Nel mondo le donne chiedono a gran voce che sia riconosciuto ai tamponi e ai prodotti per l'igiene intima femminile lo status di "beni necessari": ecco cos'è la tampon tax e quali sono i Paesi che hanno deciso di abolire questa ingiustizia.
Nel mondo le donne chiedono a gran voce che sia riconosciuto ai tamponi e ai prodotti per l'igiene intima femminile lo status di "beni necessari": ecco cos'è la tampon tax e quali sono i Paesi che hanno deciso di abolire questa ingiustizia.Ci siamo. Finalmente la battaglia sulla tampon tax in Italia è (quasi) vinta. Tra i provvedimenti inseriti nella manovra 2022 c'è la riduzione dell'Iva per i tamponi e gli assorbenti femminili dal 22 al 10%.
Gli assorbenti - esterni o interni che siano - sono da diversi anni al centro di un'accesa polemica. Infatti, benché siano una necessità per le donne, questi prodotti sono ancora trattati in alcuni Paesi (compresa, fino a qualche tempo fa, anche l'Italia) come veri e propri beni di lusso, al pari dell'alcol o delle sigarette. Per questo viene loro applicata l'Iva corrispondente a questo tipo di prodotti.
La battaglia per abolire la cosiddetta "Tampon Tax" continua in numerosi paesi: le donne di tutto il mondo chiedono di azzerare l'Iva su questi prodotti di prima necessità.
Cos'è la tampon tax
La Tampon Tax non indica una precisa tassa su assorbenti e altri prodotti necessari all'igiene intima femminile. È un'espressione con cui si indica l'applicazione dell'Iva usata per i prodotti non necessari, che includono (ahinoi!) anche i prodotti che invece per le donne sono beni primari, come i tamponi e i prodotti per l'igiene intima femminile.
La Tampon Tax ha dato il via a un vero e proprio movimento di protesta che in alcuni Paesi ha portato all'abolizione della percentuale applicata agli assorbenti al momento della vendita. In rete è disponibile una petizione che può essere ancora sottoscritta.
I numeri degli assorbenti
Secondo la BBC metà della popolazione mondiale è costretta ad usare tamponi, assorbenti e affini per almeno una settimana al mese, ogni mese per circa 30 anni. Secondo Cristina Garcia, attivista californiana per l'abolizione della tampon tax, le donne del suo stato pagano circa 7 dollari di tasse al mese per 40 anni per acquistare assorbenti e salviettine. Estendendo il calcolo a tutti gli Stati Uniti, si arriva a una cifra da capogiro: 20 milioni di dollari all'anno che finiscono nelle casse dello stato, grazie alle mestruazioni delle donne. Questi prodotti sono una necessità basilare e non dovrebbero essere tassati: è "un'ingiustizia", ha dichiarato Garcia al Washington Post.
I pionieri della Tampon Tax
Se il primo Paese ad abolirla è stato il Kenya nel 2004, è il Regno Unito il luogo in cui la battaglia si è fatta sempre più accesa. Nel 1973 lo UK ha iniziato alleggerendo il peso dell'Iva dai prodotti sanitari, riducendo il tasso al 5%, il minimo previsto dalla regolamentazione dell'Unione Europea.
È stato David Cameron nel 2016 a convincere l’Europa a dare la possibilità ai Paesi membri di scegliere se cancellare o meno la cosiddetta "tassa sugli assorbenti". Nel 2017 la Scozia ha deciso di eliminare alla radice il problema dei balzelli sugli acquisti e ha avviato un progetto per distribuire gratuitamente assorbenti e altri prodotti intimi a donne e ragazze di famiglie a basso reddito.
I Paesi che hanno abolito l'Iva sugli assorbenti
Dal 2015 il Canada ha eliminato del tutto la tassa su tamponi, assorbenti e coppette mestruali. Lo stesso anno in Francia l'Iva su questi prodotti è stata portata dal 20 al 5,5%. In Irlanda è stata cancellata. Dall'altra parte del mondo, l'Australia sollevava il problema: nel 2015 Joe Hockey ha avanzato la richiesta di abolire il balzello sugli assorbenti, ma un voto popolare ha smontato la proposta. Qui l'Iva sugli assorbenti è del 10%. Negli Stati Uniti la situazione varia da stato a stato: se l'Iva sugli assorbenti persiste in California, New York e Wisconsin, in Maine, Pennsylvania e New Jersey l'ingiusta condizione è stata eliminata.
I promotori dell'abolizione della tampon tax in Italia
A portare avanti la battaglia in Italia è stato Giuseppe Civati. Con il suo partito Possibile aveva depositato nel gennaio del 2016 una proposta di legge per la riduzione dell’aliquota al 4%, dal 22 attuale.Tra i firmatari della proposta di legge c'era stata anche Beatrice Brignone, che ha dichiarato: l'igiene femminile "è anche una questione politica sociale e sanitaria di cui ogni Governo deve riconoscerne l’importanza". Ridurre la tassazione, secondo la deputata, "è un primo passo verso nuove e avanzate politiche sociali". In prima linea nella battaglia contro la tampon tax anche la deputata PD Laura Boldrini: "Finalmente si dà una risposta a donne, ragazze e associazioni che hanno fatto una battaglia di giustizia insieme a tante di noi. Nella prossima Legge di bilancio, riduzione Iva sugli #assorbenti. No #tampontax! Un sostegno concreto a chi, più di tutti, ha pagato la crisi!"
E la pink tax?
Il problema non è solo la Tampon Tax. Infatti, c'è chi non si limita a guardare solo l'ingiustizia contenuta nel prezzo degli assorbenti, ma prende in considerazione il quadro generale. Da qualche tempo si parla infatti di "pink tax", un sovrapprezzo applicato ad alcuni prodotti - come i rasoi - che, se realizzati per le donne, costano mediamente di più rispetto a quelli normali da uomo.
Secondo un'indagine condotta da Idealo, portale di comparazione prezzi per gli acquisti digitale, anche online le differenze dei prezzi per i prodotti gender oriented si fanno sentire.
Se si prende in considerazione anche il fatto che in Italia lavora il 51% delle donne contro il 74% degli uomini, e si aggiunge anche una cospicua disparità salariale (un’italiana in media guadagna 0,47 centesimi per ogni euro guadagnato da un uomo), il risultato è l'impossibilità, fino a questo momento, per la popolazione femminile italiana, ma anche mondiale, di risparmiare e, soprattutto, di ricevere un trattamento equo anche al supermercato.