La deputata PD, tra le firmatarie della petizione #FERMALATAMPONTAX di WeWorld, è in prima linea nella battaglia per la riduzione dell’Iva sugli assorbenti, già dalla scorsa finanziaria.
La deputata PD, tra le firmatarie della petizione #FERMALATAMPONTAX di WeWorld, è in prima linea nella battaglia per la riduzione dell’Iva sugli assorbenti, già dalla scorsa finanziaria.Il Parlamento scozzese, nei giorni scorsi, ha approvato un provvedimento che lo ha reso il primo Paese al mondo a garantire l’accesso gratuito ad assorbenti e altri prodotti per l'igiene mestruale. Già distribuiti liberamente in scuole e Università, da ora le autorità locali si faranno carico di fornirli a chiunque ne abbia bisogno, allargando così le azioni di contrasto al “period poverty“, che identifica le difficoltà economiche, aumentate ulteriormente dall’inizio della pandemia di Covid-19, nel procurarsi ogni mese ciò che serve per far fronte alle mestruazioni.
In Italia, purtroppo, le cose vanno diversamente, visto che i prodotti di igiene mestruale hanno costi non accessibili a tutti perché considerati un bene di lusso e tassati con l’Iva al 22%. Una follia visto che, ovviamente, il ciclo non è affatto un lusso ma una condizione che riguarda la popolazione femminile per una parte significativa della vita.
Si stima infatti che dal menarca alla menopausa, una donna abbia le mestruazioni dalle 450 alle 500 volte e che si trovi di conseguenza ad utilizzare un numero sterminato di tamponi e assorbenti.
Foto: annieeagle - 123.rf
#FERMALATAMPONTAX
Negli ultimi anni, le iniziative volte a chiedere che venissero dichiarati beni di prima necessità sono state tante, spesso accolte con quell’aria di sufficienza che purtroppo quasi sempre circonda le battaglie portate avanti dalle donne.
A farlo a gran voce questa volta è WeWorld, organizzazione italiana indipendente impegnata da anni a garantire i diritti di donne e bambini in 27 Paesi compresa l’Italia, che insieme al collettivo di giovani attiviste Onde Rosa ha lanciato la petizione #fermalatampontax, che al momento ha superato le 450.000 adesioni.
L’iniziativa è stata presentata in Parlamento lo scorso 25 novembre, Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, e ha tra le firmatarie anche molte attiviste, attrici, giornaliste, e personalità di spicco della politica tra le quali Laura Boldrini, alla quale abbiamo chiesto di raccontarci l’importanza del provvedimento.
La campagna per la riduzione dell’Iva sui tamponi non è nuova, quando è iniziata?
Più di un anno fa grazie alla mobilitazione di Onde Rosa, a cui si sono associate alcune di noi parlamentari, che iniziò a raccogliere le prime firme. Si tratta di una battaglia giusta che ho sostenuto fin dalla prima ora e che si inserisce all’interno di un percorso di politiche di contrasto alla disuguaglianza e alla violenza economica sulle donne, una delle forme più diffuse di abuso ma delle quali si parla molto poco. L’anno scorso siamo riuscite a compiere un primo passo, riducendo l’Iva sugli assorbenti compostabili e ora, nella legge di bilancio 2020, puntiamo ad allargare il provvedimento a tutti i prodotti igienici femminili. L’emendamento appena presentato e che ha coinvolto esponenti di diversi schieramenti politici va in questa direzione.
I tempi secondo lei sono maturi perché ciò avvenga?
Credo di sì, almeno in parte. Il mio desiderio sarebbe di equiparare l’Iva dei tamponi a quella dei beni di prima necessità, in Italia al 4%. In molti altri Paesi europei, infatti, l’iva è molto più bassa, penso alla Francia (5,5%) e a Spagna, Grecia e Austria (circa 10%). Ma se non fosse possibile immediatamente la riduzione al 4%, a causa della mancata copertura economica, sarebbe comunque importante dare un segnale forte e scendere almeno dal 22% al 10%, per poi continuare la battaglia il prossimo anno.
La scusa è sempre quella che manchino i soldi...
Purtroppo sì ma a dire il vero in questo caso si tratta davvero di un’operazione costosa. La stima fatta dal Mef è infatti di circa 300.000 euro ma la gran parte delle risorse della manovra di bilancio sono state impegnate dal Governo, quindi al Parlamento resta ben poco. Per far passare questa proposta in parlamento devono quindi convergere verso l’obiettivo forze il più possibile trasversali e riuscirci, almeno in parte, sarebbe un modo di far sentire alle donne che non sono sole, visto che la pandemia le ha impoverite ulteriormente.
Perché in tanti Paesi la sensibilità maggiore al tema sembra maggiore, mentre in Italia questa battaglia a molti fa addirittura sorridere?
Perché da noi tutto ciò che riguarda le donne non è soggetto alla giusta considerazione. A parole sono tutti favorevoli a valorizzarle nella società, nel lavoro o nella politica, ma quando si tratta di fare scelte che intacchino le risorse molti propositi svaniscono. Si tratta di un problema culturale non da poco, che genera a pioggia una serie di altre situazioni gravi, come il fatto che in Italia l’occupazione femminile sia ferma al 49% (contro la maschile al 67,4).
La pandemia poi ha peggiorato ulteriormente le cose.
Esatto, come in ogni crisi, il peso maggiore è ricaduto sulle spalle femminili. Tra il secondo trimestre del 2019 e lo stesso periodo del 2020 si contano 470.000 occupate in meno e se molte donne sono state costrette a rinunciare al lavoro è anche perché non si è mai messo in discussione che se le scuole sono chiuse e bisogna accudire i figli possano essere anche gli uomini a farlo. Oltre ad un aspetto culturale, non possiamo tralasciare il fatto che mediamente i salari degli uomini sono più robusti di quelli delle donne: questo ha spinto le donne a rinunciare al lavoro, per seguire i figli, e a lasciare appunto che lavorassero compagni e mariti.
Tante battaglie degli ultimi tempi, tra cui questa, sono state portate avanti da ragazze giovanissime. Crede sia aumentata l’attenzione verso i temi sociali nelle nuove generazioni?
Probabilmente sì. Negli ultimi anni si è verificato un arretramento nei diritti delle donne e le ragazze se ne stanno rendendo conto riflettendo su quanto siano costantemente penalizzate rispetto ai coetanei. L’errore è stato di dare per scontate conquiste che non lo erano e questo ha determinato una battuta d’arresto del percorso di uguaglianza. I diritti una volta acquisiti non restano lì per sempre e per non correre il rischio di perderli bisogna difenderli e ampliarli costantemente.
Dobbiamo fare in modo che cambi la mentalità di questo Paese, dove il patriarcato ha ancora un grosso peso. È importante far capire ai giovani che una comunità evolve solo se le donne vanno avanti. Mi auguro quindi ci si renda conto che il superamento della Tampon Tax è una questione di uguaglianza, un tassello della grande sfida di avanzamento che riguarda tutto il Paese.
Foto apertura: LaPresse