L’endometriosi e le altre forme di dolore pelvico cronico non riguardano solo le donne cisgender, ma il nostro sistema sanitario nazionale non è in grado di rispondere alla domanda di cura delle persone trangender. La testimonianza di Tristan Guida, persona trans* non binaria.
L’endometriosi e le altre forme di dolore pelvico cronico non riguardano solo le donne cisgender, ma il nostro sistema sanitario nazionale non è in grado di rispondere alla domanda di cura delle persone trangender. La testimonianza di Tristan Guida, persona trans* non binaria.Tristan è una persona trans. O meglio, una persona trans* masculine non binaria. Ha iniziato il suo percorso all’età di 30 anni. Una volta si identificava come una donna cisgender, un’identità che non ha mai sentito sua. Così, quando sono comparsi il seno, i fianchi, le prime curve, si è sentito all’improvviso abitante di un corpo alieno.
La sua è la storia di un viaggio di riallineamento tra corpo materiale e corpo percepito. Per riuscire a stare dentro uno spazio sicuro, centrato e confortevole, attraverso cui muoversi nel mondo. Che per lui non vuol dire diventare “maschio” corrispondente a quelli che sono i canoni estetici, comportamentali e relazionali della maschilità a cui siamo abituati. In fondo “Quanti modi ci sono per essere maschi, quante strade per diventare uomini?”, scrive sul suo profilo Instagram, dove divulga tematiche relative alla rappresentazione LGBTQIA. La sua è anche la storia di un percorso gravido di tormenti, dubbi, ostacoli, battute d’arresto. Reso ancora più difficile dall’inefficienza di un sistema sanitario nazionale non in grado di rispondere alla domanda di cura delle persone trans. In particolar modo per quanto riguarda patologie legate al dolore pelvico cronico come endometriosi, vulvodinia e neuropatia del pudendo, intestino irritabile, cistite interstiziale.
Molte donne cisgender affette da dolore pelvico cronico fanno fatica a trovare la giusta diagnosi e la relativa cura. A volte non vengono neanche credute, subendo una sorta di isolamento e discriminazione. Qual è l’esperienza delle persone trans? Vivono in questo senso una doppia discriminazione?
Sì. Le persone trans, che fanno già fatica ad interfacciarsi con un personale medico sanitario non assolutamente formato sulla salute transgenere, subiscono una doppia discriminazione. Le persone assegnate femmine alla nascita che hanno problemi legati al dolore pelvico cronico come endometriosi, vulvodinia, neuropatia del pudendo, cistite interstiziale, si devono interfacciare con del personale sanitario che spesso non è formato su queste patologie, ma non è neanche formato sui loro percorsi.
Si crea quindi una doppia voragine. Spesso si naviga nel buio, non c’è un team multidisciplinare che aiuti i pazienti a trattare le patologie in maniera sinergica. Inoltre le persone trans vanno incontro a misgendering (sottoposte a una costante invalidazione della propria identità di genere) deadneaming (continuano ad essere appellate con il nome anagrafico), discriminazioni che derivano dalla mancata conoscenza di cosa sia una persona trans, non binaria, queer in generale.
Non sono stati ancora studiati gli effetti che può avere l’endometriosi su soggetti che hanno iniziato una terapia ormonale, come avviene nel caso delle persone trans… Quanto questa mancanza di informazione/formazione ha inciso sulla tua esperienza personale?
Sulla mia esperienza ha inciso parecchio. Convivo dal 2014 con vulvodinia e neuropatia del pudendo. Ho iniziato il mio percorso terapeutico quando ancora mi identificavo come donna cisgender. Ho fatto coming out nel 2020 e ho dovuto interfacciarmi con un personale medico sanitario che non era a conoscenza di cosa significasse essere in un percorso di affermazione di genere medicalizzato. Di quali fossero i protocolli, l’impatto dell’assunzione di un certo tipo di ormone - nel mio caso testosterone, nel caso delle donne trans gli estrogeni - rispetto alla vulvodinia, rispetto alla cistite, all' endometriosi... È stato un salto nel vuoto.
Cosa andrebbe fatto secondo te per far fronte alla mancanza di competenze culturali e specialistico-sanitarie nel comprendere i bisogni della popolazione transgender?
Sarebbe necessario fare dei corsi di formazione specialistici a ginecologi, neurologi, psicoterapeuti, gastroenterologi, che seguono pazienti con dolore pelvico cronico rispetto ai temi della transizione.
Qual è la problematica più grave quando si parla di inclusività e visite ginecologiche?
Innanzitutto è un problema di linguaggio. Soprattutto se si è all’inizio del proprio percorso di transizione e non si è ancora iniziata la terapia ormonale. Nel mio caso io avevo una corporeità canonicamente femminile, non avevo fatto interventi chirurgici, non ero ancora in terapia ormonale. Si tende a usare il vecchio nome, pronomi femminili, cose che possono essere molto impattanti sulla salute mentale della persona transgender perché non viene riconosciuta per quello che è dal professionista sanitario. Cosa che spesso disincentiva i pazienti trans ad andare dai medici, a sottoporsi alle visite ginecologiche. Molto spesso non si presentano agli appuntamenti, mancano i pap test, le ecografie senologiche. Cose che ovviamente impattano sulla loro salute.
Un altro problema è la formazione: trovarsi di fronte a un professionista che ignora cosa implica un percorso di affermazione di genere da un punto di vista medico, che non conosce neppure il nome dei farmaci che si assumono, è demotivante perché a volte si è nelle mani di persone che rischiano di fare dei grossi danni.
Hai fatto coming out quando avevi già 30 anni. Un consiglio per le persone che si stanno trovando in questo momento a dover affrontare il loro essere trans e non sanno come procedere in questa fase della loro vita.
Per me è stato molto utile rivolgermi a un gruppo di auto mutuo aiuto. Ce ne sono tanti sul territorio di Milano, come quello di Acet, l’associazione di cui faccio parte oppure Ala trans. Ci sono anche gruppi online per le chi abita in regioni sprovviste di attivismo transgenere sul loro territorio.
È stato fondamentale confrontarmi con persone di diversa età, molto più giovani o molto più grandi di me che avevano fatto coming out e iniziato il percorso di terapia ormonale in diversi stadi della loro vita. O che non l’avevano iniziato perché non volevano/potevano. È sempre importante ricordare che si è persone trans a prescindere dalla medicalizzazione, anche se non si è in terapia ormonale e se non si fanno interventi chirurgici.
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