In un'epoca in cui i tabù cadono, uno dopo l'altro, resiste in numerose culture quello che avvolge le mestruazioni. Dalla vergogna delle parole allo shaming nel discorso sociale, ecco le pratiche discriminatorie che ancora oggi le donne devono subire in quei giorni.
In un'epoca in cui i tabù cadono, uno dopo l'altro, resiste in numerose culture quello che avvolge le mestruazioni. Dalla vergogna delle parole allo shaming nel discorso sociale, ecco le pratiche discriminatorie che ancora oggi le donne devono subire in quei giorni.Nonostante la tecnologia sia in grado di tradurre qualsiasi lingua attraverso un'app su uno smartphone, spesso si prova ancora vergogna davanti alla parola mestruazioni. E questo non solo in qualche lontano Paese orientale (dove le donne addirittura muoiono per isolamento e malnutrizione patiti in quei giorni). Succede anche nel civilissimo Occidente, dove si usano creative perifrasi per parlare del ciclo, come ad esempio «È arrivato il barone rosso».
Il tabù delle mestruazioni è ancora molto forte. Ne è un esempio la persistenza in numerosi Paesi del mondo - Italia compresa - della Tampon Tax. In una sorta di mappa ideale, ecco quanto c'è ancora da fare nel mondo per liberare le donne dal silenzio sul proprio flusso sanguigno.
Sin dall'antichità il ciclo mestruale è stato demonizzato a più livelli. In passato la donna mestruata veniva considerata strana, irritabile, persino mortifera per il raccolto agricolo. In ebraico c'è persino una parola per definire la donna mestruata, ritenuta in quei giorni impura.
Con il termine niddah si indica colei che ha avuto le mestruazioni e non ha svolto il mikveh, rito di purificazione. Persino la Bibbia ne sancisce l'isolamento sociale. Nel Levitico 15:19-30 è infatti detto: «Quando una donna avrà i suoi corsi e il sangue le fluirà dalla carne, la sua impurità durerà sette giorni; e chiunque la toccherà sarà impuro fino alla sera».
Anche l'Islam isola la donna afflitta dal ciclo: dopo le mestruazioni la donna musulmana non prega e deve fare un bagno prima delle preghiere canoniche. In Somalia le si definiscono nijas, impure. Non possono macellare le bestie o svolgere qualsiasi attività.
In passato alle mestruazioni erano legate anche numerose superstizioni. Persino cucinare poteva diventare una iattura per le povere sventurate sanguinanti. Secondo alcuni, gli ormoni del ciclo mestruale sarebbero in grado di trasformare il vino in aceto, i dolci non lieviterebbero, insomma una catastrofe. Uno dei tanti falsi miti sulle mestruazioni.
Tra le pratiche legate alle mestruazioni e all'isolamento della donna in quei giorni, spicca su tutte quella del chhaupadi, una tradizione tipica delle famiglie hindu del Nepal. Il 19% degli abitanti di queste zone lo praticano. Temono così tanto il contagio del sangue mestruale da costringere in quei giorni le donne a vivere dai 5 ai 7 giorni di isolamento totale in piccole capanne, al freddo e affamate.
Non possono usare coperte. Possono mangiare solo riso e qualche pezzo di pane. Lavare cucinare e parlare con altre persone, compresi i membri della propria famiglia, è vietato. Il tutto per ingraziarsi gli dei e scongiurare pericolose malattie o, peggio, la morte.
Il 10 agosto 2017 il parlamento del Nepal ha approvato una legge che prevede 3 mesi di carcere e una multa per chi obbliga le donne col ciclo a vivere isolate in queste capanne. Il chhuapadi era stato già dichiarato illegale nel 2005, ma non era prevista alcuna forma di pena per chi obbligava le donne a rispettare questa pratica. Dopo la morte di due donne nepalesi, il governo ha finalmente preso provvedimenti.
Ma secondo alcuni attivisti questa legge non verrà applicata perché si tratta di una tradizione molto radicata nella cultura nepalese. Inoltre, le stesse donne vi si sottopongono, convinte che sia una pratica giusta.
Ma il più grande tabù forse è proprio nel civilissimo Occidente. Si parla di mestruazioni, si lotta per le mestruazioni e si fa period shaming, tutto nello stesso emisfero. La femminista americana Gloria Steinem prova ribaltare la prospettiva e immagina: «Cosa accadrebbe, per esempio, se di colpo, magicamente, gli uomini avessero le mestruazioni e le donne no? La risposta è chiara: le mestruazioni diventerebbero un invidiabile evento mascolino di cui vantarsi».
«Gli uomini, - scrive Steinem - convincerebbero le donne che il sesso è più piacevole in quel periodo del mese» e «I prodotti sanitari sarebbero forniti gratuitamente dal governo: ovviamente, alcuni uomini pagherebbero per il prestigio dato da marche celebri come i Tamponi Paul Newman o gli Assorbenti Muhammad Ali e ci sarebbero prodotti ad hoc tipo Per il flusso leggero da scapoli». Quelli in preda alle mestruazioni, salutandosi, si direbbero «Oggi ti vedo proprio bene!». In risposta, si direbbero: «Ci credo, ho le mie cose!».
Un mondo diverso, in cui le prospettive vengono ribaltate, il discorso sarebbe reso al positivo, solo perché il fenomeno sarebbe noto per esperienza diretta dagli uomini. Ma così non è, e in attesa della tecnologia che possa far provar loro cos'è la dismenorrea e far capire la necessità del congedo mestruale, possiamo provare almeno a liberare il linguaggio e a cancellare la vergogna associata - almeno - alle parole. Basterebbe iniziare dalla pubblicità, dove il sangue è bandito.
Uno spot dell'azienda Bodyform, portato in Italia da Nuvenia, ha usato per la prima volta un liquido di colore rosso per illustrare il funzionamento degli assorbenti pubblicizzati. Il messaggio principale della campagna è: «Le mestruazioni sono normali e anche mostrarle dovrebbe esserlo». Che sia dunque il liquido azzurrino a diventare il tabù, lasciando libere le donne di sanguinare.