La nostra società è intrisa di grassofobia, quel pregiudizio per cui la magrezza sia sempre un valore non solo estetico ma anche morale. Come scardinarla a livello individuale e collettivo? Ne abbiamo parlato con la dottoressa Claudia Pettinari, psicologa clinica.
La nostra società è intrisa di grassofobia, quel pregiudizio per cui la magrezza sia sempre un valore non solo estetico ma anche morale. Come scardinarla a livello individuale e collettivo? Ne abbiamo parlato con la dottoressa Claudia Pettinari, psicologa clinica.“Guarda come si è ridotta”, “si vede che si trascura”, “si è proprio lasciato andare”. Prova a fare un piccolo esercizio mentale: ti è mai capitato di sentire, o di pronunciare, frasi di questo tipo? Quasi di sicuro la risposta e sì; e, altrettanto di sicuro, erano riferite a una persona sovrappeso. Ebbene sì, la grassofobia (fatphobia, in inglese) è parte integrante della nostra società. A questo punto, possiamo fare tre cose. La prima, e la più comoda, è fare finta di nulla e restare ancorate a questi stereotipi. In alternativa, possiamo colpevolizzarci per qualche frase infelice che ci è sfuggita in passato. La terza opzione è quella di prendere coscienza di queste credenze e provare a scardinarle: ci vuole un po’ di lavoro, ma è senza dubbio la strada più promettente. Per questo abbiamo chiesto l’aiuto della dottoressa Claudia Pettinari, psicologa clinica che lavora con le persone che soffrono di ansia, depressione, bassa autostima o altre problematiche legate al loro peso corporeo e alla percezione di sé in relazione ad esso.
Cos’è la grassofobia
Innanzitutto, facciamo un po’ d’ordine su cosa significa grassofobia. I commenti che abbiamo appena menzionato sono soltanto la punta dell’iceberg, perché la fobia del grasso è qualcosa di molto più profondo. È uno stigma che porta a pensare che una persona grassa, innanzitutto, lo sia perché non si impegna abbastanza, perché non si prende cura di sé, perché si abbandona all’ozio e al cibo. In altre parole: una persona magra è motivata a tal punto da riuscire a ottenere il fisico che desidera, una persona grassa no.
Una volta attribuitale questa indolenza, viene spontaneo allargarla anche a tutti gli altri aspetti del vivere sociale: si dà quindi per scontato che questa persona trascuri anche l’igiene, sia sciatta, disordinata, ritardataria, poco affidabile sul lavoro. Chiudendo gli occhi e provando a pensare a cosa sta facendo una persona grassa, la si immagina da sola davanti alla tv, non certo in palestra o in un locale per un appuntamento. Ecco: questa è grassofobia interiorizzata.
Le origini della grassofobia interiorizzata
Ma questi preconcetti sono qualcosa di insito nella nostra natura? Tutt’altro, risponde la dottoressa Claudia Pettinari: “Il disprezzo per il grasso si è sviluppato in seguito a influenze culturali, sociali e storiche ed è legato al razzismo, al classismo e al razzismo. Già nell’Ottocento, negli Stati Uniti, per costruire l’identità perfetta del paese si demonizzava il corpo grasso, perché i ceti più abbienti potevano permettersi un cibo di migliore qualità. Alla fine del secolo nasce la diet culture, per la quale il corpo magro è il traguardo da raggiungere. Negli anni Settanta del Novecento scatta la ribellione da parte dei movimenti femministi, che sostengono che tutti i corpi debbano essere accettati”, spiega.
“Per quanto gli standard di bellezza si siano evoluti nel corso dei decenni, determinati pregiudizi sono stati sostenuti e perpetuati da vari fattori sociali, economici e medici. Da un lato dunque c’è la medicina che attribuisce un giudizio morale perché dà per scontato che il corpo grasso sia pigro; dall’altro lato, i mass media intensificano la pressione a conformarsi a certi standard”.
Se il body shaming è socialmente accettato
Figlio della grassofobia è il body shaming, cioè la derisione dei corpi altrui, soprattutto quando appaiono “non conformi” rispetto a quello che è ritenuto come lo standard. Istintivamente viene da pensare che insulti e prese in giro siano bravate da ragazzini, ma basta farsi un giro sulle pagine social di un qualsiasi personaggio celebre per cambiare idea.
C’è l’ex-modella che negli anni ha preso qualche chilo e viene messa a paragone con le foto di quando era poco più che ventenne, c’è la figlia della celebrity che viene ossessivamente confrontata con la madre, c’è la foto in spiaggia che smaschera la cellulite. Non è un caso se questi esempi sono al femminile: vari studi dimostrano che spesso e volentieri questi commenti infieriscono su donne e ragazze, anche appena adolescenti. Il confine tra il cosiddetto “virtuale” e la realtà di ogni giorno, poi, sostanzialmente non esiste più. Ecco quindi che i commenti sgradevoli fanno indisturbati il loro ingresso anche in scuole, palestre e luoghi di lavoro, fino a sfociare nel vero e proprio bullismo.
Attenzione, perché i commenti inappropriati non sono soltanto gli insulti veri e propri, ma anche frasi socialmente accettate. “Il linguaggio spesso è sottile e insidioso, con frasi stigmatizzanti come: l’esercizio fisico potrebbe farti bene. Hai mai pensato di provare questa dieta? Ora che sei dimagrito stai molto meglio”, chiarisce la dottoressa Claudia Pettinari.
“Le osservazioni su una persona grassa sono più tollerate rispetto a quelle su una persona nera o omosessuale, perché si dà per scontato che il sovrappeso equivalga a un problema di salute e sia sbagliato. Quindi, se te lo faccio notare, lo faccio per il tuo bene. Sarebbe bello vivere in una società in cui non si fanno commenti sull’aspetto fisico delle persone: in fin dei conti, non è un merito essere fatti in un determinato modo”.
Come scardinare la grassofobia
Molto spesso si parla di body positivity come “antidoto” alla grassofobia. Secondo la dottoressa Pettinari, però, “non è un approccio equilibrato e sostenibile, perché ti invita ad amarti per quello che sei, ma non sempre l’accettazione incondizionata è realizzabile. Sarebbe più corretto parlare di body diversity o body neutrality, perché ogni corpo è unico”. E se la società là fuori sembra andare in tutt’altra direzione? Un buon punto di partenza, suggerisce la dottoressa, è quello di selezionare le fonti, smettendo di seguire quei profili che perpetuano modelli irraggiungibili.
Dopodiché, se una persona ha difficoltà a stare bene con il proprio corpo, un percorso individuale di psicologia può essere un valido supporto. “Il metodo è efficace se combina diversi elementi: educazione, promozione della salute, ascolto, empatia”, conclude la dottoressa. “Consapevole del privilegio datomi dall’avere un corpo conforme, cerco di creare uno spazio sicuro in cui la persona si senta ascoltata e non giudicata. Anche la mindfulness può rivelarsi molto utile”.
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