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Vita da Mamma: la rubrica di Federica Federico

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Non chiamatelo mammo!

Non chiamatelo mammo, ha già un nome e merita rispetto: si chiama papà e, a dirla tutta, è anche un buon padre.

Non chiamatelo mammo, ha già un nome e merita rispetto: si chiama papà e, a dirla tutta, è anche un buon padre.

Per quanto urticante ed eticamente scorretto possa essere il suo significato, mammo è a tutti gli effetti un neologismo, questo sostantivo è entrato nel vocabolario come il maschile di mamma

Da moglie di un uomo collaborativo, da libera professionista con partita iva (...per la serie se non lavori non mangi), da mamma di un figlio maschio, da cittadina di un paese emancipato culturalmente (...a quanto pare più nella teoria che non nella pratica), il sostantivo maschile in questione mi fa venire l’orticaria, mi provoca ansia, brividi e qualche conato di vomito. Questa sintomatologia si acuisce se, per errore e con un pizzico di masochismo, mi calo nella lettura della definizione.

Cito da vocabolario (Treccani): Mammo =  Uomo che, nella cura dei figli e nella gestione della casa, svolge le funzioni che sono state tradizionalmente proprie di una mamma; anche con usi scherzosi.

Dopo questa sintesi, potrei rasentare il collasso: anni di battaglie per la parità di genere ribaltati, buttati, dati alle fiamme della inutile goliardia e persi nelle “piaghe” di una società che ancora nutre il cancro degli stereotipi. 

Prima di soffermarci su tradizione e uso scherzoso del termine, così come contestualizzati nella definizione da vocabolario, proviamo a ragionare sul mammo per analogia estendendone la logica alle madri:

Che cos’è una mamma che lavora full-time, che ha un tempo ridotto per fare le cose da mamma - per esempio lavare, stirare, cucinare, fare torte o rammendare i calzini - e  che passa metà della sua giornata in ufficio? Come chiamiamo questa madre che quando torna a casa dà il meglio di sé malgrado abbia la schiena in fiamme, la testa pesante e il carico delle responsabilità molto “oltre” il porta documenti che ha abbandonato all’ingresso?

Se un papà collaborativo è un mammo, una mamma lavoratrice è una “babba, una ma-pa o una pa-ma” o una mamma peggiore delle altre perché non aderisce a uno stereotipo?

Ragionando per analogia, se il termine mammo può essere usato in modo “scherzoso”, proprio come sottolinea il vocabolario, per indicare l’uomo dedito all’accudimento della casa e dei figli, anche il termine lavoratrice donna e mamma può essere oggetto di goliardia. 
Ci sarebbe da chiedersi se sia ammissibile fare “umorismo” sottolineando la differenza tra la donna moderna, che spesso lavora per necessità, e una donna “antica” il cui ruolo si “esaurisce” nel lavoro domestico. Qualcosa non torna.

Il mammo rompe la tradizione, ma non perché svolge  attività di cura a cui sarebbe tradizionalmente deputata la donna, piuttosto perché è un uomo (… anche con molti più attributi di altri) capace di innovare il suo ruolo e non c’è da scherzare su questo.

Mammo da neologismo a stereotipo, i rischi di una nuova gabbia per soli (bravi) uomini e (splendidi) papà.

definizione di mammo

Foto: Elnur Amikishiyev ©123Rf.com

Chi sarebbe il mammo nella pratica dei fatti, nella vita, nella realtà comune delle famiglie italiane (e non solo)?

Il mammo è il papà che si occupa stabilmente dei figli e della casa, che vi spende ore di impegno, anche più della mamma e per estensione esemplificativa diventa quel padre che fa la treccia alla figlia, che fa il bucato, che cucina, che stira, che passa l’aspirapolvere, che si occupa di far fare i compiti o di sostenere i colloqui scolastici. E se fa parte della chat di classe o è un mammo a tutti gli effetti o è un potenziale rovina famiglie, non è ammessa altra possibilità!

Il mammo è l’opposizione vivente al breadwinner  (letteralmente il capofamiglia), l’infaticabile lavoratore che col sudore della fronte porta il pane sulla tavola familiare e garantisce il sostentamento della prole. 
Questo mammo sembra essere la perfetta costruzione di un nuovo stereotipo che, ancora una volta, conferma la tendenza all’ideale di un uomo duro, composto, rigido,  quasi timoroso dei sentimenti e dell’empatia. L’accoglienza del concetto di mammo tra le nostre abitudini di pensiero e parola dimostra molto di più e attesta quanta reticenza possa incontrare il nuovo che avanza.

Chi scherza sul mammo offende i papà?

mammo che cucina

Foto: Maria Sbytova ©123Rf.com

Il mammo fa girare le scatole alle donne che hanno accanto un uomo in perfetto stile breadwinner e... diciamolo fuori dai denti... la loro è tutta invidia.

Ma il mammo fa girare le scatole anche a quegli uomini che amano sentirsi breadwinner o che sono stati cresciuti in una serrata distinzione di genere sintetizzata perfettamente dal tradizionalmente usato nella definizione da vocabolario: il mammo mette in essere “funzioni che sono state tradizionalmente proprie di una mamma”.

La verità non sta nemmeno nelle differenze di genere come risultato sociale, questa sarebbe una riduzione semplicistica: “mammo non è né papà né mamma e pertanto è semplicemente un’offesa per tutti”. Non è questa la sintesi giusta.

La verità risiede in quella terra di confine che è l’educazione ai sentimenti a cui solo le mamme possono avere accesso.

Se il mammo è un rivoluzionario che non merita uno stereotipo per nome, la vera magia è stata compiuta dalla sua mamma (...la nonna dei figli del mammo ha reso possibile il “progresso”, tutti dovremmo vederlo). 

La distanza tra gli uomini e le donne è la motivazione profonda dei femminicidi, delle violenze domestiche e dei soprusi, allo stesso tempo è la motivazione degli stereotipi e della discriminazione di genere.
Questa distanza affonda le sue radici nella divergenza tra l’essere secondo il modello sociale e, invece, l’amare secondo il proprio cuore.

Si tratta di un divario che rimane scoperto se a monte non c’è stata una buona educazione ai sentimenti.
La disparità, la frustrazione della moglie lavoratrice che non si sente compresa dal marito, il neologismo del mammo e l’uomo che viene tacciato di essere la “femmina di casa” sono tutte facce di una stessa medaglia: la disparità
La disparità si apprende da piccoli e si pratica da grandi. E’ impari l’educazione che vede la figlia femmina impegnata nelle faccende di casa e il maschio no; che impedisce ai figli maschi di imparare a fare torte; che vuole il papà alla guida e la mamma seduta nel posto passeggero.

Le mamme non dovrebbero essere solo educatrici formali che col compito di istruire al comportamento di costume, loro sono coltivatrici con lo scopo di fare un albero da un seme

La cucina giocattolo, la bambola a cui cambiare i pannolini, i lavoretti manuali sono il primo accesso alla parità di genere: il gioco non è maschio e nemmeno è femmina.
Le lacrime, l’espressione dei sentimenti, l’abbraccio sono il primigenio strumento emotivo che attesta l’uguaglianza: il valore non ha sesso e l’emozione neppure.
La cura della casa, quella della persona e la gentilezza sono strumenti del rispetto verso gli altri che condividono i nostri spazi e che interagiscono con noi: il nutrire l’amore per l’altro e la devozione sono valori assoluti propri di chi comprende che il prossimo non ci appartiene ma ci ama per reciproca dedizione e impegno

Mio marito lava il pavimento se necessario, lo faccio anche io; 
mio marito cucina o fa la spesa quando serve, io faccio altrettanto;
mio marito sa caricare una lavatrice e lo so fare anche io; 
mio marito guida l’auto, ma non la mia perché ne sono gelosa tanto quanto lui è geloso della sua; 
mio marito porta i boxer, io, invece, le mutandine... ma l’anatomia non rende diverso il funzionamento dei nostri cervelli e non allontana i nostri cuori.

La cultura dovrebbe smetterla di fare distinzioni più vicine ai tratti anatomici che non a quelli dell’intelletto. Non chiamatelo mammo perché "Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” (Dante Alighieri)

>>Leggi anche: Papà d'Italia prendete esempio da Fedez

Foto apertura: Krystyna Cherkashyna ©123Rf.com