Tra giugno e luglio il nostro Pianeta è stato sconvolto da temperature record, alluvioni, incendi. Episodi così diversi, in realtà, sono profondamente legati l'uno con l'altro e ci dimostrano in modo inequivocabile quanto sia urgente cambiare il nostro modello di sviluppo. Parola di Luca Mercalli, meteorologo e divulgatore.
Tra giugno e luglio il nostro Pianeta è stato sconvolto da temperature record, alluvioni, incendi. Episodi così diversi, in realtà, sono profondamente legati l'uno con l'altro e ci dimostrano in modo inequivocabile quanto sia urgente cambiare il nostro modello di sviluppo. Parola di Luca Mercalli, meteorologo e divulgatore.Germania, Paesi Bassi e Belgio in ginocchio per le piogge torrenziali che hanno fatto esondare i fiumi, sommergendo case e strade e causando oltre 180 morti. La cupola di calore che intrappola l’America settentrionale, costringendo le persone a cercare riparo all’interno di “centri di raffreddamento” istituiti in fretta e furia. La Siberia alle prese prima con un’ondata di caldo anomalo e poi con centinaia di roghi. I 53,5 gradi centigradi registrati in Kuwait il 1° luglio. Tutti questi eventi che si sono susseguiti tra giugno e luglio sono solo tragiche fatalità? Tutt’altro. Sono la dimostrazione evidente di quanto i cambiamenti climatici siano una realtà, una realtà che ci impone di ripensare da zero il nostro stile di vita e il nostro modello economico. Parola di Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana, direttore della rivista Nimbus e appassionato divulgatore tra carta stampata, eventi e tv.
Nell'arco di un paio di settimane è successo di tutto: la cupola di calore tra Usa e Canada, le alluvioni in Germania e Belgio, gli incendi. Spesso si fatica a cogliere il collegamento tra questi fenomeni così diversi. Come lo spiegherebbe a un bambino?
Gli spiegherei cosa sono gli eventi estremi. Un evento meteorologico estremo è qualcosa che si verifica raramente, per esempio una volta ogni secolo, o che addirittura non si è mai visto prima nella storia delle osservazioni meteorologiche di cui disponiamo. La temperatura in Canada è qualcosa di nuovo: i 49,6 gradi centigradi di Lytton, vicino a Vancouver, non erano mai stati registrati da quando esistono le misurazioni in quella zona. In altri casi fenomeni del genere potrebbero essersi già visti, come un’alluvione che si verifica con estrema rarità. Gli eventi estremi possono diventare più frequenti e più intensi se riscaldiamo l’atmosfera perché c’è più energia in gioco, oppure ne possono arrivare di nuovi: per esempio una pioggia più forte e dannosa, o una temperatura come quella vista in Canada.
Gli eventi estremi sono di diverso tipo. Rientra in questa categoria anche la siccità che ha colpito la California per quattro anni consecutivi. Oppure i 45-50 gradi centigradi raggiunti in Australia alla fine del 2019, che hanno innescato un’ondata gigantesca di incendi. Oppure le piogge fortissime che hanno generato le alluvioni in Germania. Anche un uragano è un evento estremo: finora ce ne sono stati tanti ma non sono tutti uguali, differiscono per la velocità del vento e la quantità di pioggia. Ci sono zone abituate a un uragano di media intensità ogni tanto, ma quell’uragano può diventare più intenso e creare più distruzione.
Stupisce che ci siano stati danni e centinaia di morti in Germania, un paese caratterizzato da infrastrutture di eccellenza. Questo fa pensare al fatto che anche sul fronte dell’adattamento ci sia qualcosa in più da fare…
L’uomo ha sempre praticato l’adattamento nei confronti del clima. Ma è chiaro che, se i dati cambiano, anche l’adattamento di ieri non funziona più e deve cambiare. Se in Germania la portata dei fiumi ha superato quelle precedenti, è chiaro che i ponti vanno costruiti in un altro modo e gli argini devono diventare più alti o bisogna abbandonare le zone a rischio in riva ai fiumi. L’adattamento deve seguire l’evoluzione del clima. Cambiano anche le regole architettoniche e infrastrutturali che abbiamo seguito fino adesso per progettare case, strade e ponti.
Foto: AP Photo/Bram Janssen
Lei in una recente intervista ha dichiarato che anche in Italia ben presto ci saranno i profughi climatici. Può spiegare meglio qualche scenario che appare plausibile?
Prenderei due città simbolo della vulnerabilità al clima. Una è Genova, molto esposta ai nubifragi e alle alluvioni perché è una ristretta fascia sovrappopolata tra il mare e le montagne. Di conseguenza è soggetta a queste piene-lampo, torrenti che vanno in piena in un quarto d’ora e invadono l’area urbana con gravi rischi per l’incolumità delle persone. Un conto è avere un’alluvione grave ogni cinquant’anni, un conto è averla tutti gli anni. In futuro alcuni quartieri potrebbero essere abbandonati del tutto.
Un’altra città fragile è Venezia, esposta all’aumento del livello del mare, dovuto a sua volta alla fusione dei ghiacciai e alla dilatazione termica delle acque (i mari, scaldandosi, aumentano di volume). Attualmente gli oceani crescono di 3,5 millimetri all’anno. Se davvero il mare aumenterà di un metro entro questo secolo, Venezia si spopolerà gradualmente. Anche le altre città lagunari, come Chioggia e Comacchio, non saranno messe meglio. Quindi potranno esserci profughi climatici della zona del Delta del Po e dalla laguna veneta.
Proprio a Venezia, al G20, è emersa un'apertura verso la carbon tax, la tassazione sulle emissioni di CO2. L’Unione europea invece preferisce dare un prezzo più alto ai prodotti di importazione che hanno un maggiore impatto sul clima. Questi sistemi fiscali possono essere la chiave di volta? E ci stiamo veramente arrivando, visto che se ne parla da anni ma si fatica a concretizzarli?
Il problema è così grande e complesso che non c’è una sola soluzione. La tassazione della CO2 è sicuramente una leva utile che va sviluppata, ma non è sufficiente perché siamo immersi in una gigantesca crisi dell’intera civiltà. Serve qualcosa di più profondo, cioè una maturazione del nostro rapporto con la natura. Siamo imbevuti di una visione di conquista della natura, ma l’uomo fa parte della natura e, distruggendola, distrugge anche sé stesso. Sono le cose che ha scritto Papa Francesco sei anni fa nell’enciclica Laudato Si. Serve la fiscalità e serve anche la tecnologia, perché passare dalle energie fossili alle rinnovabili richiede nuove tecnologie. Ma non basta uno solo di questi ingredienti, occorre anche un cambiamento più profondo, filosofico, nell’approccio alle risorse di un Pianeta che è limitato.
La Commissione europea proprio pochi giorni fa ha pubblicato il maxi-piano per realizzare il Green deal, una strategia colossale che agisce sulla fiscalità, sulla mobilità e su molte altre aree. Quali sono le sue impressioni?
Per ora sono stati pubblicati gli enunciati generali, ma ci vorrà del tempo perché queste norme siano effettivamente approvate dal Parlamento europeo ed entrino nella nostra vita quotidiana. Risiedono comunque tutte sul principio di cui abbiamo parlato prima. Le emissioni di CO2 che nuocciono al clima devono essere gradualmente tassate per favorire la transizione verso tecnologie non inquinanti. Dentro queste misure però non c’è l’aspetto filosofico, non c’è il cambiamento di cultura. C’è solo un approccio eccessivamente semplificato: c’è stata una malattia, somministriamo una medicina. Ma la medicina cura soltanto i sintomi, non la causa. La causa è l’economia in cui siamo inseriti che pretende una crescita infinita in un Pianeta finito. Bisogna cambiare le nostre aspettative sul futuro, quindi cambiare l’economia e cambiare la filosofia. Torno a Papa Francesco perché il suo è l’unico documento di un grande leader mondiale in cui quest’approccio c’è. Non si può risolvere il problema ambientale solo coi pannelli solari o con la carbon tax, occorre anche la sobrietà. Però si tratta di qualcosa di personale che non si può imporre per legge.
A vent’anni dal G8 di Genova, torniamo a riflettere su quanto sia sbagliato il nostro modello di sviluppo…
Questa considerazione ci fa capire quanto il problema ambientale sia complesso e riguardi tutti i saperi. Non può essere risolto con un singolo provvedimento. Purtroppo c’è un’incredibile resistenza contro queste riflessioni. Non si vuole accettare questa realtà così chiara: la crescita infinita non è possibile in un mondo finito. Questo sì che lo capirebbe anche un bambino. Anche l’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) a gennaio 2021 ha affermato che la crescita economica è il motivo scatenante dei danni ambientali e climatici. Pur non avendo fatto notizia, è una dichiarazione scientifica da parte di un organo istituzionale dell’Unione europea. Non pretendo di avere le soluzioni pronte, perché non le ha nessuno. Se tutti però accettassimo questa verità, ci metteremmo al lavoro come risolverla. Invece siamo come malati che ripetono: “Io sto benissimo!” e rifiutano di farsi visitare da un medico.
Foto apertura: LaPresse