Giovanni Ziccardi, professore di Informatica Giuridica, spiega come nasce il fenomeno e come difendersi dal cyberbullismo.
Giovanni Ziccardi, professore di Informatica Giuridica, spiega come nasce il fenomeno e come difendersi dal cyberbullismo.Secondo il testo di legge in via di revisione al Senato, il cyberbullismo è quel fenomeno che si manifesta attraverso un atto o una serie di atti di bullismo che si realizzano attraverso la rete telefonica, Internet, i social network, la messaggistica istantanea o altre piattaforme telematiche. Finché si è nel mondo reale, faccia a faccia col bullo, si sa con chi si ha a che fare.
Ma cosa succede quando l'odio esplode online?
“L’odio online è un fenomeno recente che ha avuto negli ultimi anni un incremento sensibile, che ha allarmato sia il mondo politico sia gli utenti quotidiani della rete”. Giovanni Ziccardi è professore di Informatica Giuridica presso l'Università degli Studi di Milano, nonché autore del libro “L'odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete” (Raffaello Cortina Editore).
Alla base del cyberbullismo c'è la diffusione di espressioni d’odio, ossia parole e frasi che istigano odio. “Inizialmente l’odio veicolato aveva ad oggetto razza, religione, sessualità, politica. Oggi l’odio è diventato più comune”, spiega Ziccardi “discussioni violente possono nascere anche da temi apparentemente innocui, come le dichiarazioni di Miss Italia”.
Le frasi possono essere d’odio diretto (ossia interpersonale, da una persona a un’altra, o social, ossia da un gruppo a una persona) oppure di istigazione all’odio, con “frasi che cercano di generare odio in gruppi di persone nei confronti di altri”, aggiunge il professore.
Le istituzioni non stanno a guardare e cercano di disciplinare il fenomeno, ma mentre l'approccio europeo è più rigido e tende a punire l’istigazione all’odio, quello nordamericano permette le espressioni d’odio con limiti di tolleranza molto più ampi. “Questa differenza è interessante perchè i dati degli europei sono oggi trattati soprattutto da società nordamericane come Facebook, Google e Twitter”, spiega Ziccardi.
Il cyberbullismo è più grave del bullismo perché “le tecnologie permettono di rendere le attività violente costanti, 24 ore su 24 con forme spesso ossessivo-compulsive” sottolinea il docente dell'Università di Milano. “In pratica, non si dà tregua alla vittima”.
La libertà d'espressione sembra giustificare qualsiasi deriva linguistica che sfocia però in atti di vero e proprio odio verbale. Ma un limite esiste ed è dato da tre fattori: l’educazione, il diritto e la tecnologia. “L’educazione può contribuire a rendere l’ambiente digitale meno ostile e più “vivibile”, il diritto può stabilire i limiti dove la libertà di espressione può cedere il passo a una tutela delle vittime, e la tecnologia può automatizzare, sulle piattaforme tecnologiche, procedure di reclamo, di contestazione o di rimozione di contenuti violenti. Un buon coordinamento di questi tre fattori può disegnare un quadro nuovo e meno negativo”, osserva l'esperto.
Parlando di un caso di cronaca eclatante del 2016 – quello che ha coinvolto una ragazza filmata dalle amiche, mentre viene violentata - sembra diventata più importante la capacità di riscuotere consensi piuttosto del rispetto dell'essere umano. “I giovani vedono, come esempio quotidiano, che l’odio porta consenso, è una valuta che permette di avere like, visualizzazioni, di essere invitati nei programmi televisivi”, spiega Ziccardi. “La privacy viene messa in secondo piano, conta di più l’esibizione per ottenere apprezzamento e “visite” al proprio profilo. Purtroppo è un processo culturale che riguarda l’educazione in generale, e non l’educazione digitale”.
Ma liberarsi del cyberbullismo è possibile. Le contromisure sono diverse: c'è la denuncia degli episodi, il mettere a nudo i violenti, creare delle reti nelle classi e nelle scuole per potenziare le vittime e diffondere una consapevolezza della legalità. “È un lavoro molto complesso che deve essere portato avanti nelle famiglie, nelle scuole e anche online”, riflette l'esperto.
Per essere in prima linea nella lotta al cyberbullismo i genitori devono conoscere la tecnologia come e meglio dei figli. Devono dialogare con i ragazzi, creando un clima di responsabilità. “Si tenga a mente che gli adolescenti assorbono come spugne da ciò che li circonda, compreso il modo in cui i genitori usano le tecnologie”, sottolinea Ziccardi. “Consiglierei quindi ai genitori di essere i primi a usare bene le tecnologie, per poi spiegarle ai figli”.
“Ai ragazzi invece consiglierei di testimoniare e di usare la tecnologia come sistema per la trasparenza,” conclude il docente “di rendere noti gli episodi di bullismo in rete, di rompere l’omertà e il silenzio e di cercare forza e solidarietà in quello stesso ambiente digitale che li opprime”.