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Perché la serie tv sugli 883 ci piace anche se ci fa male

Nostalgia canaglia, sì, ma anche una riflessione su un tempo più lento, in cui non avevamo paura di vivere i nostri sentimenti

Nostalgia canaglia, sì, ma anche una riflessione su un tempo più lento, in cui non avevamo paura di vivere i nostri sentimenti

Qualche tempo fa i tipi di Bao Publishing crearono una spilla dedicata a una bellissima citazione di ZeroCalcare: "Anni Novanta, quanto dolore". Siamo pronti a giurare che sì, quel decennio è stato cruciale nel riscrivere le coordinate dell'adolescenza. Di fatto, è stato l'ultimo senza un cellulare messo tra le mani di un adolescente. Quanto dolore, è vero, ma quanto stupore anche. E quanta inventiva per esorcizzarlo, quel dolore.

Tra i menestrelli di tutti i sentimenti bucolici della provincia spuntò questa coppia di ragazzi normali a cantare i muri su cui si poteva leggere "Sei un mito" e robe simili. Di fatto, Max Pezzali e Mauro Repetto, il duo che componeva gli 883, cantavano ciò che tutti noi sentivamo, lacrimavamo, gioivamo in quegli anni lì. Sky ha preso tutta la nostra nostalgia per il coacervo sentimentale degli anni Novanta - e quindi la nostra devozione anche per tutta la discografia Pezzali-Repetto - e l'ha resa una serie tv. "Hanno ucciso l'uomo ragno - la leggendaria storia degli 883" è ormai un piccolo cult di cui è stata confermata la seconda stagione.

"Hanno ucciso l'uomo ragno - la leggendaria storia degli 883": la nostalgia formato serie TV

La serie racconta del successo del duo formato da Max Pezzali e Mauro Repetto, interpretati rispettivamente da Elia Nuzzolo e Matteo Giuggioli. I due si incontrano sui banchi di scuola e, come tanti loro coetanei, iniziano a suonare insieme. Ma invece di rimanere una band da garage – anzi, da tavernetta – nel 1992 diventano gli 883 e conquistano tutti con il disco "Hanno ucciso l'uomo ragno". A scoprirli, un guru della musica: Claudio Cecchetto. E già qui lo spleen è al massimo: quanti chitarristi, cantanti, batteristi e bassisti autodidatti non hanno sognato di vedersi arrivare un Cecchetto qualsiasi che li strappasse al concerto in parrocchia per portarli sui più importanti palchi italiani?

Ma negli anni Novanta non provavamo tutta questa invidia per il successo degli altri. “Quelli là”, quelli famosi, erano quelli che ci davano le parole. Avevamo solo voglia di cantare quelle canzoni che parlavano di noi. Non della tristezza degli anni Settanta. Non di una vita lisergica, che non avevamo che pochi spiccioli per comprare il Cioè e i ciuccetti per le nostre collanine. Le canzoni dovevano parlare di noi, solo di noi. Dei lenti pomeriggi sul muretto con le amiche a guardare il tipo che ci piaceva o a sognare di essere la tipa per cui i ragazzetti potevano fare pazzie. Eravamo tutti un po' sfigati, ma sapevamo ancora provare qualcosa senza nasconderci dietro uno schermo, un tatuaggio e una faccia troppo dura per la tenera età.

Il giorno in cui Mauro Repetto si mise a ballare

"Hanno ucciso l'uomo ragno - la leggendaria storia degli 883" racconta anche la storia di quelli che, pur non avendo il talento necessario per tenere un microfono in mano, sanno ritagliarsi un posto sul palco e diventare famosi persino in silenzio. Solo, ballando.

Stiamo parlando naturalmente di Mauro Repetto. Se cercate il suo nome su Google leggerete la qualifica "paroliere". Che ruolo poteva avere un compositore su un palco? Be', lui se ne creò uno su misura, mettendosi a ballare sulle note di "Non me la menare". Perché non ci stava a rinunciare a quel palco. Ed ebbe ragione: il pubblico della seconda tappa del Cantagiro di Orbetello andò in delirio e lui diventò un mito.

Repetto ha insegnato a tanti di noi che esiste sempre un'altra strada. Basta non arrendersi e provare, provare sempre. Consiglio rimasto valido fino a che questa logica non ha mostrato la corda nel nostro tempo, sempre più affaticato e poco generoso verso il coraggio o il merito. Quel ragazzo di Pavia che ballava, ballava, ballava oltre ogni ragionevole consiglio, senza mai fermarsi, incarnava tutta l’energia delle nostre giovani vite. Avevamo bisogno di un Maestro da seguire. Loro ci davano gesti, parole e coraggio con una sola musicassetta.

Continuare a scavare

Avevo dieci anni, forse. Ero a casa di un’amica che festeggiava il compleanno. Avevo già visto “Il tempo delle mele”, forse, e sognando che qualcuno mi mettesse delle cuffie sulle orecchie per ballare un lento, mi avvicinai allo stereo e infilai la cassetta di “Hanno ucciso l'uomo ragno - la leggendaria storia degli 883”. Vivevo sogni semplici, come tanti di noi, ma con una colonna sonora che nel giro di poche note ci contagiò tutti, spingendoci a saltare come molle. Altro che truccabimbi e prestigiatori prezzolati a intrattenere bambini iperstimolati.

Hanno ucciso l'uomo ragno” avrà una seconda stagione: lo ha confermato Sydney Sibilia. Significherà continuare a scavare nei ricordi della nostra adolescenza. Significherà riportare alla luce quei pomeriggi in cui ci si faceva arrossare la gola urlando "Come mai, ma chi sarai" per esorcizzare le pene d'amore o quel terribile e delizioso spleen che infesta gli anni prima dei venti. Siamo pronti. Siamo sempre pronti a voler bene a quegli anni.

Immagine di apertura: Sky.it