Nel Paese che ospita il Mondiale di calcio le donne sono sottoposte alla “tutela” maschile: da sole non possono fare quasi niente, sono pagate meno degli uomini e anche nello sport devono affrontare molte difficoltà.
Nel Paese che ospita il Mondiale di calcio le donne sono sottoposte alla “tutela” maschile: da sole non possono fare quasi niente, sono pagate meno degli uomini e anche nello sport devono affrontare molte difficoltà.Il Mondiale in Qatar fa discutere da tempo, da ben prima che iniziasse. E non per mere questioni calcistiche. Per costruire le cattedrali nel deserto che ospitano i match ha perso la vita un numero enorme di operai: circa 6.500, la maggior parte di essi per problemi cardiocircolatori, almeno secondo la versione delle autorità emiratine. I lavoratori che non sono morti, provenienti perlopiù da India, Bangladesh, Sri Lanka, Pakistan e Nepal, ma anche da Kenya e Filippine, sono stati comunque vittime di sfruttamento. Ha fatto storcere poi il naso la collocazione invernale del torneo, un inedito, così come il divieto imposto ai tifosi di consumare alcolici nei pressi degli stadi. E sempre a proposito di supporter, il Qatar ha “assoldato” dei figuranti per posare come tali: un giorno tifosi inglesi, quello dopo canadesi, poi magari messicani. Nel Paese del Golfo Persico la libertà d’espressione viene minata continuamente ed è pericoloso essere omosessuali (come se fosse una scelta): gli uomini rischiano fino a sette anni di carcere. E le donne? Beh, al di là dell’orientamento sessuale, in Qatar non se la passano benissimo (eufemismo). Insomma, era davvero il caso di organizzare proprio qui la Coppa del Mondo?
In Qatar le donne sono sottoposte alla tutela maschile
Quella del Qatar è una società fortemente patriarcale, in cui le donne sono sottoposte a una “tutela” maschile. Ogni scelta di vita deve avere l’avallo della figura maschile della famiglia, sia esso il marito, il padre, il nonno, il fratello, persino lo zio. In parole povere, le donne costrette a richiedere l’autorizzazione di un uomo per sposarsi, studiare e viaggiare all’estero (se hanno meno di 25 anni), lavorare nell’amministrazione pubblica, accedere alle cure ginecologiche. E spesso (non ci sono regole scritte) anche per attività più semplici, quotidiane. Basti pensare che è legale controllare il luogo in cui si trova una donna adulta e stabilire un orario di coprifuoco.
Le disparità nel matrimonio (e anche quando è finito)
Per quanto riguarda il matrimonio, che nella maggior parte dei casi viene combinato dalle famiglie in base al rango sociale di appartenenza, la donna può essere accusata di “disobbedienza” qualora si rifiuti di avere rapporti sessuali senza una ragione considerata legittima. Non esiste una legge che criminalizzi violenza domestica e stupro coniugale, ma solo un articolo che vieta ai mariti di ferire fisicamente o moralmente le mogli. Il divorzio esiste in Qatar, e capita spesso: circa il 50% dei matrimoni termina proprio così. E, a sua volta, l’80% delle unioni finisce proprio a causa di mariti violenti che picchiano le mogli. Anche nel caso del divorzio c’è una forte disuguaglianza: gli uomini possono separarsi dalla consorte senza interpellare alcun tribunale e, addirittura, senza informare la moglie. Al contrario, le donne devono fare la specifica ai tribunali e ottengono risposta positiva solo in casi limitati. Una volta messo alle spalle il matrimonio, per le donne la vita certo non si presenta facile: gli uomini non hanno difficoltà a trovare nuove compagne (possono essere sposati contemporaneamente anche con quattro donne), mentre le loro ex mogli diventano vittime dello stigma sociale, emarginate e marchiate a vita.
Responsabili della cura della casa, ma senza diritti verso i figli
La donna è responsabile della cura della casa, ma non ha molti diritti riguardo ai figli. Se straniera non può ad esempio conferire loro la propria nazionalità. In assenza del padre o di un parente maschio in famiglia, è inoltre lo Stato a fare le veci dei minori. Va da sé che, in caso di divorzio, la tutela viene sempre affidata al papà.
L’aborto è possibile, ma serve l’autorizzazione del marito
Per poter accedere alle cure ginecologiche e riproduttive, dai pap-test alle visite prenatali, come detto le donne devono attestare di essere sposate e avere il consenso del marito. Questo, ovviamente, vale anche per sterilizzazione e aborto: l’interruzione di gravidanza è possibile solo in caso di anomalie fetali. Molte donne che rimangono incinte di un figlio illegittimo vengono incarcerate.
Più laureate, meno pagate: il grande divario salariale
Tra i laureati della Qatar University, le donne prevalgono largamente sugli uomini. Ma il divario salariale è ampio: può arrivare al 50%, in caso di parità di mansioni e orario di lavoro. Il salary gap è dovuto, in parte, alle indennità sociali concesse agli uomini come capofamiglia, che le lavoratrici ricevono invece raramente.
Le donne non possono entrare nei locali che servono alcolici
Come nella pressoché totalità dei Paesi musulmani, è consuetudine che le donne si vestano in modo modesto, evitando di indossare in pubblico leggings, minigonne, abiti senza maniche, corti o attillati: il codice di abbigliamento, va detto, è generalmente più permissivo rispetto ad altre nazioni del Medio Oriente. In alcuni hotel del Qatar, le donne al di sotto dei 30 anni non possono soggiornare in una camera da sole. E non possono nemmeno entrare nei locali che servono alcolici. In Qatar la sharia viene applicata a diritto di famiglia, eredità e numerosi atti criminali, tra cui l’adulterio. La testimonianza di una donna di solito vale la metà di quella di un uomo e talvolta non è nemmeno accettata.
Il diritto di voto, acquisito nel 1999
Le donne del Qatar votano (e possono candidarsi per cariche pubbliche): sono state le prime nel Golfo Persico a ottenere questo diritto ed è successo nel 1999, in occasione delle prime elezioni tenutesi nel Paese. Si svolsero tra l’altro l'8 marzo, in occasione della Giornata internazionale della donna.
Donne e sport, la svolta nel 1998
Per la prima volta in Qatar, ai mondiali di calcio 2022, scendono in campo anche gli arbitri donna. Sono ben tre: la francese Stéphanie Frappart, la giapponese Yamashita Yoshimi e la ruandese Salima Mukansanga. Non male, considerando che fino al 1998 alle donne non era minimamente concesso praticare sport in Qatar. E nemmeno assistere alle gare. La svolta in occasione della seconda edizione della Doha Diamond League, che vide la partecipazione di atlete (straniere) e di spettatrici sugli spalti. Poi il permesso di fare sport, sempre indossando l’hijab. Nel 2000 la fondazione il Comitato sportivo femminile del Qatar, accreditato l'anno seguente dal Comitato Olimpico locale: le atlete qatarine hanno preso parte ai Giochi Olimpici per la prima volta a Londra nel 2012. Erano in quattro e una di loro fu anche portabandiera alla cerimonia di apertura. Tra gli sport più popolari, che le donne ovvero possono praticare serenamente, ci sono canottaggio, golf, tiro al volo e con l’arco. Niente cicliste qatarine: una donna in bici è considerata inappropriata per l’Islam. Eh già, perché nonostante le concessioni rimangono i divieti, le convinzioni, i timori di ripercussioni una volta tornate a casa. Durante i Giochi Asiatici del 2014, a conferma, le giocatrici della nazionale di basket si ritirarono dalla partita contro la Mongolia dopo aver ricevuto l'ordine di togliersi il velo. E le qatarine, nel calcio, come se la passano? La nazionale femminile ha disputato la prima partita ufficiale il 18 ottobre 2010 contro il Bahrain, rimediando una roboante sconfitta per 17 a 0. Che, in fondo, sembrò una vittoria. Dal 2014 è iniziato però un lungo periodo periodo di inattività, interrotto dall’amichevole disputata un anno fa contro l’Afghanistan, battuto 5-0. Poi più nulla.
Qatar 2022, il Mondiale dei divieti
Ad appena due giorni dall'inizio della competizione, su pressing delle autorità qatarine, la Fifa ha annunciato il divieto di vendere birra non solo negli stadi (si sapeva), ma anche in prossimità degli impianti, dove erano state allestite apposite aree. «Beh, questo è imbarazzante…», il tweet di Budweiser, poi cancellato dall’account del colosso della birra, che ha un accordo di sponsorizzazione da 75 milioni di dollari con la Fifa. In Qatar è illegale bere in pubblico: la vendita di birra è permessa in altre zone dedicate all’accoglienza dei tifosi, ma con limiti al consumo personale. Secondo la guida non ufficiale, tra i comportamenti da non praticare in Qatar figurano: blasfemia, fare foto alle persone senza il loro consenso, mancato rispetto de i luoghi di culto, musica e suoni ad alto volume (occhio, finti supporter, tifate ma non troppo), appuntamenti (tipo Tinder) e ovviamente l’omosessualità (LEGGI ANCHE: Diritti gay nel mondo). Detto che di solito alle partite di calcio si vede molto meno della birra, in un Mondiale “normale” non rappresenterebbe un tema. Ma in Qatar sì. Già un anno fa gli organizzatori fecero sapere: «I gay sono benvenuti, ma niente effusioni in pubblico». Pochi giorni fa, però, un ex calciatore qatarino, ambasciatore del torneo, ha tenuto a precisare che l’omosessualità è una «malattia mentale». Punita, questo lo ribadiamo serenamente, con il carcere. Alla vigilia del calcio d’inizio, in un contorto discorso in difesa del Mondiale in Qatar, il presidente della Fifa Gianni Infantino ha detto: «Oggi mi sento qatarino, mi sento arabo, mi sento africano, mi sento gay, mi sento disabile, mi sento un lavoratore migrante», puntando poi il dito contro l’Occidente, sempre pronto «a dare lezioni morali». Se Infantino il 19 novembre si è sentito omosessuale, il capo ufficio stampa della Fifa, Bryan Swanson, lo è davvero. E ha fatto coming out nella stessa occasione. Un gesto coraggioso, come sarebbe stato quello della Fifa di non accettare i milioni degli sceicchi, diversi anni fa.