La scaccia siciliana è la ricetta migliore per festeggiare la festa dei lavoratori. Ma ma siamo davvero sicuri di parlare di lavoro nel modo giusto?
La scaccia siciliana è la ricetta migliore per festeggiare la festa dei lavoratori. Ma ma siamo davvero sicuri di parlare di lavoro nel modo giusto?Il lavoro viene definito dalla nostra Costituzione sia come un diritto che come un dovere. Dovere di contribuire al progresso materiale e spirituale della società attraverso l’attività lavorativa; diritto perché dovrebbe rappresentare quell’attività che genera dignità sociale, che scongiura l’emarginazione e l’esclusione e che ognuno dovrebbe poter svolgere secondo le proprie possibilità e le proprie inclinazioni.
Tralasciando le parti che forse ai tempi della stesura della Costituzione potevano essere ragionevolmente auspicabili e realizzabili (visto il boom economico degli anni successivi), ma che ad oggi sembrano utopistiche e ben slegate dal contesto, riusciamo ancora a pensare al lavoro in questi termini?
Su quale lavoro fondiamo le nostre vite?
Cosa significa dignità sociale, cosa si intende per emarginazione ed esclusione oggi?
Può non essere solo una questione che riguarda l’avere o meno un lavoro?
Ma quel famoso “lavoro qualsiasi”, che si augura a chi non riesce a trovare un lavoro adatto a sé (e allora: “ma ti pare che non trovi un lavoro qualsiasi? Se vuoi lavorare un lavoro lo trovi”), fa in modo che l’emarginazione e l’esclusione non ci tocchino?
Può essere invece che oggi l’emarginazione e l’esclusione siano anche provocati dal lavoro stesso?
Per me sì, per la mia esperienza sì, e il gancio fra stato di necessità e lavoro alienante è una condizione dalla quale si esce molto difficilmente. Come per la maggior parte delle cose, unpopular opinion, non basta la forza di volontà. Perché banalmente se uno c’ha fame non c’ha tempo per altro, non ha la forza per ribellarsi. Se uno ha paura spesso non riconosce neanche l’ingiustizia, se uno è oberato di scadenze economiche e familiari l’emarginazione e l’esclusione vengono dopo l’ultimo dei problemi.
Parlerei oggi di dignità del lavoratore, emarginazione ed esclusione generati dal lavoro. Lavorerei sull’eliminazione dello stato di necessità grave che porta non solo ad accettare condizioni allucinanti, ma che porta anche a ringraziare per queste. Parlerei ancora di orari di lavoro selvaggi, di paghe che bastano solo a comprare il cibo giornalmente e per altre poche cose.
Parlerei sempre di più dei sintomi di condizioni patologiche e psichiatriche generati da condizioni di lavoro estenuanti, della sindrome da burnout, della depressione, dell’ansia, di quella morsa che ti prende in petto quando ti metti a letto e pensi che domani devi tornare in quel posto di m*rda e non hai alternative.
Predica finita, adesso potete andare a festeggiare il Primo Maggio all’aperto, su un prato, con cento bottiglie di vino, ma se è la festa dei lavoratori e quindi non si lavora, non vi inventate 350 tipi di preparazioni diverse da portare.
Fate queste scacce siciliane, contatene una a testa per pranzo e una per merenda. Io oggi non voglio litigare con nessuno - anche se è la cosa che mi riesce meglio da sempre - quindi non voglio parlare della provenienza di questa ricetta, della città che va messa dopo “scaccia”, del lievito e della ricetta originale: è festa pure per me.