Intervista a Carola Picchiottino, cacciatrice della Valle D’Aosta che ha scelto di nutrirsi esclusivamente della carne degli animali che caccia.
Intervista a Carola Picchiottino, cacciatrice della Valle D’Aosta che ha scelto di nutrirsi esclusivamente della carne degli animali che caccia.“E dopo che hai sparato?”
“Mi avvicino, pregando che sia morto…
… soffrirei troppo a vederlo soffrire”.
Capita spesso che la morte ti insegni il valore della vita. Capita ancora più spesso quando sei tu, l’artefice, di quella morte. Il peso di aver ucciso un essere vivente con le tue mani ti fa diventare più sensibile al valore di ogni vita. Così è stato per Carola Picchiottino, 26 anni, parte di quel risicato 2 per cento di donne che cacciano in Valle D’Aosta.
Carola ha fatto una scelta. Ha scelto di nutrirsi esclusivamente della carne degli animali che caccia. Di ritrarre il piatto quando amici e parenti le offrono carne di esseri nati e allevati solo per essere mangiati. A lei la carne piace, eppure la mangia solo due volte al mese, in un pasto collettivo, circondata da persone a cui vuole bene.
La caccia che pratica è una caccia di selezione, gestita dall’Assessorato all’Agricoltura, dal Comitato per la Gestione Venatoria e dalle Guardie Forestali a tutela della biodiversità. A ogni cacciatore vengono assegnati 2/3 capi all'anno, animali che devono avere determinate caratteristiche stabilite sulla base di censimenti continui effettuati sul territorio. Il fine è un po' quello di sistemare gli equilibri sbilenchi tra uomo e fauna.
In questa lunga intervista ho imparato che “caccia” non sono solo quelli che da bambina a metà settembre sentivo sparare all’alba, fuori dalla mia camera da letto, tremando tra le lenzuola. I drogati di spari che scaricano arsenali qualche domenica l’anno mirando a qualsiasi cosa si muova nel bosco. Caccia non sono solo quelli che accecano gli uccellini con i mozziconi di sigaretta per usarli come richiami o fanno strage di pettirossi buoni per un bel piatto di polenta e osei. Quelli che arrivano a sborsare anche 50 mila dollari per sparare a una tigre o a un rinoceronte e portarsi a casa un pezzo del suo corpo come souvenir. Caccia può anche voler dire essere nella natura e sentirsene parte.
Beninteso, astenetevi dall'imbracciare il fucile e andare a cacciare il vostro capriolo nel bosco. Non tutti possiamo essere Carola, per una serie di ragioni. Ognuno di noi, però, a modo suo, ha un personale compito da svolgere per riconciliarsi con nostra Madre Natura. Quindi, se avete scelto di mangiare carne, per esempio, ogni volta che state per metterne nel carrello una vaschetta avvolta nella plastica pensate a lei (Carola). Magari, chissà, ne mangerete una fetta di meno.
Tu sei una delle pochissime cacciatrici donne della Valle D’Aosta… Come è nata la tua passione per la caccia? Chi te l’ha trasmessa?
Ho iniziato a andare a caccia da bambina… la prima volta è stato per il mio compleanno dei dieci anni, ho ricevuto come regalo che mio padre e mio nonno mi portassero con loro. E poi ho imparato grazie a loro.
La prima volta che hai ucciso un animale…
… era un camoscio, una femmina, aveva 14 anni. Ero molto ansiosa, avevo paura di ferirla. È stato molto intenso, ho sentito forte dentro di me il legame con la natura. È andata bene, per fortuna. Non volevo che succedesse niente di male, non volevo vederla soffrire.
Perché il tuo intento è quello di abbattere l’animale al primo colpo.
Sì… soffrirei parecchio a vedere un animale soffrire. Sbagliano quelli che credono che un cacciatore sia insensibile. Nell’atto dell’imbracciare il fucile e sparare a un animale spesso c’è molta sofferenza.
Cos’è la caccia per te?
Eh, bella domanda.
Ci puoi pensare se vuoi…
No. Voglio provare a rispondere. Caccia per me è… “un modo per sentirmi al mio posto”.
La prima volta che sei andata a caccia…
... ero molto piccola e non sparavo ancora, ho preso il porto d’armi quando ho compiuto 18 anni. Mi ricordo un tè… bevuto con mio nonno, che era più miele che tè. C’è stato poi un momento, una specie di epifania. Io, mio nonno e il mio papà dopo pranzo, sdraiati sull’erba. C’era il sole … ci siamo assopiti, io mi sono svegliata prima di loro. Mi ricordo in quell’istante di essermi sentita nella natura. Non a contatto con la natura, ma proprio parte di questa. Un po’ fuori dal mondo. Nel mio posto, appunto.
Qual è invece il ruolo del cacciatore? Può essere “regolatore della natura” per te?
Certo, sicuramente. In Valle d’Aosta si pratica una caccia di selezione a favore della natura per ristabilire un po’ gli equilibri tra le varie popolazioni di animali e l’uomo. La caccia viene monitorata e gestita a tutela della biodiversità seguendo precisi piani di controllo della fauna. Ci sono censimenti che si fanno tutto l’anno, li fanno i cacciatori assieme alle guardie forestali. Si fanno delle stime, dei calcoli e si stabilisce quali animali e dove andranno abbattuti. Il cacciatore assieme alle guardie forestali assume un ruolo di gestione e di controllo.
Quali sono le principali motivazioni che condizionano l’abbattimento di determinati capi piuttosto che di altri?
Non partecipo a quel tipo di decisioni ma le ragioni potrebbero essere sanitarie così come di interazione fra gli animali o numero/presenza di animali per spazio. Oppure il fine potrebbe essere quello di mantenere la popolazione di maschi, di femmine e di piccoli in equilibrio.
Mi fai qualche esempio?
C’è stato un caso di epidemia di rabbia nelle volpi… quindi siamo stati chiamati ad uccidere un tot numero di capi per contenere la malattia. Talvolta l'azione umana (come l'eccessiva antropizzazione) porta le popolazioni di ungulati a modificare le proprie abitudini e il proprio habitat, a occupare zone nuove e entrare in contatto con altre specie. La presenza delle persone in un impianto sciistico può portare gli animali a spostarsi in zone dove ci sono altre specie, quindi possono esserci contrasti tra una specie e l’altra… Anche il riscaldamento globale può mettere in discussione gli equilibri uomo fauna: la vegetazione cambia in base all’altitudine perché si costruisce più in alto, gli animali si spostano e questo potrebbe portare a degli squilibri negli habitat delle varie specie.
Per molti caccia è solo il momento in cui il cacciatore avvista l’animale e spara. Parlami un po’ di quello che c’è attorno.
Per prendere un animale ci vogliono più giornate di ricerca, più uscite. L’altro giorno ho preso una femmina di camoscio, per trovarla sono dovuta uscire dieci giorni. Vai, osservi i gruppi di animali, ne studi le abitudini. Hai il tuo animale che ti è stato assegnato che ha una certa età e il luogo preciso dove devi prenderlo e devi capire qual è.
Impari a seguire le tracce insomma.
Più che le tracce seguo il comportamento, le interazioni tra gli animali. Mi sono sorpresa adesso di come riesco a capire da lontano, da come cammina, da come fa la pipì, se un camoscio è maschio o femmina. Osservando l’animale capisco anche l’età, il sesso, a quale femmina appartiene quel piccolo. Nei cervi, per esempio, è difficile distinguere tra piccoli e giovani adulti perché hanno dimensioni simili. Sto molto attenta a selezionare le femmine che non hanno il piccolo o che potrebbero essere sterili.
Raccontami la tua giornata di caccia.
Varia molto a seconda degli animali che sto cacciando. Se caccio camosci allora devo andare molto in alto. I caprioli e i cervi stanno in basso all’interno del bosco. Per la caccia al camoscio si parte la mattina presto, arrivo al parcheggio mezz’ora prima che salga il sole. Poi c’è tutta una fase di risalita in cui osservo gli animali intorno a me e decido dove salire rispetto a loro per far sì che non mi sentano e non mi vedano. Poi c’è la fase di avvicinamento: una volta individuato l’animale cerco di tirare il più vicino possibile sempre perché non voglio ferirlo, quindi quando sono tipo a 200 metri mi posiziono sui sassi, faccio un bel respiro, sparo e spero che vada tutto bene. Finora è stato così. Tolgo le interiora all’animale preso e le lascio a terra per i carnivori del bosco. Tengo per me il cuore e il fegato se sono rimasti intatti e li porto a casa. Carico l’animale nello zaino e lo porto via. Generalmente torno a casa che è già buio.
Come funziona la gestione dell’animale una volta abbattuto?
Lo porto al Centro Forestale che controlla che sia stato abbattuto un animale con le caratteristiche giuste. Le Guardie controllano innanzitutto se è malato o meno, e prendono le varie misurazioni biometriche come le corna, la distanza tra un corno e l’altro. Si controlla lo stato di salute dell’animale in modo da avere una stima del benessere degli ungulati di quell’area specifica.
Usi tutto dell’animale?
Sì. La pelliccia la portiamo a far conciare. Lasciamo la carne a frollare per un po’ di giorni, poi macelliamo, dividiamo tutto, disossiamo. A me piace tenere anche le ossa perché studio biologia e mi piace comparare le varie ossa degli animali, è una cosa che mi affascina molto. Poi si mangia, si fa una bella cena tutti quanti assieme. Io non mangio altra carne se non quella degli animali che caccio.
La scelta di nutrirti solo di quello che cacci ha un’etica precisa?
Non so se la definirei una scelta etica… all’inizio non è stata nemmeno una scelta. Ho cercato di seguire un po’ più le mie sensazioni. Ho smesso di mangiare carne di allevamento perché non mi sentivo più a mio agio a farlo. E poi pian piano è diventata una scelta che ho fatto nel momento in cui mi sono trovata in una situazione come un pranzo coi parenti o con gli amici e ho detto di no alla carne che mi è stata offerta.
Perché questa scelta?
Penso che andare a caccia mi abbia reso molto sensibile alla morte. Senti il peso di aver ucciso un essere vivente con le tue mani e diventi molto più sensibile al valore di ogni vita. Mi rifiuto di mangiare un animale cresciuto in un allevamento intensivo, nato solo per essere mangiato, considerato come carne tutta la vita, che magari ha mangiato solo mangime nella sua breve esistenza ed è stato ucciso con leggerezza. Non mi piace, mi da fastidio. Sebbene il gusto della carne di per sé mi piaccia ancora molto mangiare un pollo mi da fastidio perché associo tanto la carne all’animale… quindi penso al perché dovrei mangiare un pollo che ha passato tutta la vita sdraiato con le gambe atrofizzate.
Quanti capi cacci l’anno e quanta carne mangi?
Ogni cacciatore ha due-tre capi l'anno. La caccia effettiva è da metà settembre a metà dicembre. Le quantità non le so … dipende anche molto dagli animali che prendo. Ma se dovessi fare una stima direi che mangio la carne due volte al mese circa. Riesco a fare una bella cena con i miei familiari e con i miei amici.
La tua scelta può essere sostenibile sul piano personale ma non su larga scala … nel senso che non possiamo andare tutti a cacciarci il nostro capriolo altrimenti la sostenibilità verrebbe meno … se volessimo associare alla caccia l’aggettivo sostenibile o etica dovrebbe essere praticata solo in contesti particolari come quello in cui tu operi da un ridotto numero di persone seguendo delle regole precise. Giusto?
Sì sono d’accordo. Infatti mi ritengo fortunata ad essere nata qua e ad aver avuto i miei genitori che mi hanno trasmesso questa passione altrimenti penso che la carne non la mangerei.
In Italia ci sono una serie di problematiche legate al mondo della caccia che, oltre ad essere praticata spesso infrangendo le regole, è anche mal regolamentata. Per esempio secondo i calcoli del WWF la Legge n. 157/92 sul prelievo venatorio e i calendari regionali rende possibile “abbattere” legalmente un numero di animali che è ben più elevato della fauna presente sul territorio. Oppure si possono cacciare specie potenzialmente in pericolo di estinzione come l’allodola, la pernice bianca, la tortora selvatica, la coturnice… è necessario modificare la legislazione vigente per cambiare questo stato di cose.
Chiaramente sì. Qualsiasi forma di caccia che vada a svantaggio della fauna non deve essere possibile. In questo caso sono fortunata perché invece in Valle D’Aosta si fa una caccia di selezione. Facciamo censimenti e stabiliamo piani di abbattimento per una ragione.
Come è cambiata nel corso del tempo l’approccio alla caccia nella tua regione?
Adesso è più attenta all’ecologia. Ti posso dire che da quest’anno in Valle D’Aosta è obbligatorio usare delle munizioni senza piombo, per esempio. Oggi c’è più riguardo verso questioni che riguardano l’ambiente, verso cose che prima non si sapevano come il potenziale inquinante dei pallini di piombo. Sull’approccio verso la caccia non credo sia cambiato poi così tanto... lo ho imparato da mio nonno che aveva lo stesso rispetto per gli animali che c’è ancora adesso.
Nella nostra cultura esiste il fenomeno di “uccidere per divertimento”. Può esistere la caccia per divertimento per te?
No. La caccia per divertimento non la capisco. La caccia è qualcosa di molto forte… provi emozioni contrastanti. Soffri per l’animale che hai ucciso. Non è inusuale vedere un cacciatore che piange dopo aver ucciso. Magari un animale che seguiva da anni, che ha visto crescere. Dall’altra parte però ti senti parte della natura non solo a contatto con la natura ma parte della natura. Io trovo molto affascinante in generale che gli esseri viventi si mangino tra di loro, che siano due animali o un essere vivente che mangia una pianta. Trovo che sia qualcosa di molto naturale e bello. Non mi sono mai sentita di fare qualcosa di sbagliato.
Chi segue una dieta vegana potrebbe ribattere che non è fondamentale mangiare carne per sopravvivere…
Sì, ma comunque qualcosa per sopravvivere lo devi mangiare. Un animale ha più diritto di vivere di una pianta? Non lo so. È qualcosa di più vicino a noi, certo… che ci assomiglia di più, naturalmente… però alla fine è sempre lei. La vita.