Ogni famiglia è infelice a modo suo, scriveva Lev Tolstoj nell'incipit di "Anna Karenina". Forse (forse) un po' meno dopo un cremolato mirtilli e panna.
Ogni famiglia è infelice a modo suo, scriveva Lev Tolstoj nell'incipit di "Anna Karenina". Forse (forse) un po' meno dopo un cremolato mirtilli e panna.Tutte le famiglie felici si somigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.
L’altro giorno stavo al mare e, come avrete ben capito, la mia attività preferita è immaginare la vita degli altri, dopo aver passato quasi 30 anni a immaginare la mia, senza agire moltissimo, mi ritengo una grande professionista.
I miei soggetti principali sono ovviamente le famiglie, le osservo, nonostante io non sia proprio un’esperta di famiglie e meno che mai di immedesimazione, sono una vecchia finta radical chic in declino, quasi tracollo, e la frase del film Lisbon Story, delle complicate che non riescono a vivere neanche la vita propria figuriamoci vivere quella degli altri, mi risuona sempre con una certa violenza dentro: ‘’Ah não ser eu toda a gente e toda a parte!” (Se solo potessi essere tutte le persone in ogni parte del mondo!) e vivere in ogni famiglia e sentire le cose di tutti, probabilmente per anticipare la fine dei miei giorni, che è già prevista in casa di cura per problemini generali.
Sul metro di misura della felicità (e dell'infelicità)
Allora fra un urlo di madri esaurite, due tre brufoletti schiacciati vicendevolmente dalle coppie, e due, tre etti di sabbia che mi arrivano in faccia mi sono chiesta che cosa bastasse a una famiglia per essere definita felice o infelice. Perché la felicità viene rappresentata sempre allo stesso modo mentre l’infelicità è una cosa quasi impercettibile dall’esterno, esclusi casi eclatanti ovviamente.
Mi sono anche chiesta il mio parere a chi servisse, a nessuno, sia chiaro, serve a me per non essere schiava di un ideale di felicità familiare univoca e per non essere iper apprensiva quando le mie amiche, che lavorano con i bambini, mi raccontano di alcune domande che vengono poste loro come: “ma ce l’hai con me? Ti ho fatto qualcosa?’’, senza ovviamente nessun precedente, nessun rimprovero, nessuno sguardo particolare, solo un bambino preoccupato che al pensiero mi distrugge sempre un po’, anche se penso che in dosi pediatriche, come dice la mia dottoressa, faccia bene avere esperienza dell’infelicità a tutte le età e soprattutto, faccia bene imparare a starci dentro e a trovare i propri strumenti.
Se felicità è (anche) un bicchiere di cremolato ai mirtilli
Mentre mi ponevo una serie di domande potenzialmente infinite e senza risposta su come si imposti una famiglia felice, se la famiglia felice fosse un fatto che riguardasse tutta la famiglia e se l’infelicità di un singolo componente bastasse a rendere un’intera famiglia infelice ho visto la bambina Patrizia con un’enorme grattachecca azzurra in mano e ho pensato che io non saprei proprio da dove iniziare per fare in modo che la mia famiglia si definisca felice, così come non saprei individuare i mille bisogni sempre mutevoli dei futuri componenti e colmarli, ma quello di cui sono certa, anche se è poco, è che saprei fargli una granita, o un cremolato, che li renda davvero felici in quel momento, ripeto, è poco, ma voi forse non siete capaci, quindi…
Cosa vi serve per questa psicologia spicciola familiare: