Psiche
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Autismo: l'invisibilità delle donne nello spettro

Le donne con disturbo dello spettro autistico sono numericamente una minoranza, ma una minoranza che esiste e merita di essere considerata. Con l’aiuto di un esperto, cerchiamo di capire se il genere influenza le manifestazioni dell’autismo, la diagnosi e i percorsi terapeutici. 

Le donne con disturbo dello spettro autistico sono numericamente una minoranza, ma una minoranza che esiste e merita di essere considerata. Con l’aiuto di un esperto, cerchiamo di capire se il genere influenza le manifestazioni dell’autismo, la diagnosi e i percorsi terapeutici. 

Rain Man, Buon compleanno mr. Grape, Il ragazzo che sapeva volare, Molto forte, incredibilmente vicino. Questi film hanno due cose in comune: hanno un protagonista con un disturbo dello spettro autistico e quel protagonista è un uomo. Non è un caso se, nel nostro immaginario, tendiamo istintivamente ad associare l’autismo a figure maschili: è il Manuale diagnostico e statistico sui disturbi mentali a dire chiaramente che l’incidenza di questo disturbo del neurosviluppo (da non definire come “malattia”, dunque) è di circa quattro volte più alta nel genere maschile. 

Bambine e donne, dunque, sono una minoranza. Ma una minoranza che esiste e, nel suo insieme, raggiunge dimensioni tutt’altro che trascurabili. Basti pensare che, solo in Italia, sono quasi 79mila le persone con una diagnosi di autismo in cura presso i centri specializzati. Anche ipotizzando che il rapporto tra femmine e maschi sia di uno a quattro, parliamo comunque di decine di migliaia di casi nel nostro Paese.

Ma perché è così difficile “vedere” le donne nello spettro? Fermo restando che ogni caso è a sé, esistono delle peculiarità che le distinguono dagli uomini? Ne abbiamo parlato con il dottor Niccolò Schenone, psicologo e psicoterapeuta specializzato in autismo e psicoterapia cognitivo comportamentale che riceve presso il Centro Leonardo, focalizzato nella diagnosi e nel trattamento dei disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), con varie sedi in Liguria.

Il disturbo dello spettro autistico è una condizione che numericamente interessa più gli uomini che le donne. Innanzitutto, c’è un motivo noto?

In generale, non è stato identificato ad oggi un motivo univoco e specifico nello spiegare l'insorgenza e la frequenza di questo quadro diagnostico. Bisogna abbandonare, quindi, un ragionamento basato sulla causalità lineare e pensare in termini multifattoriali. Ci sono piuttosto aspetti molteplici che possono co-occorrere nell'eziologia di un funzionamento autistico: da aspetti biologici e genetici a fattori contestuali e ambientali che possono modularne più o meno l'espressione. È in questo quadro multifattoriale e complesso che troviamo anche aspetti come la familiarità (per esempio chi ha un familiare diretto con autismo può avere maggiore probabilità di svilupparlo alla nascita) e la maggiore frequenza nel sesso maschile piuttosto che femminile.

Questo comporta delle difficoltà nella diagnosi, se la persona affetta è una donna?

È il caso di fare una premessa: come dice la definizione, l'autismo si esprime come uno "spettro". Questo significa che quelli che sono considerati gli elementi "core" (nucleari) che connotano questo quadro di funzionamento si possono manifestare in maniera estremamente varia e con diversi livelli di severità di sintomi. Quando i sintomi sono molto severi, purtroppo l'impatto sul funzionamento dell'individuo è più evidente e pervasivo e si possono scorgere atipíe anche molto franche agli occhi di un clinico, sin dalla primissima infanzia.

È diverso invece nelle forme più lievi (a volte definite "ad alto funzionamento"), dove addirittura possiamo trovare solo alcuni tratti autistici che per molti anni, magari, non hanno generato particolari problematiche e non hanno pertanto condotto a richiedere pareri o consulenze psicologiche e neuropsichiatriche. Quindi, in queste situazioni meno evidenti, possiamo avere maggiori difficoltà nello scorgere le caratteristiche autistiche. Questo vale anche per la popolazione femminile, dove statisticamente ci aspettiamo una minore probabilità di autismo.

Personalmente penso che questa difficoltà diagnostica inerente alle donne fosse sicuramente più presente in passato. Ad oggi, grazie al maggiore interesse rispetto al tema, alla maggiore sensibilizzazione, a strumenti differenti e alle molte possibilità formative di cui il professionista può usufruire, penso che si possano acquisire competenze per ridurre il rischio di mancata diagnosi

È anche importante specificare che la diagnosi di autismo è una diagnosi "clinica"; cosa significa? Che, sebbene si utilizzino anche strumenti diagnostici come test, questionari, interviste ecc. – che, come tutti gli strumenti, hanno le loro caratteristiche e, quindi, i loro limiti – apporre una diagnosi è decisione del clinico a cui è stata chiesta la consulenza. Questo comporta anche che aspetti prettamente numerici rilevati dai test possano essere contestualizzati all'interno del funzionamento della persona e quindi interpretati coscientemente. In questo senso diventa ancora più importante e utile, per chi si approccia a effettuare diagnosi di autismo, l'aggiornamento tramite la formazione, la supervisione e l'intervisione coi colleghi rispetto alle reciproche esperienze.

Le donne manifestano l’autismo in modo diverso rispetto agli uomini?

Ad oggi i criteri diagnostici (quindi le caratteristiche tipiche di questo funzionamento) sono unici per tutti, a prescindere dal genere. Tuttavia, per quello che riguarda soprattutto le forme di autismo più lievi, si possono riscontrare delle peculiarità che sembrano caratterizzare più l'espressione del funzionamento autistico nelle le donne rispetto agli uomini. Per fare un esempio: nelle donne si notano spesso maggiori abilità di "masking", ossia capacità di camuffare e compensare il funzionamento atipico con comportamenti diffusi nelle persone normotipiche, imitandoli e apprendendoli dal contesto.

Questo può rendere meno evidenti alcune peculiarità della persona e potenzialmente rende più difficile riconoscere i segnali di un funzionamento autistico. Questa attività di masking può inoltre risultare anche funzionale, soprattutto se non intacca in maniera elevata le risorse dell'individuo, consentendo alla persona di andare avanti per molti anni senza sostanzialmente venire diagnosticata.

Secondo alcune statistiche, le persone autistiche sono più frequentemente soggette ad abusi sessuali, perché l’espressione del consenso presuppone alcune competenze (per esempio in termini di linguaggio non verbale) che le persone autistiche fanno fatica ad avere. Questo dato le risulta?

Nella mia esperienza professionale, purtroppo, sì. Sicuramente può avere un ruolo la difficoltà comunicativa che caratterizza le persone nello spettro autistico. Mi capita inoltre di vedere anche un'influenza della difficoltà che talvolta le persone con autismo hanno nella lettura delle situazioni sociali, soprattutto di quegli elementi impliciti che possono farci intuire l'intenzione del nostro interlocutore anche se non espressa verbalmente. 

In questo senso possiamo immaginare come possa diventare difficile a volte leggere eventuali segnali di pericolo, che magari sono molto sottili. È importante secondo me però specificare che questo tipo di difficoltà non sono legate ad aspetti strettamente intellettivi, ma sono di natura emotiva e relazionale. Possiamo trovare quindi anche persone che sono assolutamente dotate intellettivamente ma che non riescono a cogliere gli impliciti comunicativi di un altro individuo e delle sue intenzioni e quindi magari ad attuare comportamenti protettivi per tempo.

I percorsi terapeutici per l’autismo prendono in considerazione anche il genere?

In linea generale, mi sento di dire che i percorsi terapeutici sono centrati sulla persona, con tutto ciò che la caratterizza. Questo aspetto è fondamentale perché, anche a parità di diagnosi, non troveremo mai due persone autistiche uguali tra di loro (proprio come per le persone non autistiche!). Il percorso terapeutico deve tenere conto perciò di tutto ciò che caratterizza l'individuo (quindi anche il genere), perché il terapeuta deve poter essere in condizione di declinare e utilizzare gli strumenti terapeutici generalmente indicati sulla specifica esperienza che sta facendo la persona.

Foto copertina: Milan Popovic/Unsplash