La co-conduttrice en travesti della terza serata di Sanremo ha dato una spallata al vuoto di contenuti con classe e unicità.
La co-conduttrice en travesti della terza serata di Sanremo ha dato una spallata al vuoto di contenuti con classe e unicità.L'hanno messa in scaletta dopo l'una, la povera Drusilla Foer. In questa scelta non si può che leggere la paura. Paura per un personaggio, la co-conduttrice en travesti dietro cui si nasconde l'attore fiorentino Gianluca Gori, che avrebbe potuto essere il megafono di cose scomode da dire. Abbiamo appena rieletto un Presidente della Repubblica che non voleva essere eletto. La politica è in frantumi. I diritti civili sono tornati nel ripostiglio. Ci manca solo un comico toscano travestito da anziana nobildonna toscana senza peli sulla lingua.
Ma lei, che ha resistito oltre le 23.30, ora in cui tutti avremmo voluto andare a letto, è rimasta sul palco, con il suo elegantissimo outfit e una messa in piega che io non potrei nemmeno sognare e ha detto «Non è che posso a quest'ora ammorbare il pubblico. "Ecco Drusilla Foer che parla di fluidità, integrazione, diversità. Forse dovrei, ma...».
È partita dalla parola diversità, Drusilla, che non le piace: «ha in sé qualcosa di comparativo, è una distanza». E poi, da brava donna d'esperienza, ha aggiunto: «Trovo che le parole siano come gli amanti: quando non funzionano, vanno cambiati subito». Nella ricerca di un sostituto, ne ha trovata una: unicità.
L'unicità secondo Drusilla Foer
«È una parola che piace a tutti. Tutti siamo in grado di notare l'unicità dell'altro. Tutti noi pensiamo di essere unici. Facile, no? Per niente. Perché per comprendere la propria unicità e accettarla, è necessario capire di cosa è fatta la nostra unicità».
«Di cosa siamo fatti noi? I valori, le ambizioni, le convinzioni, i talenti. Però i talenti vanno allenati, seguiti. Delle proprie convinzioni bisogna avere la responsabilità. Non è facilissimo entrare in contatto con la propria unicità. Sulla carta son fighe, ma...».
Come si resta in contatto con la propria unicità
Per rimanere in contatto con la propria unicità, Drusilla Foer suggerisce un metodo: «si prendono per mano tutte le cose che ci abitano, quelle belle, quelle che pensiamo essere brutte e si portano in alto. Si sollevano insieme a noi, nella purezza dell'aria, nella libertà del vento, alla luce del sole, in un grande abbraccio innamorato e gridiamo "Che bellezza! Tutte queste cose sono io". Sarà una figata pazzesca. A quel punto sarà più facile aprirsi all'unicità dell'altro ed uscire da questo stato di conflitto che ci allontana».
Regaliamoci un atto rivoluzionario: l'ascolto
Il regalo chiesto da Drusilla alla fine del suo monologo suona quasi come rivoluzionario. «Sono una persona molto fortunata a essere qui ma vi chiederei un altro regalo: date un senso alla mia presenza su questo palco e tentiamo il vero atto rivoluzionario, che è l’ascolto, di se stessi e degli altri».
«Promettetemi che ci doneremo agli altri, accogliamo il dubbio, anche solo per essere certi che le nostre convinzioni non siano solo delle convenzioni. Facciamo scorrere i pensieri in libertà, senza pregiudizio, senza vergogna. Facciamo scorrere i sentimenti con libertà e liberiamoci dalla prigionia dell'immobilità. Immaginate se il mondo non ruotasse e fisso stesse, se tutto il buio fosse nero pesto».
La spallata della cultura al vuoto
Cose trite e ritrite? Niente di nuovo sotto il sole, dite? Non proprio. Non è tanto il contenuto che fa rumore (anche se grazie, Drusilla, di averci ricordato che siamo unici, al di là di numeri, statistiche, vaccini, isolamenti e quarantene). È il modo. Nel primo film della saga dei Kingsmen, Colin Firth dice al suo pupillo: «I modi definiscono l'uomo». Ed è il modo di Drusilla, su un palco povero di contenuti, a sua volta contenuto nelle parole e nei nomi, per paura di qualche strale dal cielo o dalla Commissione di vigilanza, a fare un Diodatesco rumore.
Fa rumore la sua cultura, la sua classe, il suo volare alto sulla mediocrità, mettendo al centro la propria unicità di persona e performer. L'unica cosa triste di tutta questa bellissima parentesi sanremese è che a dare una spallata al servilismo maschilista di Ornella Muti e all'inconsistenza addomesticata di Lorena Cesarini sia stato un uomo travestito da donna. Un po' come a teatro, ai tempi di Shakespeare, in cui alle donne era proibito anche recitare.
Sarebbe bello se non ci fosse limite all'espressione artistica, quella vera, retta da conoscenza, cultura e modo. Ma anche questo è Sanremo. Non ci resta che aspettare l'arrivo di una nuova unicità, meno addomesticata e più coraggiosa. L'Ariston se lo merita.