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I 5 casi di femminicidio più controversi della cronaca italiana

L'unico condannato per l'omicidio di Meredith Kercher, ovvero Rudy Guede, è appena tornato libero per fine pena. La vicenda della studentessa Erasmus, uccisa l’1 novembre 2007 a Perugia con 47 coltellate, rimane ad oggi è uno dei femminicidi più controversi della cronaca nera italiana: Guede, che ha sempre negato ogni responsabilità, è stato infatti giudicato colpevole “in concorso”, ma gli altri imputati (seppur dopo aver trascorso quattro anni in carcere) sono stati assolti. Stiamo ovviamente parlando di Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Lei, appena diventata mamma, scrive libri, cura rubriche sui giornali e registra podcast in America. Lui si è trasferito a Milano, dove lavora come ingegnere informatico. Dichiarati definitivamente innocenti dopo vari anni e diversi gradi di giudizio e appello, si sono rifatti una vita. Meredith no, non ha potuto. E qualcuno non ha pagato per questo.

CASI CONTROVERSI

Ecco altri controversi casi di femminicidio, che hanno diviso l’opinione pubblica (e la giustizia italiana).

Delitto di Garlasco

Il 13 agosto 2007 la 26enne Chiara Poggi viene uccisa in casa sua a Garlasco, provincia di Pavia. Sorpresa da sola, con genitori e fratello in vacanza, conosceva l’assassino, avendogli volontariamente aperto la porta in pigiama. Questo appare chiaro da subito. A dare l’allarme il fidanzato Alberto Stasi, studente della Bocconi, su cui si concentrano i sospetti. Anche, ma non solo, a causa dell’assenza di sangue su scarpe e vestiti, nonostante l’abbondanza sul luogo del delitto (Chiara è stata uccisa con un oggetto contundente, forse un martello). Arrestato per la prima volta il 24 settembre, Stasi viene scarcerato, poi va a processo con rito abbreviato in primo e secondo grado, assolto e poi condannato in appello. Un lungo tira e molla, fino alla sentenza definitiva che arriva il 12 dicembre 2015: 16 anni di carcere.

Delitto di Avetrana

Il 26 agosto 2010 la 15enne Sarah Scazzi esce dalla sua casa di Avetrana (Taranto) per andare al mare. Non tornerà più. Il suo corpo viene ritrovato quaranta giorni dopo, in un pozzo in mezzo a un campo. A indicare il luogo esatto è, alla fine di un lungo interrogatorio, lo zio Michele Misseri: l’uomo racconta di aver ucciso la nipote dopo un tentativo di stupro. Ma c’è molto che non quadra. Pochi giorni dopo viene arrestata sua figlia, la 22enne Sabrina. Secondo gli inquirenti, avrebbe ucciso la cugina con l’aiuto della madre Cosima Serrano, a causa della gelosia nei confronti di Ivano Russo, ragazzo a cui Sarah era piuttosto (troppo) vicina. Sabrina e Cosima vengono condannate per concorso in omicidio volontario. Michele a otto anni, per soppressione di cadavere. E così, mentre due persone che negli ultimi undici anni non hanno mai smesso di professarsi innocenti sono all’ergastolo, un’altra che si dice da sempre colpevole presto verrà scarcerato.

Marta Russo

Marta Russo è una studentessa 22 di anni della Sapienza di Roma, con tutta la vita davanti. E invece no, perché il 9 maggio 1997, mentre sta percorrendo un vialetto della città universitaria, viene colpita alla testa da un proiettile: morirà dopo quattro giorni di coma. Un femminicidio inspiegabile, che da subito provoca enorme interesse mediatico. “Delitto perfetto”, arriva a definirlo la stampa, perché c’è la vittima ma manca tutto il resto. Nessuna traccia, nessun presunto colpevole, nessun possibile movente. C’è chi tira in ballo il terrorismo, chi qualche ex fidanzato. In base alla testimonianza di una dottoranda, vengono infine arrestati gli assistenti universitari Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro, che si proclamano estranei al fatto. Nel 2003, il primo sarà condannato per omicidio colposo, il secondo per favoreggiamento: Scattone avrebbe esploso per sbaglio un colpo con una pistola, mai rinvenuta. E Ferraro lo avrebbe coperto. Condizionali d’obbligo, in uno dei casi con tanti punti oscuri, che oggi resta uno tra i più complessi e misteriosi episodi di cronaca nera italiana.

CASI IRRISOLTI

Delitto di via Poma

La storia della cronaca nera italiana è costellata anche di femminicidi irrisolti. Uno dei più celebri è il delitto di via Poma. Ovvero, l’uccisione di Simonetta Cesaroni, avvenuto il 7 agosto 1990. La vittima ventenne viene trovata morta all’interno della sede dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù, dove lavora come impiegata per una sostituzione estiva. 29 pugnalate, inferte verosimilmente con un tagliacarte. Simonetta è stata uccisa con rabbia, il movente potrebbe essere passionale. I sospetti si concentrano sul portiere dello stabile, Pietrino Vanacore: fermato dalla polizia, passa quasi un mese in carcere prima di essere scagionato. L’altro sospettato è il ragazzo della vittima, Raniero Brusco: i due hanno una relazione burrascosa, ma lui fornisce un alibi. Arrivato a un vicolo cieco, il delitto di via Poma diventa un cold case. Fino al 2004, quando vengono sottoposti ad analisi scientifica alcuni indumenti indossati da Simonetta il giorno in cui è stata uccisa. Come stabilisce il test del Dna, le tracce di saliva trovate sul corpetto e il reggiseno della vittima sono attribuibili a Brusco, che finisce nel registro degli indagati. L’aula di tribunale si apre per lui nel 2009 e ci vogliono due anni per la sentenza di primo grado: omicidio volontario, 24 anni di reclusione. Nel frattempo, Vanacore si toglie la vita gettandosi in mare: «Vent'anni di sospetti ti portano al suicidio», scrive su un bigliettino prima di farla finita. Brusco verrà scagionato nel 2012, in appello. Nel 2014 la conferma della Cassazione.

Wilma Montesi

Tra i casi di cronaca nera irrisolti in Italia c’è anche quello di Wilma Montesi, 21enne trovata morta sulla spiaggia di Torvaianica il 9 aprile 1953, con la testa immersa in pochi centimetri d’acqua. Il decesso viene inizialmente classificato come un incidente, per la precisione a una “sincope da pediluvio” che avrebbe causato l’annegamento della giovane. L’indagine viene presto archiviata o meglio insabbiata, sostengono i giornali romani, per coprire un gruppo di politici della Democrazia Cristiana, che abitualmente si ritrova in una villa di Capocotta per festini a base di sesso, droga e alcolici. Secondo alcune testimonianze, proprio a una di questa feste, la notte della sua morte, avrebbe partecipato Wilma Montesi. Le indagini riprendono vigore e trascinarono nello scandalo Piero Piccioni (fidanzato di Alida Valli e figlio di Attilio, leader della DC), Ugo La Montagna, proprietario della villa, e Saverio Polito, questore di Roma accusato di aver precedentemente insabbiato l’inchiesta. Ma nel maggio del 1957 tutti gli imputati vengono assolti.

Foto apertura: LaPresse