Il 25 maggio arriva su Prime Video Veleno, docuserie dedicata alla presunta setta satanica dei Diavoli della Bassa modenese. Ne abbiamo parlato con Pablo Trincia, autore di un podcast e di un libro sulla vicenda.
Il 25 maggio arriva su Prime Video Veleno, docuserie dedicata alla presunta setta satanica dei Diavoli della Bassa modenese. Ne abbiamo parlato con Pablo Trincia, autore di un podcast e di un libro sulla vicenda.Il 25 maggio arriva su Prime Video Veleno, docuserie true-crime dedicata alla storia dei Diavoli della Bassa modenese, presunta setta che, negli Anni ‘90, avrebbe compiuto riti satanici con abusi sessuali e omicidi di bambini nel Nord Italia. “Presunta”, “avrebbe”: senza uno straccio di prova, ma essenzialmente sulla base di racconti confusi, contraddittori e inverosimili fatti da loro stessi, 16 bambini furono tolti ai loro genitori, accusati di far parte di una setta di satanisti pedofili. Finirono a processo in 18, dai Galliera ai Covezzi, fino ai Morselli, senza dimenticare don Giorgio Govoni e Francesca Ederoclite, morta suicida prima delle udienze. Una vicenda assurda, che ha cambiato e spezzato tante vite umane, con famiglie smembrate e colpite da accuse infamanti, successa per davvero almeno nelle conseguenze, nonostante la giustizia abbia accertato che non ci furono né riti satanici, né tantomeno omicidi. E dunque assolto praticamente tutti. Una storia assurda, ma sparita presto dalle cronache, dimenticata e riportata alla luce qualche anno fa da Pablo Trincia, che gli ha dedicato prima un podcast (insieme ad Alessia Rafanelli) e poi un libro.
Quando chiudo la chiamata con Pablo, mi rendo conto di aver usato tante volte, troppe penso, l'aggettivo “assurda”, come d’altra parte sto facendo all’inizio di questo pezzo. Ma come si può definire, se non così, una vicenda del genere? Immaginate: state dormendo serenamente nel vostro letto, quando suona il campanello. Accusandovi di essere un satanista pedofilo, le persone che si sono presentate alla porta di casa portano via vostro figlio, che non rivedrete più.
«È una storia passata sottotraccia, anche all’epoca tutto sommato, perché non “godeva” dei riflettori della grande città», mi spiega Pablo: «È successa tutta in provincia, all’interno di una manciata di comuni della Pianura Padana». Lui stesso, racconta, non la conosceva. All’epoca dei fatti non aveva grande interesse (eufemismo) nella cronaca nera. Ci si è imbattuto nel 2014, una sera, «leggendo la notizia di una donna assolta dopo 16 anni dall’accusa di aver violentato i quattro figli, che le erano poi stati tolti». Lorena Morselli, questo il nome della donna, era poi fuggita in Francia per partorire il quinto senza farselo togliere dagli servizi sociali. Da lì è nata l’inchiesta o meglio il racconto Veleno, riguardante una storia dove a pedofilia e satanismo si sono aggiunti via via altri fenomeni come il panico morale, i falsi ricordi, i meccanismi fallaci della giustizia.
La provincia profonda, paesaggi tutti uguali che si ripetono, nessuna montagna all’orizzonte ma solo pianura, dove di notte scende una nebbia che non ti fa vedere niente (nota personale: io stesso mi ci sono perso, nella nebbia della Bassa modenese, alla ricerca del Vox di Nonantola nel 2003). L’avevo già scritto nel primo pezzo dedicato ai Diavoli della Bassa modenese e lo dico anche a Pablo: le stesse atmosfere di True Detective, prima stagione. «Hai ragione. L’ambientazione è quella. E sai che stavo proprio guardando proprio True Detective ai tempi del podcast? Tra l’altro, nella prima bellissima stagione c’è proprio il tema degli omicidi a sfondo satanico». Sempre più convinto che non sia un caso. Se dovessi sceneggiare una serie crime, gli dico, sceglierei il Polesine, la nostra Louisiana. E la Bassa modenese, in fondo, non inizia che dall’altra parte del Po. Una provincia fatta di vie in mezzo ai campi, di fossi, di case isolate, di vecchi casolari abbandonati e diroccati, che lui, sottolinea, ha visitato a pochi anni di distanza dal terremoto.
Ha visitato anche i cimiteri dove i Diavoli della Bassa modenese avrebbero compiuto riti satanici, con sacrifici umani e animali. Di notte, certo, ma a pochi metri dalle case, come a Massa Finalese. Gli abusi sessuali sono un conto, gli dico, alla fine ci vuole “poco”: bastano degli adulti malati e delle vittime giovani, poi si possono compiere anche in un bosco. Ma com’è possibile che si sia voluto credere a tutto questo, senza uno straccio di prova? Tento un collegamento con Bibbiano, però mi stoppa quasi subito: «Non credo si possa parlare in questo caso di business degli affidi». Ma, aggiunge, in questa storia sono entrate troppe persone che fanno il loro lavoro per soldi e non per passione «e poi, a un certo punto, erano andati troppo avanti per potere o volere tornare indietro».
Nella caccia alle streghe si fa così. Prima inizi con le guaritrici, poi mandi al rogo anche anche chi è zoppo o ha un occhio storto. Roba da Malleus Maleficarum. Il panico morale è d’altra parte uno degli elementi cardine di questa vicenda, successiva sia al caso statunitense dei McMartin negli Stati Uniti, ma praticamente contemporaneo di quelli italianissimi di Bestie e Bambini di Satana. «Satanismo e pedofilia vanno sempre a braccetto», sottolinea Pablo, «anche se non ci sono prove dell’esistenza di sette sataniche che compiono abusi rituali collettivi, ma casomai rari casi di pedofili che utilizzano l’immaginario satanista». Nei casi di panico morale, spiega, «si sovrastima l’entità di un problema, come magari quello degli abusi sui minori, che certo esiste ma non nella misura rilevata dalle indagini». E si vedono link anche quando non ci sono. Un esempio? Praticamente all’inizio di questa storia, la psicologa Valeria Donati collega il “bambino uno”, Dario, a un’altra presunta vittima, una bimba che abita a 20 km di distanza, per via dei suoi tratti somatici asiatici. La piccola Elisa ha infatti la mamma thailandese e Dario, durante un colloquio, ha chiesto se i cinesi hanno la pelle gialla: anche lei deve far parte delle vittime del network dei pedofili.
Assurdo, continuo a ripetere, assurdo. Interminabili processioni nel cuore della notte nei cimiteri, un prete che passa a prendere i bambini casa per casa (come quella dei Galliera), sangue di gatto nero iniettato nelle vene come se niente fosse, ragazzini stuprati e decapitati, fosse scavate a tempo di record, satanisti travestiti da animali feroci, persino l’imene che si può riformare dopo una violenza sessuale, come affermato dalla ginecologa Cristina Maggioni. Mancano i rapimenti alieni, dico a Pablo, strappandogli (lo sento) un mezzo sorriso: «Come si possa davvero aver pensato che ci fossero dei bambini tenuti prigionieri da qualche parte, usati poi come vittime per i sacrifici umani, davvero non lo so». E poi, fa, «perché mai una madre volontaria all’oratorio e molto religiosa (Lorena Morselli, ndr) dovrebbe crescere i quattro figli nei valori cristiani, se poi li fa partecipare a riti demoniaci?». E in effetti un perché non c’è. Ma ne rimangono tanti altri.
Pablo Trincia ha incontrato tante persone, in quel fazzoletto di terra che si allunga senza sbalzi verso il Po. C’è mai stato qualcuno di cui abbia effettivamente sospettato qualcosa? «Non sta a me giudicare», dice laconico. In fondo, la giustizia ha effettivamente fatto il suo corso, assolvendo in ritardo praticamente tutti i “Diavoli”. Peccato che i bambini siano rimasti lontani dai genitori biologici e che nel frattempo qualcuno si sia ammazzato. Altri sono morti di crepacuore. Questo per colpa di falsi ricordi indotti o meglio forzati, della terapia della memoria recuperata insomma, ormai ampiamente screditata (date un’occhiata alla vicenda del best-seller Michelle Remembers). Ma che all’epoca, beh, sembrava piuttosto in voga. Alcuni colloqui sono come torture e quando sei sotto tortura, alla fine dici di tutto purché finisca. Ci sono i filmati, con la docuserie potremo farci un’idea anche migliore rispetto a quella offerta dal podcast Veleno e dal successivo libro. A dicembre 2020 Federico Scotta, che ha scontato 11 anni di carcere da innocente, ha potuto rivedere il figlio di 23 anni, che gli era stato tolto quando aveva pochi mesi. Prima di chiudere la chiamata, dopo aver detto tante volte “assurdo/a”, l’ultima domanda a Trincia: ci si può fidare dei bambini? «Ci si può fidare degli adulti?».
Foto apertura: Gian Mattia D'Alberto - LaPresse