Le famiglie disfunzionali esistono: talvolta si riconoscono a occhio nudo, talvolta le dinamiche tossiche sono molto più subdole. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Ana Maria Sepe, psicologa e co-fondatrice del portale Psicoadvisor.
Le famiglie disfunzionali esistono: talvolta si riconoscono a occhio nudo, talvolta le dinamiche tossiche sono molto più subdole. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Ana Maria Sepe, psicologa e co-fondatrice del portale Psicoadvisor.Ci sono tre fratelli: Gary, dirigente di banca, depresso e tiranneggiato da una moglie infantile; Chip, licenziato dall’università per "comportamento sessuale scorretto"; e Denise, tanto apprezzata nel lavoro quanto criticata nella vita privata. E ci sono i loro genitori, Alfred ed Enid Lambert, che si trascinano stancamente verso la vecchiaia, bisticciando tra di loro e cercando di eludere i problemi, nella speranza di riunire la famiglia per un ultimo Natale. “Le correzioni”, il capolavoro che ha consacrato Jonathan Franzen tra i massimi autori americani contemporanei, si intitola così proprio perché Enid Lambert ha provato a correggere i propri figli per riportarli entro i binari dettati dalla morale dell’America del dopoguerra. Senza riuscirci, come dimostra la dissacrante epopea di una famiglia disfunzionale in cui chiunque, in un modo o nell’altro, può vedere rispecchiate le proprie fragilità. Al di fuori della finzione letteraria, le famiglie disfunzionali esistono: talvolta si riconoscono a occhio nudo, talvolta le dinamiche tossiche sono molto più subdole. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Ana Maria Sepe, psicologa e co-fondatrice del portale Psicoadvisor.
Cos'è la famiglia disfunzionale
La famiglia è un gruppo sociale che svolge determinate funzioni: una funzione biologica innanzitutto, ma anche una funzione economica (con la suddivisione dei compiti domestici, e il fatto che i membri produttivi abbiano la responsabilità di garantire il sostentamento degli altri), una funzione socio-educativa (che precede e affianca quella della scuola) e una funzione psicologica, poiché è il luogo in cui ciascuno deve sentirsi accettato, protetto e incoraggiato.
La famiglia disfunzionale è quella che non riesce ad assolvere in modo efficace a questi compiti. Questo perché mancano le risorse psicologiche necessarie per far sì che ciascuno dei membri si senta libero di manifestare la propria individualità. Sarebbe semplicistico dire che una famiglia sia disfunzionale “per colpa” di uno dei suoi componenti, tipicamente uno dei due genitori. La realtà è molto più sfumata, appunto perché la famiglia è un sistema sociale in continuo divenire nel quale ciascuno influenza gli altri e, a sua volta, ne è influenzato.
Le caratteristiche
Quello appena descritto è un substrato comune che può manifestarsi in forme molto differenti. È disfunzionale una famiglia in cui i genitori hanno una dipendenza dall’alcool e non sono in grado di occuparsi dei figli pur vivendo insieme a loro. Ma è disfunzionale anche una famiglia in cui un bambino dall’esterno appare impeccabile, un adulto in miniatura, ma in realtà il suo comportamento deriva da una profonda insicurezza o da una dinamica manipolatoria.
In generale, alcune delle caratteristiche comuni alle famiglie tossiche sono le seguenti:
- mancanza di comunicazione;
- manipolazione emotiva (anche, ma non solo, attraverso la formazione di “alleanze” ai danni di un altro membro della famiglia);
- freddezza nella relazione tra genitori e figli;
- conflitti continui e violenti in termini fisici e verbali;
- scambio dei ruoli: un caso tipico è quello in cui i figli, fin da piccoli, si assumono la responsabilità dei genitori.
Le differenze con una famiglia funzionale
Ma è possibile tracciare una linea di confine tra famiglie funzionali e disfunzionali? “Le famiglie funzionali possono litigare, possono vivere attriti e affrontare tutte le avversità della vita. C’è una cosa però che non fanno. Non piegano l’identità del singolo alla volontà di un altro. Ogni individuo è libero di essere sé stesso e non ha paura di esprimersi o di sbagliare, può affermare la sua identità con la consapevolezza di essere accettato e stimato dagli altri”, chiarisce la dottoressa Ana Maria Sepe.
“Nelle famiglie disfunzionali, invece, manca l’accettazione. Una mancanza che in superficie può sembrare banale ma in profondità non lo è affatto perché preclude la possibilità di essere sé stessi, una rinuncia infausta soprattutto per i piccoli di casa. I bambini che crescono in una famiglia disfunzionale, presto o tardi, si ritroveranno a vivere una vita che non ha niente a che vedere con chi sono loro, ma riflette piuttosto le aspettative o le pressioni genitoriali. Molti bambini, pur di non disturbare, non essere di peso e far contenti mamma e papà (insomma, pur di farsi accettare e farsi amare con la condizionale), finiscono per reprimere le proprie emozioni ed evitare ogni manifestazione autentica di sé fino ad allontanarsi da ciò che sentono e ciò che sono. Nella famiglia funzionale una repressione del genere è inconcepibile: i vissuti emotivi di tutti i membri hanno diritto di esistere e un bambino non arriva mai a negare sé stesso. Il genitore accoglie e «regola» le emozioni del piccolo ma non le reprime”.
“Riconoscendo l’identità dell’altro se ne riconoscono anche i bisogni, come il bisogno di spazio, di privacy, di affermazione e di autonomia”, conclude la dottoressa. “I confini tra un elemento e l’altro della famiglia sono ben scanditi e i ruoli non sono rigidi, nel senso che non vi è una gerarchia che verte sull’importanza. I bisogni di ognuno contano. Non esiste un capro espiatorio né l’ultima ruota del carro, sono tutti nello stesso vagone e tutti con il medesimo diritto di un viaggio armonioso e confortevole”.
Quali sono le cause
Ogni famiglia è diversa e ogni storia è diversa. Oltretutto, “ci sono diversi gradi di disfunzionalità, non tutte le famiglie disfunzionali sono ugualmente nefaste e tutto dipende, appunto, da chi quella famiglia la crea”, continua la dottoressa Ana Maria Sepe. Fatta questa necessaria premessa, possiamo cercare di ricostruire le più comuni cause che innescano dinamiche disfunzionali in famiglia.
“Quando i partner che s’incontrano per creare il proprio nido d’amore hanno vissuti irrisolti, le possibilità di costruire una famiglia disfunzionale sono elevate”, spiega Ana Maria Sepe. Una delle ragioni scatenanti più comuni, ma non l’unica, sta nella mancanza di amore tra coniugi. “Purtroppo, fino a qualche tempo fa, il matrimonio era visto come l’unica opportunità per andare via di casa. Se non i nostri genitori, di certo i nostri nonni hanno dovuto aspettare il fatidico 'sì' per costruirsi una propria autonomia e lasciare la famiglia d’origine. Questo ha dato luogo a molti matrimoni forzati”.
Dopodiché ci sono altri fattori di rischio non trascurabili, come “dipendenze patologiche (da sostanze, da alcol, da gioco d’azzardo), disturbi dell’umore o i disturbi della personalità”, spiega la dottoressa Sepe. “Banalmente, anche la difficoltà a gestire le proprie emozioni può riflettersi negativamente nella coppia prima e nella famiglia dopo, dando origine a diversi disequilibri. A monte, se nella coppia che decide di mettere su famiglia mancano reciprocità, accettazione e stima, difficilmente il nucleo familiare nascente sarà ben funzionante. Difficilmente i figli si sentiranno ben accolti e successivamente capaci di accogliere a loro volta i genitori”.
“Non dimentichiamo, infatti, che la vita è così: i genitori accudiscono i figli che, a un certo punto della loro vita, si ritroveranno a dover accudire i propri genitori anziani. Talvolta i figli sono riluttanti ad accettare questo ruolo e così vengono additati negativamente dalla società: ancora oggi c’è lo stigma che un figlio deve tutto al genitore, a prescindere da qualsiasi ingiustizia subita. La verità è che molte famiglie si trascinano, ben nascosti, drammi e dolori che solo chi guarda molto da vicino può notare”, sottolinea.
Tipi di famiglie tossiche
Nel concreto esistono diversi tipi di famiglie disfunzionali. Ne citiamo alcuni, rimandando alla lettura di questo approfondimento pubblicato da Psicoadvisor:
- Famiglia sacrificante: non c’è spazio per il piacere ma solo per il dovere e la privazione. Accade ad esempio quando una madre si annulla per i figli e – anche inconsapevolmente – trasforma il suo sacrificio in una leva di manipolazione.
- Famiglia permissiva: gli adulti, fragili e indecisi, non sono in grado di esercitare l’autorità che sarebbe connessa al loro ruolo di genitori.
- Famiglia iperprotettiva: impauriti dal mondo esterno, i genitori fanno di tutto per tenere i figli sotto una campana di vetro.
- Famiglia controllante: i genitori si sentono autorizzati a interferire in continuazione nella vita dei figli, senza lasciare loro alcuna privacy.
La dipendenza nella famiglia disfunzionale
Una delle dinamiche disfunzionali più comuni è la dipendenza. “Tutti noi dovremmo attraversare uno stato di dipendenza solo transitorio e del tutto naturale. In fondo, sebbene ci sia stato fatto il dono della vita, non abbiamo certo chiesto noi di nascere e quando veniamo al mondo siamo indifesi, spaventati e bisognosi. In alcuni casi, quello che sarebbe dovuto essere uno stato transitorio di dipendenza, permane”, spiega la dottoressa Ana Maria Sepe.
“La dipendenza genitore-figlio verse su credenze (più o meno inconsapevoli) del genitore. Le credenze si trasformano in atteggiamenti, gesti e frasi che vengono reiterati continuamente nella vita del piccolo fino a renderlo fragile, fino a minare del tutto la sua autostima e renderlo patologicamente dipendente. Tipicamente tale dinamica è innescata da genitori eccessivamente protettivi, ansiosi, iper-controllanti o invadenti, che vogliono gestire ogni aspetto della vita della prole. Il bambino, crescendo, si convincerà di non poter affrontare la vita da solo, senza sapere che in realtà è stato il genitore a negargli la possibilità di affermare una propria identità, oltre che autonomia. Quel bambino, non solo rischierà di sviluppare una dipendenza affettiva parentale ma anche da tutti i partner futuri con i quali legherà, dando vita a relazioni sbilanciate e future famiglie disfunzionali”.
Le conseguenze
Vivere in una famiglia disfunzionale ha sempre delle conseguenze. Conseguenze che possono essere più o meno gravi, a seconda della dinamica tossica subita e del tempo per il quale si è protratta. Il rischio è quello di sviluppare ansia e depressione; oppure di cercare nelle sostanze di abuso quel riparo e quella rassicurazione che sono sempre mancati. Ci sono bambini che, a causa del rapporto tossico con i propri genitori, assumono atteggiamenti problematici, ribelli o arroganti. Ce ne sono altri che, al contrario, vivono immersi nel senso di colpa, perdono la propria autostima o finiscono per farsi carico dei problemi degli adulti.
Come uscire da una dinamica familiare tossica
Le famiglie disfunzionali condizionano il presente e il futuro della persona che ne fa parte, questo è inevitabile. Ma i modi per svincolarsi da dinamiche tossiche esistono. E tutto comincia dalla consapevolezza.
Come capire se una famiglia è disfunzionale
Come capire se si fa parte di una famiglia disfunzionale? Esistono campanelli d’allarme? Secondo la dottoressa Ana Maria Sepe, “non è necessario scorgere grandi indicatori. A chi in quella famiglia ci vive, basta ascoltare le proprie emozioni e porsi qualche interrogativo. Se in famiglia ti senti solo, diverso da tutti gli altri, oppure sempre tagliato fuori, non considerato o incompreso, allora sarebbe opportuno porre maggiore attenzione alle dinamiche familiari. Come spiego nel mio libro 'Riscrivi le pagine della tua vita', le emozioni sono il nostro più prezioso campanello d’allarme, sono in grado di metterci al corrente di tutto ciò che sfugge alla nostra consapevolezza. Le emozioni non mentono: ti dicono esattamente se qualcosa non va e da dove ripartire, in qualsiasi momento, per riprendere riprendersi quell’identità negata”.
E se invece la famiglia non è la propria, ma la si osserva dall’esterno e si ha il sospetto che qualcosa non funzioni? “Bisogna considerare in che fase si trova”, consiglia la dottoressa. “Durante l’infanzia solo un occhio esperto può cogliere degli indicatori, mentre diventa più semplice quando i figli sono divenuti adulti. Una fase indicativa può essere l’adolescenza. L’adolescenza è da sempre tacciata come un periodo difficile, tuttavia le ricerche hanno dimostrato che lo è principalmente per i ragazzi cresciuti in famiglie disfunzionali. Sono loro che vivono questa fase con maggiore ribellione e conflittualità a causa dell’autonomia tanto agognata che tarda ad arrivare e dell’identità che gli è stata negata fin dall’infanzia. Quindi un’adolescenza particolarmente turbolenta può essere indicativa ma attenzione, anche il cosiddetto ‘figlio modello’, che fin dall’infanzia appare come un bambino adultizzato, può nascondere un forte disagio familiare”.
Le possibili vie d’uscita da una famiglia disfunzionale
Una volta acquisita questa consapevolezza, concretamente cosa si può fare? Tagliare i ponti è indispensabile, oppure ci sono altre vie? “Tagliare i ponti è un gesto estremo che spesso non risolve molto. Puoi cambiare città, mettere chilometri di distanza tra te e la tua famiglia, puoi addirittura decidere di non avere più alcun contatto ma, se l’emancipazione non emerge forte e decisa dall’interno, quei drammi familiari faranno parte di te per sempre (o quasi!)”, puntualizza la dottoressa Ana Maria Sepe. “I genitori disfunzionali, infatti, possono innescare veri e propri traumi dello sviluppo psicoaffettivo. In genere siamo abituati a pensare al trauma come un evento grandioso ed eclatante, che si verifica una tantum. Cosa c’è di più grandioso ed eclatante di un susseguirsi d’invalidazioni che, invece, si verificano nella vita del bambino, puntualissime, a cadenza quotidiana? Chi è cresciuto in una famiglia disfunzionale è stato sicuramente un bambino traumatizzato ma per fortuna non esiste nulla di irreversibile. Da qualsiasi ferita, anche dalla più profonda o crudele, si può guarire. L’unico dovere di quel bambino ormai cresciuto è questo: guarire sé stesso, prendersi cura di sé”.
“L’adulto che decide di tagliare i ponti con la propria famiglia d’origine ha sicuramente le sue buone ragioni ma, altrettanto sicuramente, si ritrova a compiere questo gesto estremo perché non vede alcuna alternativa. È semplicemente saturo. Eppure, un’altra strategia ci sarebbe, quella di iniziare a pensare a sé stesso non più in relazione ai genitori ma come individuo che realizza sé stesso. In contatto con i genitori o distanziati non fa differenza quando quel figlio non amato prende in carico il suo benessere e inizia a darsi tutto ciò che i genitori non hanno saputo dargli. Ognuno di noi, può essere per sé stesso un genitore interiore di gran lunga migliore del genitore biologico che ha avuto. Come spiego nel già citato libro ‘Riscrivi le pagine della tua vita’, quando decidiamo di accogliere noi stessi, è un po’ come se ci mettessimo al mondo per la seconda volta, questa volta, però, alle nostre condizioni, con le nostre priorità e soprattutto, dandoci la possibilità di affermare la nostra vera identità”.
Foto copertina: milkos / 123rf.com