Grazie all'Intelligenza Artificiale ci si può rivolgere allo psicologo 24 ore su 24, senza prendere appuntamento né sdraiarsi sul lettino, ma semplicemente mettendo per iscritto in chat le proprie emozioni. Dall'altra parte però non c'è una persona, ma un bot.
Grazie all'Intelligenza Artificiale ci si può rivolgere allo psicologo 24 ore su 24, senza prendere appuntamento né sdraiarsi sul lettino, ma semplicemente mettendo per iscritto in chat le proprie emozioni. Dall'altra parte però non c'è una persona, ma un bot.Quando prendiamo posto in treno o in una sala d’attesa, possiamo essere certi di trovarci circondati da sconosciuti con gli occhi fissi sullo smartphone. Ci sarà chi scrive messaggi alla fidanzata, chi risponde a una mail di lavoro, chi controlla il saldo del conto in banca… e, perché no, anche chi condivide le sue ansie con lo psicologo. Esatto: nell’era dell’Intelligenza Artificiale, non serve per forza un lettino per andare in terapia. Merito di app come Woebot, il chatbot psicologo.
Woebot, quando il terapeuta è un chatbot
“Benvenuti nel futuro della salute mentale”. È la scritta che campeggia nella home page di Woebot, il più noto tra i servizi di psicoterapia tramite chatbot.
La prima cosa da mettere in chiaro è che non ha nulla a che vedere con una seduta di psicoterapia tramite Skype, modalità che hanno sperimentato in molti durante il lockdown. In questo caso, infatti, dall’altra parte della chat non c’è nessun essere umano bensì un bot, cioè un software programmato mediante algoritmi di Intelligenza Artificiale. Un po’ come gli assistenti virtuali che ci guidano quando contattiamo il servizio clienti del nostro operatore telefonico.
Dal punto di vista dell’utente, è tutto molto intuitivo. Basta scaricare gratuitamente la app per iniziare una conversazione con uno psicologo virtuale sempre a disposizione, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, a fronte di una tariffa mensile ben più contenuta rispetto al dispendio necessario per una terapia “classica”.
Dietro quest’apparente semplicità si nasconde in realtà un sofisticato sistema di machine learning, una branca dell’Intelligenza Artificiale che fa sé che le macchine imparino dall’esperienza. Insomma, non esiste da nessuna parte un foglio Excel con un elenco di domande e risposte preconfezionate da ripetere all’occorrenza. Woebot interagisce davvero con il suo paziente, trovando man mano le parole più adatte alla sua personalità.
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Ma la psicoterapia virtuale funziona?
La missione dichiarata di Woebot è quella di rendere accessibile la psicoterapia a tutti coloro che ne hanno bisogno, spazzando via le barriere geografiche, organizzative ed economiche. E anche il senso di vergogna che molti ancora provano al pensiero di confessare a un parente o al datore di lavoro di avere appuntamento con lo psicologo.
Fin qui sembra tutto cristallino. Ma ci sarà davvero da fidarsi? Un approfondimento pubblicato dal New York Times ci offre alcuni elementi di valutazione.
Una prima cosa utile da sapere è che questo chatbot fa perno sulla psicoterapia cognitivo comportamentale, che postula l’esistenza di una relazione molto stretta tra pensieri, emozioni e comportamenti. Andando a intervenire su specifiche percezioni e convinzioni negative, a beneficiarne è il benessere dell’individuo nel suo insieme. Si tratta quindi di un approccio molto strutturato che, ben più di altri, si adatta al modello di apprendimento degli algoritmi.
Diversi studi scientifici sostengono che un chatbot, se ben sviluppato, sia in grado non solo di dare ai pazienti le risposte più idonee ma anche di dimostrarsi empatici, umani, vicini. Un qualcosa che, nella relazione terapeuta-paziente, fa davvero la differenza.
Ma ci sono due “ma”. Il primo sta nel fatto che molti di questi studi siano stati finanziati proprio dalle stesse aziende che sviluppano (e vendono) questi software. Il secondo invece è legato alle pratiche d’uso da parte degli utenti. Sulla carta, infatti, chi si affida a uno psicologo-chatbot segue un percorso terapeutico definito, fatto di appuntamenti che si susseguono a cadenza regolare per mesi o anni. Nella pratica, però, tantissimi ne fanno un uso ben più sporadico e discontinuo. Sarà utile anche in questo secondo caso? Per ora una risposta certa non c’è.
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