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Violenza economica: cos'è e come prevenirla

La violenza contro le donne non è soltanto fisica e psicologica, è anche economica. Imparare a riconoscerla è fondamentale: e c’è chi si sta attivando per creare consapevolezza.

La violenza contro le donne non è soltanto fisica e psicologica, è anche economica. Imparare a riconoscerla è fondamentale: e c’è chi si sta attivando per creare consapevolezza.

Qual è la prima cosa a cui pensi quando senti parlare di violenza contro le donne? Probabilmente a un’aggressione fisica, alle minacce, allo stalking. Tutti fenomeni che – purtroppo – esistono, lo sappiamo bene. È più raro però che i giornali dedichino pagine a qualcosa di molto diverso ma altrettanto rilevante: la violenza economica. Vediamo un po’ cos’è e perché meriterebbe molta più attenzione.

La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani Sulla violenza contro le donne c’è un testo che funge da punto di riferimento internazionale. Si chiama Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, ma più brevemente è stato ribattezzato Convenzione di Istanbul, dalla città dove è stato aperto alla firma l’11 maggio 2011. Ma cos’ha di così importante? Che è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza.

Definisce la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione. E vincola gli Stati a fare tutto ciò che è in loro potere per prevenire questa violenza, proteggere le vittime e perseguire i colpevoli.

Cos’è la violenza economica di genere

Probabilmente ti stai chiedendo come mai siamo partite da così lontano, ma ora arriviamo al punto. La Convenzione di Istanbul mette nero su bianco cos’è la violenza di genere, suddividendola in quattro categorie: fisica, sessuale, psicologica ed economica. Se spiegare le prime tre risulta tutto sommato intuitivo, dedichiamo un po’ di spazio alla quarta. Lo European Institute for Gender Equality la definisce come:

Qualsiasi atto o comportamento che causi un danno economico a un individuo. La violenza economica può assumere la forma, ad esempio, di danni alla proprietà, di limitazione dell’accesso alle risorse finanziarie, all’istruzione o al mercato del lavoro, o al mancato rispetto delle responsabilità economiche, come gli alimenti.

Se ti sembrano parole un po’ fumose, facciamo qualche esempio. Se lo stipendio di una donna finisce nel conto corrente prima del padre e poi del marito, è violenza economica di genere. Se una donna smette di lavorare per prendersi cura al 100% della casa e dei bambini, e si trova a chiedere il permesso anche solo per comprarsi un paio di scarpe, è violenza economica di genere. Se si intesta prestiti di cui poi usufruisce il marito, è violenza economica di genere. Se smette di andare a scuola o all’università perché il fidanzato sostiene che il suo destino sia restare in casa, è violenza economica di genere.

Quanto è diffusa la violenza economica

Questi esempi forse ti risultano un po’ più familiari. Perché sono situazioni nelle quali, bene o male, tutte ci siamo imbattute nel corso della vita. Tutte abbiamo avuto quell’amica o quella parente che vorrebbe scappare da un contesto familiare in cui non si riconosce più ma, banalmente, non sa dove andare. Perché non ha un reddito. È la situazione in cui si trova il 30% delle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza gestiti da Di.Re., Donne in rete contro la violenza, su tutto il territorio nazionale.

Leggendo l’ultimo report (basato sulle risposte di 105 centri su 108) scopriamo che le donne accolte nel corso del 2022 sono 20.711: più della metà (14.288) sono “nuove”, cioè non avevano mai chiesto aiuto prima. Le italiane sono la maggioranza: per la precisione, il 67%. Verrebbe da pensare che si cerchi rifugio in un ambiente protetto a seguito di violenze fisiche, sessuali e psicologiche: ed è così, perché a riferirle sono rispettivamente il 58,5%, il 17,2% e l’80,4% delle intervistate.

Ma una donna su tre, per la precisione il 32,2%, ha subìto anche violenza economica. I dati coincidono con quelli dell’Istituto nazionale di statistica (Istat) che parla di un 89% dei casi di violenza psicologica, 68% di violenza fisica e 38% di violenza economica. Il totale supera il 100% perché, molto spesso, le varie forme di violenza coesistono tra loro.

Monetine, una piattaforma di attivismo civico e finanziario

La violenza economica è subdola perché, spesso, chi la subisce non la riconosce. Capire che qualcosa non va, poi, è soltanto il primo passo: perché ci sono donne che hanno tutta l’intenzione di risollevarsi ma non hanno i mezzi concreti per farlo e dunque si sentono imbrigliate. A tutte queste persone si rivolge Monetine, una piattaforma di attivismo civico e finanziario che ha vinto il bando Mio il denaro mia la scelta, assicurandosi così il sostegno di Con-etica, il programma di erogazioni liberali di Etica Sgr, società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Etica che propone esclusivamente fondi comuni di investimento sostenibili e responsabili con lo scopo di “rappresentare i valori della finanza etica nei mercati finanziari”, e Fondazione Finanza Etica.

La parola d’ordine è empowerment. Empowerment tanto delle donne in difficoltà, quanto delle operatrici dei centri antiviolenza che le aiutano a riprendere le redini della propria vita. Partendo da un presupposto: per acquisire consapevolezza, bisogna innanzitutto conoscere. Se ne occupano la consulente finanziaria e divulgatrice Ami Fall, meglio nota su Instagram come @pecuniami, e Azzurra Rinaldi, docente di Economia politica presso Unitelma Sapienza e autrice di articoli e libri sul gender gap. Sono loro i volti e le menti dei corsi di educazione finanziaria e socio-economica che aiutano le donne a costruire (o ricostruire) la propria indipendenza.