Rita Dalla Chiesa, giornalista scrittrice e conduttrice televisiva, impegnata ancora oggi a raccontare quanto sia importante la storia e la figura di suo padre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. L'abbiamo intervistata per voi.
Rita Dalla Chiesa, giornalista scrittrice e conduttrice televisiva, impegnata ancora oggi a raccontare quanto sia importante la storia e la figura di suo padre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. L'abbiamo intervistata per voi.«Ricordo, una sera, che eravamo al Circolo Ufficiali, e mio padre mi chiese di ballare. Finalmente era solo il mio papà, non il generale Dalla Chiesa. Ballammo un valzer, Sul bel Danubio blu, e io ero felice. Lui con la sua divisa di gala, e io con un abito lungo giallo pastello. La foto di quel valzer con papà, per me, rappresenta tante cose. Soprattutto una spensieratezza che non era certo la nostra compagna di vita»
Per tutti è stato il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, figura simbolo delle istituzioni contro il terrorismo e la mafia ma per Rita Dalla Chiesa, giornalista scrittrice e conduttrice tv – tra i volti più conosciuti del piccolo schermo– era semplicemente papà. Un papà perso prematuramente la tragica sera del 3 settembre 1982, quando alcune raffiche di Kalashnikov AK-47 uccisero lui e la moglie in via Isidoro Carini, a Palermo. In occasione dei cento anni dalla nascita del generale, l'adorata figlia, che non ha mai smesso di ballare con papà, ha raccontato il loro rapporto nel libro “Il mio valzer con papà” (Rai Libri).
Oltre al rapporto con questo padre così “ingombrante” ma cosi amato, Rita Dalla Chiesa ripercorre nel libro i suoi ricordi da bambina, la sua infanzia passata di caserma in caserma e di città in città, la sua adolescenza ribelle e la sua voglia di non stare mai troppo “nei ranghi”. Abbiamo chiesto a Rita Dalla Chiesa di raccontarci qualcosa di più, in questa intervista.
Per tutti noi era il generale Dalla Chiesa, per lei semplicemente papà. Com’è stato il rapporto con suo padre?
Inizialmente è vero che era solo mio papà, qualunque cosa mio padre facesse era solo mio papà. Poi crescendo e vedendo la società che cambiava anche la figura del padre ho iniziato a vederla con gli occhi da cittadina. Sono una figlia che si è sempre fatta la domanda: "Cosa direbbe papà?” Ho perso mio padre che avevo trent’anni, la mia era una vita molto normale. Non banale. Essere figlia di un carabiniere significa girare l’Italia e conoscere realtà diverse da quelle di un ragazzo che è fisso in una città e va in crisi anche se solo deve cambiare quartiere, per esempio a Roma...
Lei cambiava invece città e caserma ogni volta
Io cambiavo tutto, amici, scuola, abitudini, tutto. Era una vita con dei fratelli che amavo molto, anche allora. Di ricordi legati a mio papà, come papà e basta, ne ho una montagna, ma sono ricordi assolutamente come quelli che avrebbe un qualunque figlio che abbia vissuto in una famiglia in cui è stato molto amato. Ho questa grande fortuna, sono stata molto amata. Questo grande amore che ci è stato dato all’inizio e che ci siamo portati avanti fino ad oggi deriva dal fatto che abbiamo avuto una zattera di sicurezza sulla quale appoggiarci. Ma abbiamo dovuto lottare con delle onde belle alte.
Come reagiva quando le comunicavano che doveva cambiare città, da piccola?
Non c’era rabbia perché sapevo che era il lavoro di papà, ero rassegnata. C’era una sorta di “ma perché sempre noi?”. Mi toccava lasciare le mie amicizie, soprattutto da adolescente quando dovevo lasciare ad esempio il ragazzino che mi piaceva. Non era semplice ma questa cosa veniva accettata. Solo una volta fu più problematico, ovvero quando si parlava del colpo di stato del Generale De Lorenzo. Eravamo a Roma e mio padre non accettò – poiché è sempre stato un uomo molto democratico e molto liberale contrariamente a quello che qualche volta sento dire a proposito delle divise – e venne trasferito dalla mattina alla sera a Torino. Noi che stavamo frequentando le scuole ci siamo trovati a metà anno a dover andar viva! Papà mi fece finire l’anno scolastico in un collegio degli orfani dei carabinieri di Grottaferrata gestito dalle suore. E poi andai a Torino dalla mia famiglia. Ecco, come dicevo, una vita non scontata!
Definisce la sua adolescenza ribelle, non amava stare “nei ranghi”. Le ragazze di oggi, dal suo osservatorio, le sembrano “nei ranghi”?
Io credo che le ragazze di oggi manchino di quell’educazione che invece la mia generazione sicuramente aveva. Dipende anche molto dalle famiglie: probabilmente oggi le aspettative sono diverse da quelle che potevo avere io. Pensi che la mia aspettativa iniziale da bambina era quella di fare la giornalista, che era qualcosa ai miei tempi già particolare. Non volevo fare la mamma ma andare per il mondo e scrivere quello che vedevo. E vivevo in una caserma. C’era quindi un mio forte bisogno di evadere dalle regole della caserma in cui vivevo. Oggi le ragazze non hanno bisogno di evadere, nascono “evase”!
Di tutte le rappresentazioni televisive e cinematografiche fatte su suo papà, di quale è più orgogliosa?
Sicuramente delle interviste che fece Enzo Biagi a mio papà. Forse direi “Cento giorni a Palermo” con Lino Ventura, il film di Ferrara anche se gli contestai di aver fatto un instant-film. Papà era mancato da solo tre mesi ed era un po’ troppo presto per poter studiare tutta la parte politica, tutta la parte in cui si poteva capire cosa fosse realmente successo. Non fece un brutto film. Io detesto le cose romanzate su mio padre perché quelle non attengono alla realtà. Le interviste di Biagi la dicono lunga sulla sua vita.
Il suo esordio in tv avvenne nel 1983, un anno dopo la morte di suo papà. Suo padre conosceva la sua voglia di fare tv?
Non avevo nessuna voglia di fare tv, mio padre è morto che io facevo la giornalista e scrivevo per Gioia. Mi occupavo di attualità e moda. Andavo spesso in Rusconi a Milano per lavoro ed ero spesso ospite di papà, mi portavo anche mia figlia perché dovevo lavorare in redazione con la Giacobini. Facevo avanti e indietro Milano – Roma e mi appoggiavo a casa di papà. Non ero ancora giornalista professionista. Avevo fatto gli scritti e poi papà venne ucciso. Avrei dovuto fare l’esame orale da lì a poco. Saltai e li feci nella sessione successiva. Diventai professionista quando lui non c’era più. Pensi che lui sapeva di questo esame e quella mattina mi telefonò in redazione per dirmi: “Non farmi fare brutta figura”. Sono state le ultime parole che ho sentito di mio padre
Sua padre quindi non ha vissuto il suo grande successo televisivo. Che cosa le avrebbe detto?
È la domanda che mi facevo ogni volta che mi offrivano un programma: “Cosa direbbe papà?”. Ho rinunciato a molti programmi perché non erano la connotazione di quello che mio padre avrebbe visto per me. Forum andava benissimo, parlava di giustizia. Canzoni Sotto l’Albero, la domenica su canale 5 che feci, non credo di aver mai fatto una trasmissione su cui mio padre avrebbe potuto avere un commento negativo. Ho fatto trasmissioni molto di servizio, come Canale 5 per voi che era per il sociale o trasmissioni familiari. Ho fatto anche Il trucco c’è con Diego Dalla Palma che era molto carina perché era una trasmissione fatta senza telecamere: gli ospiti non si rendevano conto che fossero in tv e si aprivano completamente con noi. Mi era piaciuta molto, era una sperimentazione. Non ho mai voluto fare un altro tipo di tv.
Oggi è spesso ospite in vari programmi televisivi come opinionista. Cosa le piacerebbe condurre, se potesse scegliere?
Forse nulla. Qualcuno ogni tanto mi dice: “Rita tu hai condotto per trent’anni trasmissioni di successo e oggi fai l’opinionista”. C’è un tempo per tutto. C’è un tempo per condurre e c’è un tempo in cui ti chiamano perché vogliono la tua opinione. Dipende sempre da come si fanno le cose. Io cerco di non fare mai il pollaio. Cerco di fare l’opinionista in modo costruttivo anche perché quando vai in queste trasmissioni non si ha quasi mai il tempo di dire le cose fino in fondo, dipende dal modo. Per me il tempo per condurre è forse finito ed è finito con un grosso magone perché come tutti sanno Forum non l’ho lasciato io. Mi è rimasto il magone di essere stata costretta a lasciare una trasmissione in cui mi era stato detto che sarebbe finita e invece così non fu proprio per niente, parliamoci chiaro! Non mi è mai passata questa cosa. Oggi mi piacerebbe condurre una trasmissione giornalistica, è chiaro.
Il 14 aprile racconterà la storia di suo papà agli studenti dell'Università Ecampus in un incontro che avrà luogo alle ore 17.00 sui canali Facebook e Youtube dell'università. Perché è importante ancora oggi raccontare la storia di suo papà?
Perché credo che ci siano dei giovani che ancora non sanno chi sia il Generale Dalla Chiesa. Sui libri di scuola ancora non se ne parla, non tutti i libri ma nella maggior parte di essi. Si parla – ma poi qui dipende anche dai professori – magari degli assiri babilonesi ma non delle vicende storiche più recenti. È una mancanza grave perché secondo me ai ragazzi servirebbe la storia di questi personaggi, per capire l’epoca in cui stiamo vivendo, perché sono figure che hanno fatto e continuano a fare la storia che viviamo oggi. È giusto parlarne ed è giusto sapere ad esempio che a differenza di Falcone e Borsellino che erano siciliani e sono morti in Sicilia, che mio papà era di Parma ed è morto in Sicilia per difendere i siciliani. Queste cose si devono sapere. Come il famoso capitano Collodi del Giorno della Civetta, se vogliamo rapportarci a Sciascia ad esempio. Mio padre si ritrovò in Sicilia per liberare i siciliani da questo fango.
Foto apertura: LaPresse