La lotta alla mafia è un lavoro durissimo e le donne dimostrano di essere abbastanza dure da scendere in campo.
La lotta alla mafia è un lavoro durissimo e le donne dimostrano di essere abbastanza dure da scendere in campo.Rischiare tutto, finanche la vita, per la giustizia, per salvare il proprio futuro o quello delle persone amate. È questo che fanno le donne che da decenni lottano contro le mafie in tutta Italia. Cercare un futuro migliore inizia dal coraggio, dal parlare e dire la verità.
10 donne contro la mafia: Serafina Battaglia
La prima donna a lottare contro la mafia fu Serafina Battaglia. Infranse il muro dell'omertà nel 1962 per vendicare l'assassinio del figlio Salvatore. In tribunale racconta tutto quello che sa, fa i nomi degli assassini, mandanti ed esecutori. In moltissimi processi sarà un testimone temutissimo. «I mafiosi sono pupi - diceva -. Fanno gli spavaldi solo con chi ha paura di loro, ma se si ha il coraggio di attaccarli e demolirli diventano vigliacchi. Non sono uomini d’onore ma pezze da piedi».
Saveria Antiochia
Nel lontano 1994 Saveria Antiochia, madre di Roberto Antiochia, disse a una platea di ragazzi riuniti per lei: «Ai giovani che mi chiedono cosa possono fare io rispondo sempre che sono le scelte che contano sia da ragazzi che da adulti… voi giovani avete la possibilità di cambiare questa società e che si possano avere verità e giustizia, dovete scegliere responsabilmente, col cuore, dopo aver studiato, da che parte stare». Saveria ha perso suo figlio, un poliziotto di 23 anni rimasto ucciso il 6 agosto 1985 a Palermo nell’agguato al commissario Ninni Cassarà. La sua durissima lettera al ministro dell’Interno del tempo denunciava le responsabilità dello Stato in quel tremendo lutto.
Rita Atria
Rita Atria a soli 17 anni decide di rivelare ciò che sa del mondo criminale che ha accompagnato tutta la sua vita a Partanna, nel Trapanese. A liberarla dalla paura era stata Paolo Borsellino. La morte del giudice la getterà nello sconforto. Infatti, il 26 luglio del ‘92, una settimana dopo la Strage di Via D'Amelio si toglie la vita. Aveva ripudiato sua madre, viveva in segreto a Roma: tutto per inseguire un ideale di giustizia che non si è ancora realizzato. Sua madre distrusse la lapide di Rita a martellate.
Foto: LaPresse
Lucia Borsellino
Il 19 luglio del 1992, 57 giorni dopo il collega Giovanni Falcone, Lucia Borsellino perdeva suo padre nella Strage di Via D'Amelio. Ancora oggi la dinamica dell'attentato resta insoluta. «Il giorno della sua morte, vidi mio padre mettere nella borsa, tra le altre cose, l’agenda rossa da cui non si separava mai», racconta Lucia, che oggi continua a battersi perché venga a galla la verità.
Maria Concetta Cacciola
Maria Concetta Cacciola è stata testimone di giustizia contro le cosche di ‘ndrangheta della piana di Gioia Tauro. Il 20 agosto 2011 va in scena il suo suicidio. La si trova morta per aver bevuto dell'acido muriatico. Su questo caso si è indagato a lungo, ma dopo lunghi anni un pool di pubblici ministeri hanno rivelato che sarebbe stata proprio la sua famiglia ad averla voluta zittire per sempre. La paura era non solo che parlasse, ma che altre donne ne seguissero l'esempio.
Rosaria Costa
Il suo discorso pronunciato durante i funerali di Giovanni Falcone e tutti gli agenti morti nella Strage di Capaci è diventato uno dei simboli della lotta alla mafia. Quel «Tanto loro non cambiano...» è la frase disperata a cui molti si abbandonano. Ma non lei, Rosaria Costa, vedova dell'agente Vito Schifani. Dal 1992 ha dedicato la sua vita a parlare di legalità e di lotta alla mafia. Aveva vent'anni, all'epoca, ma da allora si chiede e chiede: «Cos'è la mafia?». Lo chiede alle vedove come lei, lo chiede negli incontri. La speranza per lei sono i giovani, «anche se è difficile rimarginare le vecchie ferite e quelle nuove».
Michela Buscemi
Grande lavoratrice, sopravvissuta a una vita di abusi e oggi attivista contro la mafia, Michela Buscemi è un manifesto vivente. Nata a Palermo nel 1939, ha rischiato tutto per dare giustizia ai suoi fratelli, assassinati dalla mafia. Partecipa al maxiprocesso di Palermo, costituendosi parte civile. La famiglia d'origine le volta le spalle. Al suo fianco, anche economicamente, c'erano il Centro Impastato di Palermo e l'Associazione donne siciliane per la lotta alla mafia. Fu costretta però a ritirarsi dal processo a causa di altre minacce e delle difficoltà economiche legate alla sua attività, diseratata dai clienti. Oggi continua a svoltere attività di sensibilizzazione contro la mafia con incontri nelle scuole, nelle piazze, ovunque la sua testimonianza possa fare la differenza.
Giusy Vitale
La si può definire la prima donna capo mafia della storia. Ma Giusy Vitale è stata una donna d'onore suo malgrado. Complici gli arresti di tutti i suoi fratelli, si è trovata a gestire gli affari di Patrinico e a diventare in breve tempo la favorita di Totò Riina. Ma come rivela nel libro intervista Ero cosa loro. L'amore di una madre può sconfiggere la mafia (Mondadori), una domanda di suo figlio le fa cambiare rotta. «Mamma, cosa vuol dire associazione mafiosa?». E lei: la mafia è una cosa brutta, sono uomini che comandano su altri uomini. Al figlio intimò di tenersene lontano e lei iniziò la strada del pentimento, per avere un'alternativa vera alla mafia.
Graziella Campagna
Il 12 dicembre è il giorno di Graziella Campagna. Era il 1985, Graziella aveva 33 anni e fu uccisa per aver scoperto la vera identità di un boss mafioso latitante. Era una semplice lavandaia di Villafranca Tirrena a cui è capitata la sfortuna di trovare un documento nella tasca di una camicia, lasciata in negozio da un certo Ingegner Cannata. Dietro quel falso nome c'era Gerlando Alberti jr, nipote latitante del boss Gerlando Alberti, in carcere per mano del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il 12 dicembre la famiglia perde le tracce di Graziella. Si dice che fosse scomparsa per una fuitina, ma Graziella era salita tranquillamente in un'auto prima di perdere la vita. I resti furono ritrovati a Forte Campone. La sua vita ha ispirato il film per la tv La vita rubata.
Foto: LaPresse
Emanuela Loi
Emanuela Loi è stata la prima donna agente delle scorte ad essere uccisa. La sua lotta contro la mafia ha avuto un epilogo infausto. La sua morte è avvenuta il 19 luglio 1992, in via D’Amelio. In questo attentato persero la vita anche il giudice Paolo Borsellino e i colleghi Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Da anni sua sorella Claudia tiene vivo il suo ricordo nelle scuole e anche grazie all'associazione contro le mafie Libera.
Renata Forte
Renata Fonte inziò a militare nel Partito Repubblicano Italiano fino a diventare cittadino del Comune di Nardò. Il suo pallino era difendere il territorio. Si deve a lei il Comitato per la Tutela di Porto Selvaggio, con cui si oppose alle forti speculazioni edilizie nell'area. Divenne anche la prima assessore di Nardò. Ma durante il suo mandato scoprì numerosi illeciti ambientali e la sua lotta alla speculazione edilizia nella zona di Porto Selvaggio le valsero tre colpi di pistola nella notte tra il 31 marzo e il 1° aprile 1984. Stava tornando a casa dopo una seduta del consiglio comunale. Aveva solo 33 anni. Il suo fu il primo omicidio di mafia nel Salento.
Foto apertura: LaPresse