In occasione della Festa della Mamma, Greta, 34 anni, ci racconta il suo ultimo anno. Tra le fatiche di un lavoro precario, un nuovo mutuo e la gestione complicata delle figlie. Perché la nostra società non permette ancora ai padri di dividere i ruoli.
In occasione della Festa della Mamma, Greta, 34 anni, ci racconta il suo ultimo anno. Tra le fatiche di un lavoro precario, un nuovo mutuo e la gestione complicata delle figlie. Perché la nostra società non permette ancora ai padri di dividere i ruoli.«Immaginami nel bel mezzo di una call di lavoro, sola in casa con una bambina che piange e l’altra attaccata al seno, con i cani che abbaiano in sottofondo. Inutile dire che la maggior parte delle volte sono costretta a spegnere sia il microfono che la telecamera».
Greta ha 34 anni, vive in Veneto, dove è cresciuta e ha completato gli studi in Comunicazione.
Ha un compagno e due figlie. La grande ha quattro anni, la piccola cinque mesi: come dice lei, «è figlia della pandemia».
Il 9 maggio è la Festa della Mamma e la sua è una delle tantissime storie che appartengono a giovani donne. Storie ormai diventate ordinarie, che però hanno bisogno di essere raccontate. Perché le difficoltà di una mamma lavoratrice, in questo anno di emergenza sanitaria, sono aumentate in maniera esponenziale.
Gli effetti della pandemia sulle donne italiane
La pandemia ha colpito pesantemente le donne non solo per le conseguenze fisiche, ma anche psichiche. La perdita del lavoro unita alle diseguaglianze retributive che si sono acuite, il maggior impegno sul fronte della cura dei figli e della famiglia, l’aumento della violenza domestica unitamente a un minor ricorso ai servizi dedicati alla gravidanza, hanno provocato un aumento di ansia e depressione nelle donne italiane.
Un’indagine commissionata da Fondazione Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, ha rivelato che il 60 per cento delle intervistate ha sperimentato una prolungata riorganizzazione strutturale della propria attività lavorativa e il 5 per cento il lavoro lo ha perso.
Il 76 per cento delle intervistate ha trascurato la propria salute e l’85 per cento ha sofferto di almeno un disturbo psichico per un periodo prolungato.
Un nuovo mutuo e una seconda gravidanza
La pandemia di Greta e del suo compagno è iniziata poco dopo l’inizio di un mutuo, e poco prima della scoperta della sua seconda gravidanza, cominciata in pieno lockdown a marzo 2020. Non è iniziata nel più semplice dei modi: chiusa in casa da sola con una bimba di quattro anni e delle nausee molto forti per un paio di mesi.
Greta si occupa da anni di comunicazione come freelance, lavora con Partita Iva ed era abituata a gestire diverse collaborazioni che le garantivano un buon stipendio a fine mese. Una di queste era diventata quasi un lavoro fisso.
Come lavoratrice autonoma Greta oltre a godere di poche tutele, è stata trattata con scarsissimi tatto e professionalità dal suo datore di lavoro, un 45enne che lei definisce «un misogino che non sa di esserlo». La prima volta che è rimasta incinta, l’azienda per la quale lavorava quotidianamente ha assunto uno stagista 20enne. Quando è rientrata in ufficio, dopo il parto, le è stato assegnato un altro impiego, completamente diverso dal suo. «Mi hanno messa a lavorare per un’altra azienda appena nata che si occupava di tutt’altro, non c’entrava niente con la mia professione: mi occupavo di aspetti burocratici e non più di post sui social media, eventi e newsletter». Ricorda di quando raggiunse Bologna per un appuntamento dovendosi portare dietro la neonata, perché doveva allattarla. «Le due persone che gestivano l’azienda erano uomini, molte difficoltà le ignoravano completamente». Lo stagista che l’aveva sostituita viene assunto e prende il suo posto.
Le ore di lavoro dimezzate
La seconda gravidanza arriva a marzo 2020. L’azienda si occupava di comunicazione per ristoranti e servizi di ristorazione, quindi causa Covid si ritrova inevitabilmente in sofferenza. I dipendenti vengono messi in cassa integrazione, si lavora poco, e lei va incontro all’azienda chiedendo addirittura di non venire pagata per un paio di mesi. Nel frattempo al suo compagno viene decurtato lo stipendio, e trascorre due mesi a casa.
A fine del lockdown Greta continua con la sua attività, ma, sorpresa!, viene demansionata: le riducono il lavoro finché si trova a essere impegnata 20 ore settimanali contro le 40 precedenti. «Decido di non potermi permettere la maternità, avevo bisogno di lavorare fino alla scadenza del parto, a fine novembre».
A inizio del mese l’azienda organizza un evento online. Di nuovo viene selezionata una stagista: lei sta in ufficio, mentre Greta deve lavorare in smart working. «Tu sei mamma!», le dice il suo titolare. Le viene assegnato il compito di formare la stagista a distanza, ricevendo decine di telefonate al giorno. «Per fortuna la mia figlia maggiore fino alle 16 andava a scuola!».
A ridosso dell’evento, le arriva una mail da parte del titolare: «Mi piace tantissimo come lavori, mi trovo benissimo, ma si occuperà soprattutto S. dell’evento…».
La voglia di mollare tutto frenata dal mutuo
Greta a ottobre si ritrova senza mansioni, senza fatturare più. «La stagista non aveva competenze nel campo della comunicazione, ma mi ha soffiato il lavoro. Sono stata sostituita con due stagisti ventenni per ben due volte». La stagista prende ufficialmente il suo posto come “responsabile comunicazione”, mentre Greta viene rimossa anche dalle pagine social di cui era amministratrice.
A quel punto, in preda alla rabbia, decide di scrivere una mail al titolare per vomitare tutta la sua frustrazione, ma viene fermata dalle colleghe. Lui è una persona influente e stimata, in passato si è vendicato con altri dipendenti. «Per orgoglio avrei voluto mollare tutto, ma ho pensato: se avessi bisogno di tornare perché il lavoro mi serve? Nella disperazione dell’aver appena aperto un mutuo e avuto la mia seconda figlia non me la sono sentita».
«Lavoro mentre allatto, o mentre siamo al parco!»
Com’è la giornata tipo di una giovane mamma con Partita Iva? «Mi sveglio alle 7,30 preparo le mie figlie, il mio compagno porta la grande all’asilo prima di andare al lavoro, mentre io resto con la piccola. Poi accendo il pc e mi occupo delle poche cose che mi restano a livello lavorativo intanto che allatto, Poi preparo il pranzo, alle 16 vado a prendere da scuola la grande. Non posso permettermi una babysitter».
Greta ha trovato innumerevoli modi “creativi” per lavorare con due bimbe attorno: «Lavoro in piedi, con le gambe in aria, i post li faccio al parco mentre una dorme e una è sull’altalena. La notte mentre dormono preparo preventivi per nuovi lavori. Sto cercando di sopravvivere. Anche lavorare con la bimba attaccata al seno è diverso per la concentrazione, anche l’ambiente casa è diverso rispetto all’ufficio, ci sono molte distrazioni, Ho la fortuna di lavorare per un’altra agenzia, dove la titolare è una donna: la porto in ufficio e allatto lì».
I padri? vorebbero aiutare, ma spesso non possono
«Qualche mese fa il mio compagno ha provato a stare qualche ora in più a casa per darmi una mano, ma i suoi titolari hanno iniziato a lamentarsi perché entrava in ufficio più tardi al mattino o usciva la sera un po’ prima: gli hanno detto che era poco presente, che non era più quello di una volta…». Insomma gli hanno fatto pressioni. Lui e Greta temono che possa perdere il lavoro, lui che al momento è la fonte principale di reddito della famiglia. Ha dovuto buttarcisi a capofitto, e ogni sera rincasa alle 20. «Essere madri lavoratrici in questa società patriarcale è davvero difficile. Il padre non c’è non per sua scelta, ma per cultura».
Quando la bimba grande è rimasta a casa da scuola per un caso Covid, Greta stava a casa con le bambine da sola fino alle 8 di sera. Se il compagno chiedeva qualche ora i colleghi rispondevano: «Ma a casa non c’è la tua compagna?».
Pochi aiuti e nessun sostegno psicologico
«Io sono femminista, sempre dalla parte delle mamme in carriera. Però ho capito sulla mia pelle che il sistema è sbagliato, e io non posso fare niente per cambiare le cose purtroppo. E fuori dall’asilo siamo in 50 mamme e due papà. Abbiamo bisogno di un’evoluzione».
Greta in tutto questo non ha molti aiuti: i suoceri vivono in un’altra regione, quindi per cinque mesi non si sono visti. Il padre di lei lavora tutto il giorno, mentre la madre è affetta da un problema di salute. Greta ha pensato diverse volte di chiedere un sostegno psicologico, che però ha un costo. «Anche se non mi è stata diagnosticata credo di aver sofferto di depressione post partum, uno stato ansioso che penso sia figlio di quello che è successo in questo anno. Ne parlerò con un professionista».
Greta è comunque felicissima di avere due figlie e si sente fortunata: ha attraversato questo anno di pandemia in salute e allargando la famiglia. «Non è semplice però essere completamente privata dei tuoi spazi. Io non chiedo nemmeno quelli, chiedo soltanto di lavorare».
Partorire in pandemia: da sole con le proprie forze
Non è tutto: perché Greta non solo ha affrontato la seconda gravidanza in lockdown, ma è sempre stata sola durante le visite ginecologiche e il travaglio: «Non ho avuto alcun aiuto, nemmeno dopo che è nata la bimba. Ero completamente sola per le restrizioni anti-covid, con me non potevano stare né le ostetriche (che sono state fantastiche) né il mio compagno, che è stato chiamato solo quando sono iniziate le contrazioni forti». Il travaglio lo ha affrontato sola in una stanza dopo aver fatto il tampone come da prassi, in isolamento per otto ore fino all’esito negativo. «Ero da sola, nel panico. Le ostetriche entravano a controllarmi solo ogni due ore. Quando il mio compagno è stato mandato fuori dall’ospedale mi sono messa a piangere!».
Greta si ritiene una donna capace di tirarsi su le maniche senza troppe lamentele: «Credo molto nelle nostre risorse di donne, sappiamo tirare fuori una forza incredibile. A livello psicologico non è stato semplice, ma mi chiedo: per chi è stato semplice questo anno?. Infatti non mi sfogo mai con nessuno, mi rendo conto che le mie amiche sono tutte sulla stessa barca».
Buona Festa della Mamma a tutte le Greta d’Italia.
In attesa che qualcuno le ascolti e le sostenga con un welfare adeguato. Senza più costringerle a rinunciare a loro stesse.
Foto apertura: Dmytro Sidelnikov - 123RF