichiatra della Società Italiana di Educazione Terapeutica.
Il 4 marzo si celebra la Giornata mondiale contro l'obesità, nata per sensibilizzare i cittadini su quella che non può più essere vista come una semplice "condizione": l'obesità è una malattia cronica, che necessita di cure adeguate. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Mary Calabria, psichiatra della Società Italiana di Educazione Terapeutica.La capacità di intendere le sofferenze altrui, rispettarle, trattarle con attenzione e delicatezza, non è di tutti. Spesso c'è bisogno di viverlo, un dolore, perché lo si possa realmente capire nell'altro, perché si possa quindi agire con il diverso da sé comprendendo che si tratta di qualcuno che è in realtà, per molti versi, del tutto simile a noi. Empatia, comprensione, approfondimento, condivisione: ogni rivoluzione culturale è partita da qui.
Per la Giornata mondiale contro l'obesità la dottoressa Mary Calabria, psichiatra e tra i soci fondatori della Società Italiana di Educazione Terapeutica (SIET) ci ha parlato delle principali difficoltà relative al trattamento dell'obesità, sottolineando l'importanza di una buona informazione sulla malattia e invitandoci a guardare oltre le nostre convinzioni - spesso errate - sul tema, per comprendere quanto la stigmatizzazione possa essere determinante e, in alcuni casi, devastante, per chi ne è vittima.
Dottoressa, perché questa Giornata?
Di base la giornata è una confluenza di tutti gli sforzi che sono stati fatti negli anni a livello mondiale per contrastare quella che è diventata una vera e propria pandemia, oggi definita come globesity. Attualmente un terzo della popolazione mondiale è in sovrappeso o obesità, mentre in Italia un terzo della popolazione è in sovrappeso e più di 1 su 10 è affetto da obesità. Nel 2017 nel nostro Paese c'erano 5 milioni di persone affette da questa patologia. Perché, va sottolineato, si tratta di una vera e propria malattia.
Quali sono gli obiettivi della giornata?
La giornata nasce principalmente per combattere lo stigma, e quindi il weight bias, ovvero la tendenza ad avere atteggiamenti e convinzioni scorrette sulle persone in base al loro peso. Quest'anno, in particolare, è focalizzata su ciò che tutti noi, pragmaticamente, possiamo e dobbiamo fare dal punto di vista delle politiche sanitarie e sociali per migliorare l'accesso alle cure e sensibilizzare su un tema molto più complesso rispetto a quello che viene normalmente comunicato. L'hashtag di quest'anno, infatti, è #everybodyneedstoact. L'obesità non è una scelta, ma una vera e propria patologia, riconosciuta come tale dall'Organizzazione mondiale della Sanità.
Come mai, a livello generale, non si ha la percezione che sia una malattia?
Credo sia una questione di scarsa conoscenza, perché anche a livello di comunità scientifica è stata inserita tra le malattie relativamente da poco, quindi bisogna lavorare per colmare questo "buco" informativo. È fondamentale capire e interiorizzare che non parliamo di un mero problema di eccesso di peso dovuto a stili di via scorretti, ma di una patologia che ha tantissimi fattori determinanti.
Quali?
Concorrono fattori ambientali, socioculturali, genetici - quindi non direttamente connessi alle scelte e ai comportamenti della persona -, e poi fattori relativi a stili di vita scorretti, dall'alimentazione alla sedentarietà. Inoltre non possiamo, in nessun caso, considerarla una patologia "a sé stante".
In che senso?
In uno studio del 2019 pubblicato sulla rivista scientifica Lancet si fa riferimento al concetto di "sindemia", ovvero l'unione di più pandemie che hanno fattori causali in comune e si amplificano e condizionano a vicenda in uno stesso periodo storico. Nello studio in questione si parlava, in particolare di cambiamenti climatici, povertà, malnutrizione e obesità.
Può fare un esempio?
I cambiamenti climatici fanno sì che le cose che mangiamo siano sempre più povere di nutrienti. Sul lungo periodo, ciò può modificare geneticamente il nostro microbiota intestinale, favorendo lo sviluppo della malattia. Questo fa capire che spesso, in riferimento a questa e altre patologie, anche il dire "è genetico", può assumere un significato un po' ambiguo: perché anche la genetica è "modulabile", attraverso diversi fattori tra cui l'ambiente e lo stato emotivo.
Effettivamente il tema è decisamente più complesso di quello che sembra.
Sì, il problema è che molto spesso si guarda all'obesità seguendo due opposte tendenze: da una parte, si considerano solo i fattori "non dipendenti direttamente dalla persona", dall'altra solo quelli direttamente collegati alle sue scelte.
Quali sono le conseguenze di una visione così "parziale"?
Ce ne sono diverse, e tutte molto problematiche. Nel caso in cui la si consideri soltanto una questione legata allo stile di vita, sul piano sociale si tende allo stigma, considerando la persona "pigra", "impulsiva", "incapace di resistere alle tentazioni". Una stigmatizzazione che si riversa in tutti gli ambiti della vita: dalla scuola, al sociale, al lavoro (dove spesso si tende a discriminare in base alla forma corporea), ma anche in ambito medico.
In ambito medico?
Purtroppo molti specialisti di altre branche tendono spesso a "colpevolizzare" i pazienti. Semplificando, può capitare che un dentista dica: "Signora, se lei non dimagrisce continuerà sempre ad avere problemi ai denti". Il medico è certo tenuto a informare i suoi pazienti sulle possibili interferenze del peso rispetto al proprio stato di salute generale, ma non può e non deve mai banalizzare una problematica che è evidentemente molto più articolata.
Che effetto ha la stigmatizzazione sulla persona?
Spesso i pazienti tendono a interiorizzarla. Si sentono colpevoli, si isolano, evitano alcune situazioni, hanno una bassa autostima, alti livelli di ansia. Guardare alla patologia senza prendere realmente coscienza della sua complessità, può indurre a perdere la speranza. È quindi fondamentale, per contrastare il problema, che la società, i medici, e ovviamente le persone affette dalla malattia, siano consapevoli della multifattorialità del disturbo. Importantissimo anche educare al linguaggio: non esistono persone "obese", ma persone affette da obesità. Associare la persona alla sua malattia è totalmente scorretto, perché alimenta lo stigma e il senso di "rassegnazione": il paziente può avere la percezione che la malattia sia parte di "sé", e non è assolutamente così.
Il disturbo è multifattoriale, quindi l'approccio terapeutico è multidisciplinare?
Multidisciplinare non è il termine corretto: l'approccio deve essere interdisciplinare, attraverso l'interazione di medici di diverse branche (nutrizione, endocrinologia, medicina interna, cardiologia, chirurgia bariatrica, fisioterapia, psichiatria e psicologia) che lavorano in modo coordinato. Si tratta di una patologia cronica, che necessità di un'assistenza altamente specialistica e duratura. Purtroppo in Italia l'assistenza sanitaria è ancora molto indietro: spesso nel pubblico le persone riescono ad avere solo "un assaggio" terapeutico, un ciclo di incontri, ma poi si trovano di nuovo da sole, spiazzate, senza punti di riferimento. Inoltre, spesso le strutture non sono attrezzate, e creano disagio ai pazienti. Alcuni di loro hanno difficoltà a passare tra le porte, o a sedersi, a salire le scale. È necessario quindi predisporre ambienti, sedie e letti adeguati. Altrimenti si rischia di inasprire il disagio e scoraggiare la terapia. Non si può improvvisare un centro, né una cura. Ci vuole una enorme attenzione ai dettagli.
Che fare, dunque?
Oltre ad agire sulla lotta allo stigma, che come detto è tra i fattori che maggiormente influenzano la vita e le scelte delle persone affette da obesità, bisogna pensare politiche sanitarie ad hoc e creare al contempo una rete di condivisione, di esperienze, di persone affette da questo problema, per sostenerle, aumentarne la consapevolezza. Come SIET, insieme al Dipartimento di Ingegneria Automatica e Gestionale e al Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università Sapienza, abbiamo di recente implementato un robottino sociale che sta aiutando molto in uno dei punti cruciali: quello della motivazione, che spesso tende a vacillare a causa delle difficoltà "interne", ma anche a causa delle difficoltà logistiche che la cura, come abbiamo detto, comporta.
Come funziona il robottino?
È un prototipo di Robot Sociale, che rientra nel grande gruppo delle Tecnologie Assistive, studiato e configurato per fare da “co-conduttore” (sempre sotto il comando di un operatore esperto) dei nostri gruppi di Educazione Terapeutica (strumento cruciale ma ancora troppo poco diffusa per la cura di tutte le patologie croniche). Aumentando il livello di divertimento e partecipazione, può favorire l’apprendimento e aumentare la motivazione alla cura nel lungo termine.
Ha detto che l'obesità è una patologia cronica. In che senso?
Il curante deve conoscere bene questo concetto per non spaventare la persona, ma anche la persona deve conoscerne bene il significato. Cronico non vuole dire inguaribile. Assolutamente. Significa che una volta guariti, una volta raggiunti parametri normali, è necessario continuare ad attenzionare il proprio peso corporeo e il proprio stato di salute, facendo controlli e tenendosi monitorati nel tempo.
Cosa pensa, da psichiatra, del movimento body positive?
Credo sia un movimento necessario e interessante, che ha lanciato messaggi positivi. Come tutti gli strumenti va però adoperato con cura, altrimenti si rischia di scivolare nel terreno opposto: vuoi cercare di togliere l'attenzione dall'immagine corporea, quindi "spezzare" alcuni stereotipi, ma paradossalmente punti il riflettore - seppur in modo opposto - proprio sull'immagine corporea, sottolineandola. Si tratta quindi di un fenomeno interessante che va però arricchito per evitare, da una parte, di legittimare in qualche modo l'essere ciò che si vuole "a prescindere" (scegliere in assoluta libertà per se stessi è fondamentale, ma va fatto in modo realmente consapevole, non in adeguamento a un "modello" socialmente indicato/accettato ); e dall'altra, di legittimare un certo atteggiamento di "rassegnazione" a una corporeità nella quale magari non si sta bene pienamente, né dal punto di vista psicologico né da quello fisico.
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La Società Italiana Educazione Terapeutica SIET, la Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare (SISDCA), e il Dipartimento di Ingegneria Automatica e Gestionale (DIAG) dell'Università Sapienza organizzano annualmente, col supporto di diverse altre associazioni, un evento all'interno del MOMA, March Obesity Month of Awareness. Per saperne di più è possibile visitare la pagina Facebook di Educazione Terapeutica.
Foto apertura: Henrik Dolle -123.rf