Per i soggetti più sensibili il senso di colpa rischia di diventare un pesante fardello, per quelli più superficiali è solo un ronzio di fondo. Ma imparare a gestirlo è possibile.
Per i soggetti più sensibili il senso di colpa rischia di diventare un pesante fardello, per quelli più superficiali è solo un ronzio di fondo. Ma imparare a gestirlo è possibile.Erica Jong sosteneva che «le donne sono le peggiori nemiche di sé stesse. E i sensi di colpa sono il principale strumento della tortura che si autoinfliggono». Per alcune persone - maschi e femmine - questo fardello avvelena la quotidianità. A volte ci si percepisce colpevoli anche di cose che non c'entrano niente con il proprio vissuto. Altri invece, che vivono più in superficie, sentono il senso di colpa come un rumore di fondo, qualcosa di fastidioso da scacciare con una mano. Riversano le proprie responsabilità sugli altri e, negandole, continuano a ripetere gli stessi errori.
Con Giovanni Andrea Fava, professore ordinario presso il Dipartimento di Psicologia dell'Università di Bologna, abbiamo esaminato il senso di colpa, le sue origini storiche e gli influssi sulla vita quotidiana. Gestirlo con successo e trarne anche qualche vantaggio è possibile.
Il senso di colpa è un'espressione che ha connotazioni molto ampie. Si tratta di una sensazione legata al pensiero e consapevolezza dell'aver sbagliato, del non aver risposto alle aspettative degli altri. «Il senso di colpa è molto legato alla percezione del nostro ruolo rispetto agli eventi - spiega Fava -. Questa può essere eccessivamente estesa e dilatata per certe persone, e quasi inesistente per altre». Il senso di colpa di per sé non è né negativo né positivo. «È uno strumento che ci aiuta a renderci conto degli errori che possiamo inevitabilmente fare, - sottolinea l'esperto - è l'entità di questa percezione che può diventare problematica».
«Può succedere che le persone più scrupolose, che tendono alla riflessione e all'introspezione, tendono ad attribuirsi la responsabilità di situazioni e problemi, che in realtà sono minime o inesistenti - spiega Fava, che aggiunge -. Al contrario, persone più superficiali o che hanno l'abitudine di scaricare sugli altri i propri problemi, possono non sentire nemmeno il più sano ed elementare senso di colpa».
Quando è dilagante, il senso di colpa può anche far danni. «Portare la persona a uno stato di sofferenza, di dolore psicologico estremamente accentuato». Ma «il non avere il minimo riconoscimento di determinati errori e responsabilità, può non permettere alla persona di crescere da un punto di vista personale». Il senso di colpa ha i suoi vantaggi. Come spiega Fava, «l'elemento fondamentale che ci aiuta a crescere è capire quando e dove sbagliamo. Se manca, una persona continua a ripetere gli stessi errori». Si tratta di un meccanismo dunque legato all'autoconsapevolezza del proprio operato.
Tuttavia le manifestazioni più acute del senso di colpa possono essere esasperate dalla tradizione religiosa. Vivendo in un Paese in cui la Chiesa Cattolica ha il suo stato e la sua guida spirituale, spesso viene instillata un'errata concezione religiosa, trasmessa sin dall'infanzia. Nel libro del teologo Ortensio da Spinetoli, L'inutile fardello (Chiarelettere), si parla del senso di colpa come peso che ci portiamo dietro a causa degli influssi religiosi.
«Le direttrici su cui Ortensio da Spinetoli si muove sono l'interpretare la morte di Gesù in croce come un sacrificio dovuto alle nostre colpe e l'interpretare la sofferenza (che lui chiama "mistica del patire”) come un favore, una grazia. Alcune persone afflitte da un dolore mentale e psicologico continuo pensano che questo sia inevitabile. Se nel mio lavoro incontro una persona attanagliata dai sensi di colpa, dalla percezione della sofferenza del male come effetto religioso, propongo un po' di biblioterapia: quello di Ortensio è un libro che fa bene», conclude lo psicologo.
Come comportarsi dunque con i bambini che si avvicinano al catechismo e ai primi principi religiosi cattolici? «Bisognerebbe ripensarne l'insegnamento - sostiene Fava -. Io ho appreso una religione che incuteva paura, timore. Si aveva sempre la sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato. Ma che peccati può mai avere un bambino?».
Il senso di colpa gioca un ruolo importantissimo e pericoloso nelle persone affette da depressione. «La persona depressa ha una percezione alterata del proprio stato, quindi non vede niente davanti a sé, - sottolinea l'esperto -. Si è tristi, disperati, non si riesce a reagire positivamente agli stimoli che arrivano dall'esterno. Chi è depresso può subire un aumento del senso di colpa. La persona comincia a sentirsi in colpa per cose per cui precedentemente non sentiva alcuna responsabilità».
«Questo senso di colpa dilatato ci convince di aver fatto o di fare solo del male alle altre persone. Questa dilatazione può innescare la percezione che dobbiamo pagare per qualcosa, che la cosa migliore sia sparire, ed ecco le reazioni suicidarie nei casi più estremi, che si crede essere l'unica soluzione alle proprie problematiche». In alcuni casi di cui si parla nelle pagine di cronaca la dimensione di un delirio può coinvolgere anche i familiari nel suicidio.
Gestire il senso di colpa e arginare gli effetti di una sua eccessiva dilatazione è possibile. «Innanzitutto, - spiega Fava - una cosa utile è la condivisione. Se non si parla mai di queste sensazioni e idee con nessuno, si continua a pensarci senza sosta e si può perdere il controllo di questi pensieri. La linea di demarcazione da non superare è il sentirsi in colpa per qualsiasi cosa. Allora c'è necessità di chiedere aiuto a uno specialista».