Come rivoluzionare il nostro modo di vivere la sessualità, sfidare le regole che ci opprimono, e imparare a darci piacere. E valore. Dentro e fuori dal letto.
"Un letto, un odore acre di sudore misto a qualche profumo scadente, un fidanzato, e poi io, il mio corpo sotto al suo che viene mosso dalle sue spinte convulse. Lui il batticarne, io la fettina pronta da panare e friggere".
Così Giulia Zollino - sex worker, educatrice sessuale e attivista autrice del libro "Sex Work is work" (Eris Edizioni) - descrive alcune delle volte, tante, troppe, in cui ha fatto sesso. Momenti in cui provava talmente poco piacere da dissociarsi completamente e da ripercorrere la lista degli ingredienti della prossima torta che avrebbe infornato. Quel pensiero la aiutava a resistere, a sentire meno il dolore.
Perché a volte non abbiamo il coraggio di dire cosa ci piace veramente? Perché siamo a disagio nel comunicare i nostri desideri, ci sentiamo sbagliate, non abbastanza magre, depilate o sexy? Perché proviamo un senso di colpa profondo al pensiero di non piacere abbastanza?
Ne abbiamo parlato assieme.
Come è nata l'idea di scrivere un libro?
In realtà il libro è nato da una proposta arrivata da Eris Edizioni, che seguiva il mio lavoro su Instagram e mi ha proposto di scrivere qualcosa sul tema del sex work. Io ho iniziato a parlare di questo tema nel 2019, su Instagram appunto, con l'obiettivo di far luce su un tema che era pressoché sconosciuto: non se ne parlava o se ne parlava in modo molto parziale, in modo sbagliato secondo me. Io avevo un'esperienza personale come sex worker e in più lavoravo presso l'unità di strada di Parma: mi confrontavo con diverse sex worker, parlavo del mio lavoro con le persone che incontravo e notavo che non sapevano nulla dell'argomento, e che destava tanta curiosità. Ho deciso così di parlarne sui social per provare a destigmatizzare il tema. Da lì è arrivata la proposta.
Che tipo di feedback riscontri nei lettori?
Sin da subito abbiamo ricevuto feedback positivi. Si tratta perlopiù di persone che mi seguivano già e hanno ritrovato tutto il mio lavoro in questo libricino. La cosa che mi piace è quando mi dicono di averlo regalato a parenti o amici, che magari non conoscevano minimamente la questione. Perché effettivamente è un libro breve, semplice, che aiuta a farsi un'idea: non scende troppo in profondità, quindi aiuta ad acquisire informazioni generali ma importanti sull'argomento. Sono contenta perché chi lo ha letto adesso è anche un po' più attento al linguaggio che utilizza, è più informato: questo significa che abbiamo raggiunto alcuni obiettivi che ci eravamo prefissati.
Cos'è per te il sesso?
Io direi che è una connessione. Con te stessa o con un'altra o più persone. Di base trovo sia un connettersi con tutto ciò che è quell'altra persona: un corpo ma anche un insieme di emozioni, pensieri. Una storia. Il sesso è un modo per entrare in connessione e in intimità con qualcun altro o con te stesso.
Cosa significa per te essere una sex worker?
Significa lavorare con la mia sessualità. Ho fatto varie tipologie di sex work. Al momento creo dei contenuti erotici, pornografici, e per me è un modo per esprimermi. Oltre a essere a un lavoro è qualcosa di molto terapeutico per me. Nel senso che da persona che per tanti anni ha fatto fatica a vivere serenamente la propria sessualità e il proprio corpo, il sex work è stato un modo per imparare ad accettarmi di più, ad accettare il mio corpo, i miei desideri e sperimentare. Quindi è un lavoro ma c'è anche una componente di crescita personale in quello che faccio.
Che cosa è scattato dentro di te quando hai deciso di andare in una direzione diversa e affrontare questa difficoltà che tu vivevi?
Una serie di eventi probabilmente. Fino ai 19 anni non sapevo nulla di sesso. Poi a un certo punto c'è stato l'incontro con una persona, della quale mi sono innamorata e con la quale ho instaurato una relazione. Ma c'è stato anche l'incontro con un'altra città, Bologna, un ambiente diverso e il femminismo. Questo ha segnato moltissimo per tanti aspetti la mia vita: mi ha aiutato a capire di più di me stessa e ad andare un po' oltre alcuni limiti, alcuni tabù che avevo. Poi avevo una grande voglia di vivere più serenamente, perché mi rendevo conto che ero molto ingabbiata e non stavo facendo quello che desideravo. Quindi l'esplorare la sessualità e il lavoro sessuale sono stati un modo per andare oltre questi confini che limitavano la mia espressione.
In che modo il sesso ti ha aiutato a crescere?
Sicuramente parte tutto molto dal corpo. Per fare sesso si utilizza il corpo e per me utilizzare il mio corpo, mettere in mostra il mio corpo, scoprire come potevo provare piacere, come potevo dare piacere, ma soprattutto scoprire il mio di corpo, è stato molto potente, perché mi ha dato molta più consapevolezza e molti più strumenti per accettarmi di più. Quindi per me diciamo che è stato mettere in campo il corpo e andare oltre tutti i giudizi e tutte le paure che avevo nell’esprimermi: il sesso è un’attività che ti porta a esprimerti e a usare il corpo. In questo senso mi ha aiutata a liberarmi un pochino di più.
Da cosa nascono, secondo te, i “blocchi” che molte persone (spesso anche molto giovani) hanno sul piano sessuale?
Principalmente dall’educazione che abbiamo ricevuto. Ci hanno insegnato che il sesso è qualcosa in funzione della procreazione (quindi sesso riproduttivo e basta). Non ci hanno insegnato la parte più ludica, più divertente, legata magari solo al piacere del sesso. Tipico di un’educazione cattolica e bigotta. Per chi è nata come me in dei paesini piccolini di campagna, questa cosa si sente molto. Un conto è nascere in una città grande e un conto è stare in un paesetto di campagna. Quindi sicuramente dall’educazione e dalla religione.
La pornografia, secondo te, può contribuire a creare delle aspettative errate?
Assolutamente sì. Il porno che siamo abituati a vedere, quello più mainstream, quello più conosciuto, mette in scena una sessualità abbastanza stereotipata. Quasi sempre stiamo parlando di corpi che sono in qualche modo perfetti, quindi attori con un pene molto lungo, con un fisico molto muscoloso; attrici magari molto depilate, con un seno abbondante, però comunque magre. Questi sono i corpi che vanno per la maggiore in quella tipologia di porno. E il sesso che si mette in scena è un sesso che è penetrativo e che rispetta un copione preciso. È normale che, se siamo abituati a vedere solo quel film lì, poi lo riproduciamo anche nella nostra vita. Ma in realtà non soltanto il porno. Secondo me ad alimentare e a produrre questi blocchi sono anche altre rappresentazioni della sessualità e dell’amore. Penso anche a film banalissimi, non porno, ma che includono scene di sesso. Come sono queste scene di sesso? Vediamo sempre le stesse mosse, sempre lo stesso copione, quindi è chiaro che il nostro occhio si forma su quelle dinamiche lì. E quindi le riproduciamo e, se non riusciamo a riprodurle, ci sentiamo frustrati. Però è finzione e infatti è una cosa da tenere a mente. Perché il porno non va abolito, però ricordiamoci che è una rappresentazione, una finzione, è qualcosa che non è la vita vera. Si sviluppa tutto intorno al pene. Sto generalizzando molto, ma questo è come si approcciano al sesso le persone con il pene. Pensando alle mie esperienze e a quelle delle mie amiche e delle persone che conoscono che hanno fatto sesso con uomini etero con il pene, tutto si sviluppa lì. Credono veramente di essere protagonisti della scena e che il pene sia al centro e tu lo veneri… ma non funziona così e bisogna capire che non funziona così. Non c’è solo quello, ci sono milioni di cose che si possono fare.
In generale la qualità della pornografia “usa e getta” è molto bassa.
Sì, per tanti anni c’è stato un solo tipo di pornografia, creata, pensata da uomini. A un certo punto sono arrivate delle donne. Delle donne che non sono hanno solo ricoperto il ruolo di attrici e di performer, ma si sono messe dietro e hanno creato i propri film. Come, ad esempio, Erika Lust, ma lei è la più nota. Ci sono tante altre realtà: penso a Paulina Papel, Lustery, Ersties... ci sono veramente tantissime realtà che si propongono di offrire una rappresentazione diversa, un po’ più plurale della sessualità e che insistono su delle condizioni di lavoro etiche. Si parla di porno etico, perché le condizioni di lavoro dei performer di quelle tipologie di produzioni è etica. Perché se andiamo nel porno mainstream non spesso le condizioni lavorative delle sex worker, di chi lavora sono effettivamente etiche. Ci sono anche delle situazioni molto, molto pesanti.
Non ti sembra che la sovraesposizione mediatica veicolata dal web in particolar modo abbia tolto al sesso quell’alone di mistero, di poesia che in passato lo rendeva così desiderabile, appagante e… se vogliamo … “creativo”?
È interessante questa domanda. Io credo che meno mistero c’è e meglio si sta. L’idea che il sesso sia qualcosa che avviene spontaneamente, qualcosa di magico, che deve svolgersi senza interruzioni, qualcosa di poetico… secondo me è un po’ problematica. Credo che parlarne invece, vedendo anche film porno, tirando fuori l’argomento, aiuti a uscire da quel mistero, che secondo me è problematico, perché non ci dà gli strumenti per viverlo in maniera più sana, più corretta, più soddisfacente. Parlarne significa acquisire gli strumenti che ti permettono di viverlo in maniera anche più creativa, perché spesso tante persone che vengono in consulenza con me non sanno che cosa inventarsi. Magari anche persone che provano dolore nella penetrazione, a causa di disfunzioni del pavimento pelvico, ad esempio, che mi dicono “Ok, quello non lo posso fare. Ma che cosa faccio?”. Io le aiuto, le spingo ad informarsi su altre tipologie, altre modalità di fare sesso. Perché non è soltanto sesso orale, penetrazione e basta. Ci sono tantissime cose. Quindi informarsi significa essere anche più creativi, secondo me.
Tu tieni dei laboratori sulla promozione del benessere sessuale? In cosa consistono?
Parliamo di come proteggersi dalle infezioni durante il sesso, proteggersi da gravidanze.. ma soprattutto piacere, desiderio, fantasie, pornografia, erotismo, poliamore e relazioni non monogame. quest’ultimo in particolare è stato un tema interessantissimo per le persone, l’ho trattato nei laboratori e ho riscontrato tanta partecipazione, necessità di vivere le relazioni in modo diverso. Di solito porto degli spunti e poi ci riflettiamo insieme.
Che tipo di problemi, turbamenti, difficoltà hanno le persone che si rivolgono a te per consulenze?
La cosa più comune che ho riscontrato è la difficoltà nell’accettare il corpo. Donne che non riescono a vivere serenamente la sessualità perché non riescono a vivere serenamente il proprio corpo. Abbiamo iniziato dei percorsi per riuscire a svincolarsi dall’idea del corpo come oggetto che deve rispettare alcuni standard, iniziare a cambiare prospettiva e vedere il corpo come strumento, come qualcosa che possiamo usare per piacere. Anche la difficoltà nel provare l’orgasmo, la paura di dire che cosa ci piace, la paura di dispiacere l’altro è molto comune, nelle donne in particolare.
Quanto pensi influiscano i problemi e le insicurezze personali sulla sfera sessuale?
I problemi legati all’ansia vanno a influenzare l’aspetto della sessualità. Se abbiamo difficoltà nel comunicare le abbiamo sia dentro che fuori dal letto.
Quali sono i motivi che spingono gli uomini a pagare?
Sugli uomini che comprano servizi sessuali c’è un testo molto bello di Giorgia Serughetti che si chiama “Uomini che pagano le donne” che affronta in maniera molto approfondita il tema della domanda maschile che spesso si tende a banalizzare sostenendo che l’uomo vuole esibire il proprio potere/virilità quindi copra il sesso. In realtà può esserci la dinamica di potere ma ci sono mille altre cose.
Ad esempio?
Ad esempio c’è il senso di solitudine. Si sentono spesso soli, giudicati nel vivere alcuni aspetti della sessualità, quindi avere una relazione con una sex worker è un’occasione per mostrare questo lato di sé ed esplorare pratiche di cui provano vergogna. C’è anche un tema legato banalmente al piacere: “ho bisogno di provare piacere e quindi pago una persona che mi aiuti a soddisfare questa esigenza”.
E invece cosa spinge le donne a pagare per servizi sessuali?
E’ un tema poco studiato, non c’è molta letteratura in merito. I sex worker uomini sono pochi e l’offerta è poco variegata, sia in termini di persone e pratiche che di prezzi: è difficile che una donna riesca a fare sesso con 20 euro, un uomo può. I gigolò in media hanno prezzi alti, a loro si rivolgono donne mediamente su con l’età: dai 50 in su, perché oggettivamente hanno più disponibilità economica di una persona di 20 anni.
La regolamentazione del lavoro di sex worker in Italia.
Prima della legge Merlin lo stato regolamentava la prostituzione, c’erano le case chiuse e una prostituzione non regolamentata che si svolgeva fuori dalle case. Non era sempre un bene, le condizioni delle sex worker che lavoravano nelle case non erano delle migliori, erano luoghi anche di sfruttamento lavorativo abbastanza pesante. Adesso siamo in un modello abolizionista che però ha creato un vuoto: prostituirsi è lecito ma non è regolamentato e ci sono reati di sfruttamento, favoreggiamento, induzione, che rendono difficile l’esercizio della prostituzione.
Quindi sei pro o contro case chiuse?
Dipende. Delle proposte di legge sono state fatte, spesso dalla Lega, ma la motivazione è sempre: rinchiudiamole così non le vede nessuno. Se la motivazione è questa a me fa abbastanza schifo e non vorrei che si tornasse pre legge Merlin
In Nuova Zelanda, dove il lavoro sessuale è tutelato e viene considerato un lavoro normale, le sex worker possono lavorare negli appartamenti e si autogestiscono. Sono state create piccole cooperative, e stare in uno spazio chiuso e controllato le aiuta molto.
Hai subito offese o discriminazioni per la tua attività di sex worker?
Penso di essere abbastanza fortunata. Non ho mai vissuto episodi di stigma o violenza come è successo o succede ad altre sex worker che magari sono più esposte. Ovviamente sulla base del lavoro che fai c'è uno stigma diverso. Ad esempio se lavori in strada e sei una donna migrante, o una donna trans, vieni molto più discriminata rispetto a una giovane ragazza come me che ha sempre lavorato online. Però sicuramente ci sono state delle offese, delle persone che si sono allontanate perché non accettavano questo mio lavoro. Una cosa che mi capita più recentemente è il rifiuto di alcune scuole. Io appunto lavoro come educatrice sessuale e a volte le studentesse e gli studenti mi contattano per organizzare dei laboratori: più di una volta è capitato che ci organizzassimo ma poi intervenisse qualcuno della scuola a dire "No, non parlate di sesso e soprattutto non con lei perché potrebbe indurre le ragazzine a prostituirsi". Ormai la prendo a ridere, ma tanto non ci ferma nessuno perché poi con questi studenti riusciamo a organizzarci comunque. La prendo a ridere ma allo stesso tempo fa riflettere e fa tristezza che non si possa parlare del tema e che il fatto che io ne parli e faccia sex work voglia dire automaticamente che "ti induco a farlo". Poi gli studenti hanno in ogni caso la capacità di scegliere e dire "no, non lo voglio fare".
Cosa ne pensi dell'assistenza sessuale ai disabili?
Non mi piace utilizzare un altro nome per identificarla. Voglio dire: perché parlare di "assistenza sessuale" quando parliamo di persone con disabilità? Sono dei clienti come altri. Alcune persone contrarie al sex work ti dicono: "Vabbè dai, con le persone con disabilità lo accetto perché poverini..". Non mi sembra giusto. Poi è chiaro che ci vogliono delle competenze specifiche. Infatti ci sono all'estero ma anche in Italia delle figure professionali specializzate. In Italia ad esempio c'è una figura che si chiama OEAS, ovvero "Operatrice all'emotività, all'affettività e alla sessualità". Una figura che lavora con persone con disabilità: l'hanno pensata distinta dall'assistente sessuale perché non si fa sesso con il cliente ma è più un accompagnamento di scoperta alla sessualità, una sorta di educazione.
Come è vedere che altre persone fanno dei passi avanti in ambito sessuale anche grazie a te?
La cosa che mi emoziona di più è quando mi raccontano di essere riuscite o riusciti a mostrare il proprio corpo. Ci sono ragazze che vivono con difficoltà il fatto di avere i peli, o non riescono a stare in topless al mare, e magari mi scrivono dicendo di essere riuscite a superare l'ostacolo, di aver fatto quello di cui prima in qualche modo si vergognavano (in questo caso ad esempio uscire con i peli sulle gambe, o togliere il pezzo di sopra al mare): sono i messaggi che più apprezzo e mi va di spingere questo tipo di cambiamento qui. Che poi si riflette anche nella vita sessuale, perché sentirsi libere fa sentire più sicure.
La monogamia esiste?
Sì, esiste perché ci sono persone monogame. Non so quanto sia naturale. E' una scelta che tante persone fanno, spesso dandola per scontata. Molti neanche si chiedono in che tipo di relazione vorrebbero stare, come se esistesse una sola forma che è appunto quella della relazione monogama. Per me va benissimo purché sia una scelta consapevole. La cosa interessante per me delle non monogamie e di tutto il tema del poliamore è questa messa in discussione, cioè il lavorare su se stessi e chiedersi che tipo di rapporto si desidera realmente: è una forma relazionale che ti fa lavorare molto anche sulla comunicazione, sulla gelosia, su tante emozioni che ci fanno paura.
Cos'è la gelosia?
Non so da dove arrivi, ma sicuramente è qualcosa di culturale. Legata alla proprietà privata, al matrimonio, alla famiglia. Ma è anche molto umana. Per ogni persona è diverso: per qualcuno può essere paura di essere abbandonato, per altri paura del rifiuto, per altri paura di restare soli. Secondo me può essere un'alleata per capire su cosa, di noi stessi, dovremmo andare a lavorare. Siamo abituati a vederla come qualcosa di negativo, da negare o da reprimere, e invece forse dovremmo accettarla, starci dentro, capirne il motivo e da lì, quindi, capire come gestirla.
Si possono amare più persone contemporaneamente?
Sì, ma in modo diverso. Così come possiamo avere più amicizie, più persone amiche e avere con ogni persona un rapporto diverso (magari ce l'amica con cui vai a mangiare fuori, l’altra con cui ti vai a divertire, l’altra che ti fa i discorsi profondi), la stessa cosa avviene tra partner. Anche se abbiamo relazioni che implicano magari il sesso (ne possiamo avere varie), ma ogni persona, ogni rapporto è speciale.
Ognuno deve esserne consapevole?
Sì, assolutamente. Altrimenti è tradimento.
Tu hai sempre trovato persone consapevoli?
No, decisamente no. Ma neanche io lo ero. Io ho una relazione che dura da tanto tempo, che è cominciata come una relazione monogama e che si è trasformata nel tempo ed è diventata prima coppia aperta, poi poliamorosa. Ed è un’analisi continua, un continuo capire, perché ci si evolve, si cambia, e le regole che valevano prima non è detto che valgano anche adesso. E anch’io se penso alla me di vent’anni che aveva cominciato quest’esperienza… il disastro più totale: non capivo nulla, gestione emotiva pessima… Adesso non mi sento una fenomena, ma informarsi sul tema, parlare con persone che hanno più esperienza su queste tematiche ti aiuta ad avere più consapevolezza.
Stare in un rapporto non monogamo significa sapere che il tuo compagno può conoscere/stare con un'altra. Come reagisci quando succede?
Dipende. A volte sono tranquilla, a volte meno, perché magari in quel periodo sono emotivamente più fragile. Di certo avere una relazione poliamorosa non significa dire "ah che bello che ti piaccia quest'altra persona!". Per arrivare a quello stadio ci vuole un po' di tempo. Vivi delle emozioni contrastanti ma la cosa bella è che le tiri fuori, le vedi assieme all'altra persona. Il problema è che non tutte le persone sono consapevoli di questa forma di relazione: magari vogliono provare ma poi non ce la fanno, quindi è complesso.