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Quanto è difficile abortire in Italia? (Spoiler: molto)

Nonostante ci sia una legge che garantisca il diritto ad usufruire della pratica medica dell’interruzione di gravidanza, ancora oggi la 194/78 ha ancora molti punti grigi. Ma c’è chi ogni giorno lotta per garantire questo diritto

Nonostante ci sia una legge che garantisca il diritto ad usufruire della pratica medica dell’interruzione di gravidanza, ancora oggi la 194/78 ha ancora molti punti grigi. Ma c’è chi ogni giorno lotta per garantire questo diritto

Abortire in Italia è difficile. Non siamo noi a dirlo, ma i numeri. Infatti, in Italia 80% del personale medico che si occupa di salute riproduttiva è obiettore. Tra quegli obiettori ci sono anche gli anestesisti che, in caso di aborto chirurgico, possono decidere se farti provare o meno dolore durante l’operazione. Inoltre, se negli ospedali pubblici vengono sovvenzionate stanze “per l’ascolto” in cui gruppi del Movimento per la Vita (ma di fatto anti-scelta) cercano di decidere per te, l’aborto diventa un calvario ancora più duro a livello psicologico.

In Italia la salute riproduttiva viene ostacolata ogni giorno, nel silenzio delle istituzioni e con il favore di una normativa datata, di più di 45 anni fa, inadeguata alla tutela dei diritti: la legge 194/78. Tuttavia, da anni esistono realtà digitali attive che supportano chi vuole o deve interrompere una gravidanza e decidere sul proprio corpo e sulla propria vita senza stigma. Tra queste ci sono @liberadiabortire @ivgstobenissimo @obiezione.respinta. La loro azione è impagabile. Infatti, supportano e informano tutte quelle persone che altrimenti sarebbero sole con due obiettivi: permettere una vera scelta libera, difendendo le vite e i corpi delle persone. 

Quanto è difficile abortire in Italia?

Giulia Crivellini, avvocata e attivista per i diritti civili è tra quelle persone che ogni giorno si mettono al fianco di chi sceglie di non portare avanti la sua gravidanza. «Nonostante siano passati ormai quasi cinquant’anni dall’entrata in vigore della legge 194, che ha depenalizzato e regolamentato l’aborto; nonostante sia legale abortire, l’accesso a questa pratica medica in Italia e, di conseguenza, l’esercizio di questo diritto fondamentale, è un vero e proprio percorso a ostacoli. Può essere molto difficile abortire in Italia. Ogni regione presenta delle difficoltà particolari». 

Gli ostacoli principali

Abortire in Italia può essere un percorso a ostacoli. Il primo, il più importante, tocca ogni parte del Paese. Si tratta dell’accessibilità alle informazioni. Basti pensare che sul sito del Ministero della Salute, che dovrebbe farsi garante di questo diritto normato, è possibile leggere i termini entro quando è possibile abortire, cosa prevede la legge 194 e i due metodi disciplinati. That’s it.

Poche informazioni

«Tra l’altro, alcune informazioni – spiega Crivellini – sono anche parziali. Infatti, si può abortire anche dopo i 90 giorni menzionati: ci sono dei casi specifici. Il punto è che una donna che ha intenzione di abortire non sa dove rivolgersi. Non c’è un numero da chiamare. Non si dettaglia la procedura da seguire. Non si menziona il rilascio del documento che attesti la presenza della gravidanza, atto che spesso viene negato dai medici obiettori. È anche difficile sapere quali sono i diritti in ambito di riservatezza. Tutte informazioni necessarie che i canali istituzionali nazionali e regionali dovrebbero fornire».

Gli obiettori di coscienza

Poi ci sono gli obiettori di coscienza. Per legge il Ministero della Salute dovrebbe diffondere un report sui medici obiettori di coscienza a febbraio di ogni anno. Ad oggi si fa riferimento a un’indagine diffusa lo scorso 2023 con dati che fanno riferimento al 2021. «Sappiamo che sono tantissime le regioni che superano il 70-80% di medici obiettori, tra cui Abruzzo, Sicilia, Basilicata. È molto probabile che chi abita in queste regioni debba spostarsi tra le province o le regioni per accelerare la procedura di aborto o trovare medici disposti alla pratica medica». 

Le associazioni pro-life

Ma i gradi di obiezione sono tanti, come quello del giudizio, che mette in discussione tutta la sfera di autodeterminazione della donna. A questo proposito, impossibile non pensare all’introduzione dei rappresentanti delle associazioni pro-life nei consultori e ospedali. Gli esponenti politici che hanno appoggiato questa decisione, si proclamano veri attuatori della legge sull’aborto. Ma la verità è che si tratta solo di un ulteriore, scomodissimo ostacolo a una delle decisioni più difficili da prendere per chiunque.

«Si tratta di realtà che fanno riferimento al Movimento per la Vita, sovvenzionate anche dai comuni. Hanno sportelli anche all’interno degli ospedali. Intervengono con strati di giudizio, chiedono di ripensarci o, addirittura, sostengono che sia obbligatorio un colloquio in ambito psicologico per valutare la tenuta della persona che vuole abortire. Niente di più falso. Il colloquio mira a valutare la presenza di situazioni di violenza o costrizione. A mio avviso è una forma di violenza». 

Gli ostacoli all'aborto farmacologico

Un altro ostacolo è legato all’aborto farmacologico, ostacolato in molte regioni e in determinate strutture. In quei casi è possibile abortire solo chirurgicamente. «Il ministero ha garantito l’aborto farmacologico entro il sessantatreesimo giorno da farsi anche in day hospital. Ma ci sono regioni come l’Umbria che hanno scelto di non seguire la legge nazionale, non garantendo l’aborto farmacologico entro le sette settimane. La volontà politica delle regioni può creare le condizioni per cittadini di serie A e cittadini di serie B».

Aborto: la lotta per cambiare le cose

Giulia riceve richieste tutti i giorni. Le chiedono informazioni sulle strutture che garantiscono l’aborto farmacologico. O quali documenti preparare per non perdere troppo tempo prima dell’aborto. Ma ci sono situazioni più complicate che richiedono anche una presenza fisica. «A volte si è soli, sfiniti dagli ostacoli incontrati sul cammino. A volte non ci sono i mezzi linguistici per poter comprendere appieno la procedura».

Ma nonostante il disgraziato tempo politico in cui viviamo, in cui il governo si dice paladino della famiglia pur non offrendo i mezzi ai cittadini per crearla e sopravvivere economicamente e socialmente, ci sono tantissime persone impegnate a lottare per garantire il diritto all’interruzione di gravidanza. «Negli ultimi anni, dato l’ampio potere delle regioni in materia di salute, tantissime organizzazioni pro-choice stanno lavorando per far girare informazioni online o attraverso opuscoli, oltre a compiere monitoraggi ad hoc vista la mancanza di dati ministeriali. Ad esempio, Obiezione respinta monitora ogni singola struttura per censire gli obiettori».

Una delle lotte a cui Giulia tiene di più è quella condotta contro la pratica agghiacciante dei cimiteri di feti a Roma. Grazie al racconto di Francesca Tollino, è emersa questa consuetudine di seppellire gli embrioni con nomi e cognomi delle donne che avevano abortito senza il loro consenso. Il caso è finito in tribunale e si è risolto con la condanna del Comune di Roma e dell’ospedale in cui Tollino aveva abortito a una pena pecuniaria, oltre all’interruzione della pratica lesiva della privacy delle donne interessate. Inoltre, il Comune ha emanato un nuovo regolamento che sia rispettoso della riservatezza di chi decide di abortire.

«Azioni politiche, azioni legali, monitoraggio e dibattito: vedo un presente e un futuro di grande lotta per la tutela e la rivendicazione con grande forza di nuovi spazi di tutela del diritto all’aborto. Ma vogliamo di più: più spazi e maggiori sicurezze. La legge 194 ha enormi punti grigi da cui difendersi: per questo andrebbe modificata e aggiornata come tanti paesi al mondo hanno già fatto».