La guerra in Ucraina è una lesione profondissima dell’inviolabilità dell’infanzia. Tantissimi piccoli innocenti sono esposti a morte, distruzione, terrore e abbandono. Il nostro sostegno è fondamentale: non lasciamoli da soli.
La guerra in Ucraina è una lesione profondissima dell’inviolabilità dell’infanzia. Tantissimi piccoli innocenti sono esposti a morte, distruzione, terrore e abbandono. Il nostro sostegno è fondamentale: non lasciamoli da soli.I giorni di guerra si sommano ad ogni alba, ad oggi raid aereo e ad ogni attacco; ai nostri occhi, di osservatori impotenti, la morte si confonde, i profili del dolore sfumano, i corpi, sebbene senza un nome e una storia precisa, imprimono tutti la stessa ferita e il medesimo dolore insanabile.
La mamma trasportata in barella, in fuga dall’ospedale di Mariupol sotto attacco e immortalata nella foto di Evgenij Malotecka, reporter ucraino, è un’altra morte senza nome. Questa volta, però, non siamo solo noi, da osservatori distanti, a non avere attribuito un nome a questa tragedia, i medici stessi non lo conoscono. Nella concitazione del momento, infatti, nessuno ha fatto in tempo ad annotarne il nome prima che il marito portasse via il corpo della sua sposa e quello del loro bambino.
C’è morte dove avrebbe dovuto esserci vita: nell’immagine di quest’uomo che porta via la sua famiglia senza più un domani, così come in molte altre immagini dalle stesse tinte, calate nello stesso scenario e provenienti dagli stessi luoghi, la morte diventa un assoluto che sovrasta ogni altra condizione, ogni sovrastruttura politica e resta inspiegabile.
Mamme e bambini in guerra, che fine ha fatto la vita e il suo rispetto
Anche l’immagine della mamma dal pancione ferito, trasporta in barella mentre l’ospedale infantile era sotto attacco, è un ritratto di bambini in fuga dalla guerra: considerata la tragedia che ha segnato le ore successive a questo scatto, quel grembo è innegabilmente emblema di una fuga negata, una mancata salvezza per una madre e per suo figlio.
Questa madre simbolo, che non ha mai potuto dare la vita perché il bambino che aveva cresciuto è nato morto da un parto cesareo di urgenza, cristallizza il più grave crimine della guerra: quello contro i bambini e la loro infanzia.
Era mercoledì 9 Marzo quando l’obiettivo fotografico del reporter Evgenij Malotecka ha fermato quest’immagine e il suo dolore riconsegnandoli al mondo in una fotografia storica e insieme (dis)umana.
La stavano trasportando dal nosocomio di Mariupol a un altro ospedale, era prossima al parto ed era rimasta letteralmente schiacciata da qualcosa che le è crollato addosso. Compromessa l’anca e colpito il ventre della mamma incinta, questa la diagnosi nel momento in cui i medici hanno tentato un parto operatorio per salvare il bambino. Ma il piccolo non ce l’ha fatta, quando è venuto alla luce era già morto.
La mamma l’ha raggiunto mezz'ora dopo: ”Uccidetemi ora", ha urlato quando ha saputo che suo figlio non era sopravvissuto alle atrocità di questa guerra, lo ha testimoniato il dottor Timur Martin, chirurgo dell'ospedale di Mariupol che ha cooperato al tentativo di strappare mamma e figlio alla morte.
Bambini in fuga dalla guerra
Chi arriva da Kiev ha visto con i propri occhi i bambini in fuga dalla guerra, alcuni con le mamme, atri con le nonne, qualcuno anche da solo, i cosiddetti minori non accompagnati.
L’emergenza umana più sensibile è, in questo momento quella degli orfani, questi bambini non hanno nessuno che li conduca oltre il confine, nemmeno c’è qualcuno che possa affidarli ad altri per valicare il limite della guerra e quello del pericolo. La guerra porta con sé il pericolo che di questi bambini si perdano le tracce, finiscano nelle maglie dell’adozione illegale, lo dice padre Pawel Konieczny a lavoro per la Caritas Ucraina sul territorio di frontiera.
Save The Children dimostra che stanno arrivando bambini non accompagnati e si tratta di minori vulnerabili, traumatizzati dall’esperienza che hanno vissuto, estremamente bisognosi di pace.
Hanno fatto il giro del mondo anche le foto di Hasan, fuggito dalla guerra da solo con i suoi 11 anni e un’infanzia strappata via: la mamma Yulia ha messo il figlio su un treno in direzione del confine slovacco. Lo hanno aiutato i poliziotti di confine e la sua strada è stata indicata da un numero telefonico che la mamma glia aveva annotato sul dorso della mano affinché potesse rintracciare i parenti.
Yulia ha perso suo marito e nel mettere il figlio su un treno della speranza ha scelto di non abbandonare sua madre ottantenne. È straziante il pianto di questa mamma mentre chiede salvezza e protezione per tutti i figli ucraini.
A cosa stiamo assistendo
- Stiamo osservando una terra che rigetta i suoi bambini per salvarli;
- Siamo dinnanzi a una “migrazione forzata” dell’infanzia, un esodo di innocenti in fuga dalle bombe;
- Vediamo un territorio “geograficamente europeo” che si sta privano dei suoi figli;
La guerra, in altre parole, ci sta restituendo una generazione di bambini perduti, sradicati dalle proprie radici, fuggitivi.
Il trauma di questi figli merita aiuto (e di aiuto ne stanno prestando moltissime organizzazioni, tante stanno raccogliendo adesioni all’affido internazionale dei minori e delle loro famiglie).
Va detto, però, che questo trauma non è individuale, non riguarda solo i singoli bimbi in fuga, per la sua estensione, per il peso storico che ha, si sta traducendo in un trauma sociale a cui i nostri stessi bambini non sono estranei, quantomeno non lo sono completamente.
L’esodo di mamme e bambini arreca destabilizzazione, ingenera un profondo senso di impotenza e frustrazione. La risposta più positiva che possiamo dare è parlare di ciò che accade dialogando con i nostri figli secondo verità, ma adattando ogni discorso all’età e alla sensibilità dei bambini.
Possibilmente evitare di esporre i bambini a immagini destabilizzanti, come case in fiamme o coetanei in fuga, e, per quanto possibile mantenere un atteggiamento rassicurante nello spiegare la guerra ai bambini.
L’auspicio più alto è quello che la situazione dei profughi-bambini venga diversamente considerata e che si aprano corridoi umanitari che tutelino i minori su larga scala a partire dai bambini degli orfanotrofi, la cui solitudine è oggi invincibile. Che non si dimentichi che sono a centinaia, affidati a pochi educatori (molti adulti, infatti, sono in fuga). Gli orfani, in quanto tali, sono lontani dal diretto interesse di qualcuno, non hanno una mamma o un papà pronti a rischiare la vita per condurli in salvo.
Vista così, la guerra dei bambini è una lesione profondissima dell’inviolabilità dell’infanzia e tutti dovremmo sentirci parte di questa guerra marginale e violenta che oltre ai bambini uccisi lascerà molte altre vittime innocenti sul campo.
Foto: LaPresse