Buona per noi e per l’ambiente: la dieta per la salute planetaria si promette efficace per rispondere alla
domanda di salute e di sostenibilità delle 10 miliardi di persone che nel 2050 abiteranno la Terra. Come
funziona? Trattasi di ricetta infallibile o di utopia?
Buona per noi e per l’ambiente: la dieta per la salute planetaria si promette efficace per rispondere alladomanda di salute e di sostenibilità delle 10 miliardi di persone che nel 2050 abiteranno la Terra. Come
funziona? Trattasi di ricetta infallibile o di utopia?
Che sia da commercio equo e solidale, che sia a km zero, che sia biologico, che sia “nostrano”, che sia senza zuccheri aggiunti, che sia senza coloranti artificiali, che sia proveniente da produzioni responsabili, che non sfrutti la forza lavoro, che sia confezionato in imballaggi riciclabili…
Le stai calcolando proprio tutte prima di alzare il braccio, afferrare il prodotto alimentare che ti sembra il miglior compromesso e… Scoprire che costa tantissimo!
Mettere in tavola un pasto sostenibile da un punto di vista etico e ambientale e al contempo sano per il nostro benessere non è facile, non lo è mai stato a dire il vero. Ma siamo di fronte a segnali inequivocabili dell’urgenza di trovare una soluzione se ci riteniamo consumatori un minimo informati: le future generazioni (ma già la nostra naviga in pessime acque) erediteranno un pianeta gravemente danneggiato in cui parte sempre maggiore della popolazione mondiale soffrirà di malnutrizione mentre un’altra parte si ammalerà di patologie croniche legate all’assunzione di cibi ultraprocessati e poveri di nutrienti. Le proiezioni, inoltre, stimano che nel 2050 saremo in 10 miliardi ad abitare la Terra e meritiamo tutti di mangiare bene.
Una dieta per la salute planetaria, la proposta comparsa su Lancet
Lancet, una delle più importanti riviste scientifiche a livello internazionale, ha incaricato la commissione EAT (organizzazione di scienziati indipendente senza fini di lucro con base a Oslo) di analizzare la questione da vari punti di vista e ne è uscita una proposta a fine 2019 di Dieta planetaria, o meglio di Dieta per la salute planetaria il cui scopo è sottolineare “il ruolo fondamentale che le diete svolgono nel legare la salute umana alla sostenibilità ambientale e il bisogno di integrare queste agende, spesso separate, in un’unica agenda globale per la trasformazione del sistema alimentare in linea con gli SDGs Obiettivi di sviluppo sostenibile e l’Accordo di Parigi” della COP 21.
Cosa prevede la dieta per la salute planetaria?
Secondo gli obiettivi scientifici elaborati al triplice scopo di
- favorire una transizione a livello globale verso diete sane;
- migliorare le pratiche di produzione alimentare;
- ridurre eccedenze e sprechi;
un piatto della salute planetaria dovrebbe essere costituito per metà da frutta e verdura mentre l'altra metà, in termini di apporto calorico, dovrebbe presentare principalmente cereali integrali, proteine di origine vegetale, acidi grassi insaturi, e (non obbligatoriamente) modeste quantità di proteine di origine animale.
Come tradurre in numero di calorie giornaliere questa “ricetta”? Gli studiosi hanno calcolato che per un apporto di 2.500 kcal/giorno si possa fare riferimento a questo schema che, sottolineano gli autori, “prende vita da considerazioni generali legate alla salute e non prevede che la popolazione mondiale debba consumare lo stesso cibo”.
Non si tratta di seguire, dunque, una dieta vegetariana o dieta vegana perché l’apporto di proteine da fonti animali è presente, seppur in quantità drasticamente ridotta rispetto agli stili alimentari medi di diverse popolazioni occidentali. Quali sarebbero i benefici in termini di salute? La commissione ha stimato che attraverso la dieta planetaria di potrebbe contribuire a prevenire la morte di circa 11 milioni di persone ogni anno, pari al 19-24% dei decessi totali tra gli adulti.
Oltre a ridurre sensibilmente il numero di pazienti cronici per patologie cardiovascolari nelle società del benessere e arginare la piaga della malnutrizione nel mondo, la Dieta planetaria contempla benefici sociali e ambientali: si insiste, infatti, anche su una produzione di qualità e una riduzione degli sprechi alimentari come migliorativi proposti nelle proiezioni stimate dalla Commissione EAT-Lancet, che ha riunito 19 commissari e 18 coautori provenienti da 16 paesi, esperti in vari campi tra cui la salute umana, l’agricoltura, le scienze politiche e la sostenibilità ambientale.
Dieta della salute planetaria, tra controversie e proposte alternative
Uno schema alimentare che proponga una riduzione drastica del consumo di carne ha trovato da subito una massiccia ondata di contestazione. Contestualmente alla pubblicazione di questo rapporto, l’hashtag #yes2meat ha acquistato popolarità e, sebbene sia stato spesso utilizzato per promuovere schemi alimentari a base di carne indipendentemente dalla dieta planetaria, è diventato in poco tempo indicativo dei messaggi degli oppositori che si sono schierati contro la proposta pubblicata su Lancet.
Ma non è il consumo di carne la sola criticità riferita da altri esperti. Su Psychology Today, Georgia Ede firma un articolo in cui si sottolinea alcuni limiti come:
- la necessità di far seguire trials clinici agli studi epidemiologici in quanto questi ‘ultimi, secondo Ede, sono in grado solo di fornire ipotesi tutte da verificare;
- la necessità di considerare esigenze nutrizionali specifiche come quelle delle donne con carenza di ferro, delle gestanti, dei giovani in età dello sviluppo e degli anziani. In alcuni casi la carne rossa giudicata pericolosa potrebbe essere sostituita da altre fonti di origine animale (ad esempio pollo, anatra…), la riduzione della possibilità di scelta di cosa sia preferibile mangiare non è un parametro “scientifico” per formulare una dieta da estendere al pianeta;
- l’eventualità, non esplicitata in una reale accusa, che ci possa essere un conflitto di interessi tra quanto viene proposto e la pressione di produttori di alcune tipologie di alimento.
A tal proposito anche un team di ricerca dell’Università degli studi di Milano ha pubblicato un lavoro che si concentra sull’opportunità di non considerare in modo rigoroso la proposta alimentare della dieta presentata dalla EAT-Lancet Commission. Nelle loro conclusioni gli autori sottolineano come la possibilità di apportare modifiche talmente ampie alle abitudini alimentari della popolazione possa far rinunciare del tutto l’adozione di uno schema dai nobili obiettivi.
E in Italia si lavora alla Dieta Planeterranea
Noi italiani, quando si parla di mangiar bene, non ci tiriamo indietro e forti del prestigio e dei riconoscimenti mai scientificamente attaccati della dieta mediterranea, abbiamo messo in atto alcune controproposte costruttive.
I ricercatori dell’Università Federico II di Napoli partono dal presupposto che “le verdure, la frutta, i cereali e i grassi insaturi disponibili in diverse parti del mondo possano essere combinati per mettere a punto paradigmi nutrizionali locali, basati su prove scientifiche. Puntiamo a definire diverse "piramidi nutrizionali" – è descritto nella presentazione del progetto –, basate sugli alimenti disponibili localmente, che presentino le stesse proprietà e gli stessi benefici per la salute (assieme a processi produttivi rispettosi dell'ambiente) osservati per la Dieta mediterranea”.
Questo filone di ricerca vuole radunare a chiamata gli studiosi e gli chef delle diverse aree del mondo per collaborare alla possibile ideazione di una Dieta Planeterranea in cui, ad esempio:
- in America Latina si privilegeranno l’avocado, la papaya, le banane verdi, e le bacche di andaçaí come fonti di acidi grassi monoinsaturi;
- i semi di sesamo e la soia, tradizionali alimenti del continente asiatico, caratterizzeranno le componenti antiossidanti in grado di ridurre l'ipertensione, lo stress ossidativo, la resistenza all'insulina e i marcatori infiammatori;
- e così via per le proprietà delle microalghe marine e la spirulina sempre nell’alimentazione orientale oppure le noci di Macadamia australiana, l’olio di canola canadese…
Al momento non sono state coinvolte, ma quanto sarebbe opportuno se a questa grande ricerca fossero interpellate le nostre nonne che di cucina tradizionale, frugale, nutriente e sostenibile ne hanno fatto l’esperienza di una vita?