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Perché la vittoria di Donald Trump ci fa incazzare e perché non dobbiamo cedere

Le elezioni americane hanno un vincitore che può non piacere a molti, ma che non ci deve far perdere di vista il nostro tesoro più grande: la democrazia

Le elezioni americane hanno un vincitore che può non piacere a molti, ma che non ci deve far perdere di vista il nostro tesoro più grande: la democrazia

Se avete letto la notizia della vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali americane e avete provato un insostenibile bisogno di tornare a dormire, state tranquilli: non siete stati i soli e le sole. Il risultato che porterà il tycoon di nuovo alla Casa Bianca, incoronandolo quarantasettesimo Presidente degli Stati Uniti, ha gettato nello sconforto i tanti che speravano che almeno in America un politico con un processo penale a carico (in corso) non avrebbe avuto nessuna chance di tenere in mano le sorti di uno dei Paesi più influenti del Pianeta. E invece. Ma cedere alla disperazione ora, l'indomani di questa amara vittoria, sarebbe un errore.

Chi ha eletto Donald Trump

Secondo l'analisi della BBC Donald Trump è stato eletto dal 54% dei votanti maschi, bianchi (con un preoccupante picco di latinoamericani, ben il 45%, proprio quelli che lui non vorrebbe sul suolo nazionale), di età compresa tra i 45 e i 64 anni (anche l'America, dunque, non è un paese per giovani), senza alcun titolo di studio. Ha vinto in tutti gli stati in bilico e ha conquistato il maggior numero di voti popolari degli ultimi vent'anni. Insomma, gli americani lo volevano di nuovo al comando, a tutti i costi. Nonostante tutti i suoi guai processuali e gli scandali sessuali. Chi non ha da nascondere qualche scheletro nell'armadio, avranno pensato persino i più puritani?

Perché queste persone hanno eletto Donald Trump? Perché, pur con discorsi che sfidano la logica e il buon senso, The Donald ha fatto una promessa necessaria a tante persone per sopravvivere a questi tempi difficili e incerti. «Trump will fix it», Trump lo aggiusterà. Cosa? Tutto, naturalmente. Perché lui si è fatto da solo. Da vero self made man americano, sa come fare.

The Donald: un film già visto (almeno per noi)

A noi italiani, più di tanti altri popoli, questo sembra un film già visto, durato vent'anni, con un protagonista molto simile a Trump, famoso per scandali sessuali e guai giudiziari. Troppe similitudini. Troppi traumi da rimuovere per quelli di noi che "No, Berlusconi non l'ho mai votato". Per questo, forse, il risveglio degli italiani che speravano nella vittoria di Kamala Harris è stato più duro di quello di altre nazioni.

Pur non essendo la migliore dei candidati democratici, l'attuale vicepresidente americana era il famoso "male minore" a cui tanti di noi sono abituati a cedere nell'urna elettorale. Ce la saremmo fatta andar bene. Avrebbe difeso i valori in cui crediamo dalla Seconda guerra mondiale, quando gli americani sono venuti a salvarci da noi stessi.

E invece no. Ora, al comando, c'è The Donald. Che promette di far cessare in uno schiocco di dita non uno, bensì due conflitti sanguinosi in corso: la guerra in Ucraina e quella in Medioriente, come ha ribadito un gongolante Matteo Salvini da Bruno Vespa con tanto di cravatta rosso repubblicano. Ambizioso, c'è da riconoscerglielo. Fattibile? Solo il tempo potrà dirlo.

Cosa fare ora che Donald Trump ha vinto

Cosa fare ora che Donald Trump ha vinto? Intanto, non cedere alla disperazione. Sì, perché incolpare gli elettori americani di esser stati miopi (per usare un eufemismo) significherebbe acuire la frattura sociale che già dilania il discorso politico e non aiuta a trovare soluzioni costruttive e rappresentative dei tanti, tantissimi giovani che non votano perché non si sentono rappresentanti.

Inoltre, cedere alla disperazione e scagliarsi contro tutti quelli che hanno votato Donald Trump significherebbe non riconoscere lo strumento più importante a nostra disposizione: la democrazia. Trump ha vinto perché è stato votato. Ciò permetterà di avere nuove elezioni e di cercare nuovi rappresentanti capaci di guidare le persone attraverso le sfide del nostro tempo, tenendo in considerazione i bisogni di tutti, non solo dei suoi sostenitori.

Poi, la scrittrice statunitense Toni Morrison ci dà una ricetta semplice eppure impegnativa da seguire. «Questo è esattamente il tempo in cui gli artisti si mettono al lavoro. Non c'è tempo per la disperazione, nessuno spazio per l'autocompatimento, non abbiamo bisogno di silenzio e non c'è spazio per la paura. Parliamo, scriviamo... È così che la civiltà ci guarisce».

Foto di apertura: Library of Congress su Unsplash