Rifiorire non è proprio quella passeggiatina che tutti pensano. Può essere faticoso e doloroso. Se poi ci aggiungete delle orride torte primaverili, l'impresa diventa ardua.
Rifiorire non è proprio quella passeggiatina che tutti pensano. Può essere faticoso e doloroso. Se poi ci aggiungete delle orride torte primaverili, l'impresa diventa ardua.Ieri sono uscita di casa come esco sempre, nella mia personalissima divisa: calze nere, gonna nera, maglione nero e giacca di pelle nera. Purtroppo come al solito io non capisco la realtà, non avevo capito che era estate, in queste giornate tutte uguali mi ero dimenticata che è arrivato maggio e mi mancava l’aria.
«Aprile è il mese più crudele» dice T.S. Elliot ne La Terra Desolata, invece maggio fischia.
In questa poesia – senza fare come facevo al liceo con la mia amica Paperina Rossi, che le preparavo i discorsi per l’interrogazione di inglese maccheronico, che lei doveva solo ripetere a pappagallo: «the poet wants to tell us that we are all in a Waste Land»... e non lo sapevamo! no, scherzo – il poeta ci parla di quanto possa essere dolorosa la primavera, che costringe la terra, gli alberi, e pure noi, a risvegliarci, a spaccarci, per lasciare rinascere i fiori e le gemme dopo l’inverno, nel ciclo naturale delle stagioni. Senza il permesso di nessuno, sia chiaro, perché io non ero pronta: il piumone lo vorrei togliere quando dico io, non quando arriva maggio, non me la sento.
Elliot, che era un mezzo depressone (come me, incapacy miei), descrive quanto l’essere sollecitati dall’esterno a provare gioia, per alcuni di noi, possa essere piuttosto violento e indesiderato. Pensiamo un attimo a tutta sta faccenda che vi piace tanto della resilienza, di non spezzarsi mai, di essere sempre performanti e focalizzati, nonostantetutto (come vi piace tanto scrivere quando vi riaccollate il/la vostr* ex dopo che vi ha combinato qualsiasi cosa), non credo vi faccia così bene. Se lo scopo è quello di fare arrivare la vostra personale primavera, come dice Elliot, qualche spacchetto ve lo dovete fare, qualcosa vi deve far male, non potete essere solo integri e andare avanti come un carrarmato. Alla fine vi fate male, ve lo prometto.
Lo so che ve lo siete già tatuato RESILIENZA sul petto, lo so che vi viene da piangere, ma sicuramente troverete un bravo tatuatore che vi modificherà il tatuaggio resilienza in resistenza, quella di bella ciao però, perché invece, come vi ho spiegato mille volte, anche resistere troppo agli eventi della vita, è faticoso e inutile.
Quindi in definitiva, se uno non si sentisse abbastanza pronto per abbandonare febbraio, perché vuole stare un attimo tranquillo, a letto, sereno, non vuole togliersi le calze nere e uscire alla vita, che deve fare? Niente, prendersi l’antistaminico e accettare che la primavera arriva, ma non tutti rispondiamo al suo stimolo allo stesso modo. Non mi ricordo dove ho letto che il braccio non ti fa male quando è addormentato, ti fa male quando lo muovi di nuovo e il sangue torna a circolare al suo interno, ti pizzica tutto e piangi, tipo me tutte le notti che penso che siano gli ultimi minuti della mia vita.
Questa non vuole essere un’ode alla depressione, sia ben chiaro, vuole solo essere una riflessione sul fatto che la prospettiva forzata di dover fare uno switch repentino e senza senso, in un dato momento non scelto e non corrispondente ai nostri tempi è di una crudeltà mostruosa. O anche che forse, non so come rendere un concetto banale ancora più banale, per fare rinascere qualcosa dall’aridità del nostro personale inverno, si deve passare per un po’ di malessere, qualche doloretto sparso lo dobbiamo percepire.
Vi propongo quindi di ribaltare quelle frasi da scemett* su internet che vi piacciono assai tipo: “quando siete felici fateci caso” in “quando siete tristi fateci pace”, senza sentire la primavera esterna prepotente, rimanete pure un po’ a letto, che non fa niente.
Cos’altro mi fa male a maggio? Proprio che mi spezza senza farmi uscire dal petto nessun fiore e nessuna gemma?
Le vostre torte primaverili.
Mi fanno male.
Allora mi chiedo, perché vanificare lo sforzo della natura che, dopo un inverno sereno, è costretta a provare un dolore lancinante, prima quando deve generare le gemme, i fiori e i frutti, poi quando anche lei poverina è costretta a vedere i suoi figli, succosi e dolci, sulle vostre torte alla crema, che molto spesso è talmente liquida che questi frutti si lasciano morire e affondano? È un dramma.
Impariamo oggi a rispettare gli sforzi degli alberi, ma anche quelli delle galline non sono da meno, che non deve essere bella la questione di partorire quasi un uovo al giorno.