Lo sharenting, ovvero la condivisione continua di immagini dei propri figli sui social network, equivale a disegnare un ritratto identitario che, nostro malgrado, si tratteggia con pennarelli indelebili nelle vie della rete. Ma quali sono i rischi a esso legati?
Lo sharenting, ovvero la condivisione continua di immagini dei propri figli sui social network, equivale a disegnare un ritratto identitario che, nostro malgrado, si tratteggia con pennarelli indelebili nelle vie della rete. Ma quali sono i rischi a esso legati?Provate a immaginare una scatola, una grossa scatola con dentro 1.300 foto di vostro figlio dal suo primo giorno di vita, una per ogni momento importante, anche la prima cacca nel vasino o l’istante esatto in cui è nato. Con gli occhi della mente state guardando un inestimabile patrimonio di memorie affettive.
Le sue immagini sono tali anche per il vostro bambino e resteranno per sempre personali ricordi evocativi di luoghi, profumi, suoni, affetti e persone. Più un bambino è piccolo più quelle immagini sono sue, gli appartengono intimamente e profondamente.
1.300 foto, ora provate a tradurre mentalmente l’immagine romantica e antica della scatola in quella più moderna di 1.300 post Facebook: si stima che siano mediamente proprio 1.300 i post che vedono protagonista un figlio già allo scoccare del 13esimo anno di vita.
Una simile quantità di condivisioni, foto e video, rappresenta una raffigurazione continua della vita di un bimbo, resa, per di più, accessibile a tutti.
Chi ci assicura che nostro figlio non avrebbe voluto tenere per sé quella bella scatola di memorie?
Le foto di bambini sui social sono un (ab)uso sociale divenuto consueto, una prassi praticata con una normalità che ne oscura le insidie. Eppure le mamme sono così protettive!
Perché le madri pubblicano sui social così tante foto dei loro figli?
Foto: Tatsiana Hancharova/123RF
Il fenomeno della pubblicazione continua delle immagini, che si traduce in una pubblicazione dell’intera vita dei figli sui social, è diventato così diffuso e pervasivo da meritare persino un nome: si definisce sharenting.
Dall’inglese “sharing" che si traduce in condivisione (nella fattispecie condivisione continuativa e\o eccessiva) e “parenting" che vuol dire genitorialità, chi pratica lo sharenting porta la sua vita da genitore sulle piattaforme pubbliche e lo fa mostrandone i frutti, ovvero i figli, e documentandone la crescita.
"Cosa c’è di male!"
Se stai esclamando questo, permettimi di proporti un diverso angolo visuale: “Cosa c’è di male?”
Lo sharenting ricostruisce l’intero percorso identitario di tuo figlio immettendo nel web informazioni sensibili. Queste info permettono di collocare il bambino nei luoghi ove vive (rintracciabilità fisica circoscrivibile e\o identificabile), e, ancor di più, sono valide per ricostruirne una mappa identificativa completa capace di individuarne gusti, usi, propensioni, cultura e abitudini, ora e nel tempo.
Il tuo sharenting costruisce la mappatura digitale di tuo figlio e la mette a disposizione della rete. E’ un salto nell’ignoto difficile da accettare se si considera l’uso superficiale che facciamo del mezzo informatico quando si tratta di foto, post e selfie sui social.
Tuttavia può essere molto più percepibile laddove si guardi alla digitalizzazione come a una frontiera che spesso demarca percorsi ancora inesplorati. Abbiamo tutti codici bancari, per esempio, e non li esponiamo mai sul web perché non ci fidiamo di quegli “invisibili” che potrebbero spiarci e derubarci attraverso la rete; abbiamo tutti codici e pin che non memorizziamo sul Pc o sul cellulare perché non ci fidiamo dei “sistemi informatici” la cui vulnerabilità è nota. Perché queste cautele ci sembrano lontane dall’importante tutela dell’immagine dei nostri figli?
Una foto non è solo una faccia, soprattutto in presenza di minori, un’immagine postata sul web con reiterazione, in più modi e forme, in più tempi e circostanze, equivale a disegnare un ritratto identitario che, nostro malgrado, si tratteggia con pennarelli indelebili nelle vie della rete.
Foto di bambini sui social - i genitori sanno cos’è il consenso digitale?
La legge italiana non è rimasta indifferente allo sharenting, alla tutela della privacy dei minori e alla sensibilizzazione delle mamme e dei papà in tal senso, tuttavia è difficile estirpare l’idea che un bel bambino possa essere mostrato senza arrecargli alcun danno o che la disponibilità di quelle immagini appartenga ai genitori esattamente come gli “appartiene” il bambino.
Il bambino non è un oggetto, non è fissamente cristallizzato in quella situazione, in quella faccia e in quella foto che la mamma o il papà stanno postando su Facebook.
Il bambino è una creatura destinata a crescere nel corpo e nella ragione, un giorno potrebbe essere geloso della sua immagine e della sua identità e potrebbe rivendicarla. Suo malgrado, nessuna rivendicazione potrà mai riparare alla scelta dei genitori di fare del figlio un (s)oggetto di condivisione. Una volta si avversavano i concorsi di bellezza per bambini, oggi Facebook è tutto una passerella.
Il decreto legislativo 101/2018 fissa al compimento dei 14 anni il limite previsto per l’età del consenso digitale.
La legge italiana ancora la pubblicazione della foto di un minore alla prestazione del consenso di entrambi i genitori, laddove il figlio abbia compiuto il 14esimo anno d’età egli stesso deve essere introdotto in questo consenso.
Per parte mia, spesso raccolgo biasimo e critiche quando svelo che, prima di pubblicare sul web, oramai da anni chiedo ai mie figli il loro consenso.
- Mai foto intime,
- Mai foto che possono trasformarsi in immagini avverse, magari perché finite nelle mani del bulletto di turno,
- Mai foto ridicole,
- Mai foto sminuenti o offensive.
Meglio ancora mai o quasi mai foto, quantomeno non prima che il bambino stesso possa sentirsi parte della condivisione e possa approvarla o disapprovarla con cognizione di causa.
La legge italiana individua come perseguibili le foto indecorose, quelle che possono minare la reputazione del bambino o la sua immagine pubblica. Ma queste posizioni restano a prevalenza ideale, dovrebbero, cioè, sostenere una profonda riflessione nei genitori.
Quella foto di tuo figlio in mutandine e niente più, sorridente e fiero accanto al vasino finalmente pieno, se oggi non tradisce altro che sua soddisfazione e anche la tua … chi sa quanto ci avete lavorato … domani potrebbe diventare un’immagine avversa e pericolosa per tuo figlio.
Avversa e pericolosa, questa foto simpatica, goliardica, personale e familiare, non lo è certamente di per sé, ma lo diventa in quanto pubblica (pubblica vuol dire accessibile e accessibile può divenire sinonimo di abusata).
Un domani, questa stessa immagine orgogliosa, potrebbe diventare oggetto di scherno. Il bulletto di turno potrebbe condividerla sul gruppo della classe, del resto lo ha scritto la mamma stessa che si tratta proprio di una bella cacca!
Guardate con occhi prospettici alle foto di bambini sui social, scoprirete che non si tratta di orgoglio di mamma o semplice privacy: è in gioco l’identità del ragazzo o della ragazza che vostro figlio diventerà da grande.
Non c’è un pedofilo dietro l’angolo e se c’è è improbabile che sia arrivato lì attraverso Facebook; ma certamente dinanzi a voi c’è un bambino che prima di costruire la sua identità digitale merita di mettersi alla prova nel mondo delle relazioni reali, di decidere sulla base dell’esperienza come gli piace apparire, cosa vuole mostrare e cosa no, quanto ama esporsi e quanto di sé adora riservare solo alla propria famiglia.
La pubblicazione costante, se non compulsiva, di immagini di bambini sui social mina i diritti sottesi al naturale processo di affermazione dell’ “Io”.
Un interessante approfondimento pubblicato sul TheAtlantic.com riassume la concreta esperienza di alcuni ragazzini pre-adolescenti dinnanzi alla scoperta della loro esistenza digitale. L’articolo riassume i risultati di uno studio condotto dall’Azienda americana della Sicurezza Internet – AVG: il 92% dei bambini di età inferiore ai 2 anni ha già una propria identità digitale e la maggioranza di loro prova imbarazzo quando, intorno ai 10 anni, constata con consapevolezza ciò che genitori hanno condiviso sui social.
Non deve essere tuo figlio a chiederti di farla finita, non deve essere un bambino ad insegnarti a sue spese che l’immagine è l’esperienza intima di un percorso per il mondo e gestirla è un diritto personalissimo che nemmeno una mamma può abusare, riflettici per il bene di tuo figlio.
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Foto apertura: 123RF