Nel 2021 ricorre il 700° anniversario della morte del Sommo Poeta. Tutti conoscono il nome della sua musa, ma in pochi sanno la sua vera storia. Ve la raccontiamo.
Nel 2021 ricorre il 700° anniversario della morte del Sommo Poeta. Tutti conoscono il nome della sua musa, ma in pochi sanno la sua vera storia. Ve la raccontiamo.Che Dante sarebbe (stato) senza Beatrice? Privato della sua musa, sarebbe stato un poeta meno ispirato, dunque probabilmente meno Sommo. E noi, forse, parleremmo una lingua un po’ diversa: il toscano del Trecento fornì le basi dell’italiano moderno proprio grazie al successo della sua Commedia, definita “Divina” da Boccaccio e poi rimasta così. Nell’anno in cui viene giustamente celebrato il 700esimo anniversario della morte di Dante, ecco le cose da sapere sull’angelica Beatrice, prima donna a lasciare (a sua insaputa) una traccia indelebile nella letteratura italiana, con buona pace delle varie fiamme dei due Guidi, Cavalcanti e Guinizelli.
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Beatrice detta Bice
Qualche atto notarile, citazioni in contratti di compravendita, il testamento del padre. Sono pochissimi i documenti storici che testimoniano la vita di Beatrice. Ma, a scanso di equivoci, iniziamo col dire che è realmente esistita e che i dantisti la identificano con Beatrice Portinari, detta Bice, figlia del facoltoso banchiere guelfo Folco, che ebbe importanti incarichi nella vita politica della Firenze duecentesca. Per l’anno di nascita, gli studiosi si affidano a Dante, che stando a quanto scritto nella Vita Nova la incontrò quando aveva nove anni: Beatrice Portinari sarebbe (il condizionale è d’obbligo) nata in un giorno imprecisato del 1266.
Quasi vicini di casa
Per ragioni amministrative e militari, dal 1173 al 1343 Firenze fu suddivisa in sei parti: i Portinari vivevano nell’antico sestriere di Porta San Pietro, dove si trova anche la presunta casa degli Alighieri (in via Santa Margherita): la fantasia di molti ha provato ad immaginare un incontro tra Dante e Beatrice nelle strade lì intorno. «Sovra candido vel cinta d’oliva/donna m’apparve, sotto verde manto/vestita di color di fiamma viva»: tratti dal XXX canto del Purgatorio, questi versi si possono leggere sopra l’ingresso di quello che oggi è palazzo Portinari-Salviati in via del Corso, poco prima dell’incrocio con via del Proconsolo, dove visse Bice.
Nell’élite di Firenze
«Tanto gentile e tanto onesta pare/la donna mia quand’ella altrui saluta». Inizia così il sonetto più celebre del Sommo Poeta, contenuto nel XXVI capitolo della Vita Nova, che porta con sé un enorme “ma”. Nei versi più stilnovisti che siano mai stati scritti, Dante definisce Beatrice «mia», ovvero sua, ma stiamo parlando di una donna andata (da adolescente) in sposa a un altro, cioè a a Simone de’ Bardi, rampollo di una delle più note famiglie fiorentine dell’epoca. Con questo matrimonio Bice, già appartenente a una famiglia di prestigio, entrò a far parte dell’élite aristocratica della Firenze medievale. Per la cronaca, Dante Alighieri sposò invece Gemma Donati, dalla quale ebbe tre figli (quattro secondo alcuni).
Morta (forse) di parto
Poche certezze anche sulla data della scomparsa di Beatrice, anzi nessuna a dire il vero. Si crede comunque che sia morta l’8 giugno 1290, a soli 24 anni, probabilmente di parto. Dopo la sua dipartita Dante, disperato, si gettò negli studi di filosofia e nella lettura di testi latini: la fine della sua crisi personale coincise con la composizione della Vita Nova, intesa appunto come rinascita, di cui fa parte il sonetto già citato, Tanto gentile e tanto onesta pare.
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Un tomba per due chiese
La tomba di Beatrice è “contesa” tra due chiese. Una lapide presente in quella di Santa Margherita de’ Cerchi la collocherebbe proprio qui, a pochi metri dall’abitazione di famiglia, dove fu sepolto il padre Folco e (forse) Dante impalmò Gemma. Un’ipotesi incoerente con quello che accadeva all’epoca: quando Beatrice morì era maritata Baldi e perciò la sua sepoltura avrebbe dovuto avere luogo nella tomba di famiglia dello sposo, che si trova nel chiostro della basilica di Santa Croce.
Il vero rapporto tra i due
Nel secondo capitolo della Vita Nova, scritto in prosa, Dante ricorda il primo incontro con Beatrice, avvenuto durante una festa quanto lui aveva nove anni e lei otto (dunque nel 1274): «Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia». La vista di «questa angiola giovanissima» vestita di rosso provocò uno sconvolgimento nel futuro poeta («D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima»), che però per il secondo incontro, immortalato in un famoso dipinto del preraffaelita Henry Holiday, dovette attendere ben nove anni. Quando entrambi ne avevano circa 18 lei, vestita questa volta di bianco e accompagnata per strada da altre due donne più anziane, lo incrociò per strada a Firenze e lo salutò, provocando in lui una grandissima felicità. Ma fu questo il massimo che Dante ottenne dalla sua musa, peraltro già maritata all’epoca. Chissà perché, Bice Portinari poco dopo gli tolse il saluto, infliggendogli una profonda sofferenza, sempre raccontata nella Vita Nova. Insomma, non solo Dante non sfiorò nemmeno le labbra della sua amata, ma probabilmente non ci parlò nemmeno. Il classico amore platonico, che per il padre della lingua italiana fu comunque paradisiaco: sarà infatti proprio l’angelica Beatrice a fargli da guida e maestra nella terza cantica della Divina Commedia.