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Psicofarmaci: la storia di Linda, “drogata di Stato”

Una sorta di “fine pena mai”: le persone che assumono psicofarmaci sanno perfettamente qual è l'inizio della cura, ma nessuno dice loro quando potranno smettere. 

Una sorta di “fine pena mai”: le persone che assumono psicofarmaci sanno perfettamente qual è l'inizio della cura, ma nessuno dice loro quando potranno smettere. 

Linda li definisce "drogati di Stato". Con questa espressione indica tutte le persone che sono costrette ad assumere psicofarmaci. Costrette da chi? Da patologie psichiatriche diagnosticate da specialisti. Le definizioni possono variare negli anni, a seconda dei medici che man mano si avvicendano nella storia del paziente.

Ma le cure, quelle non finiscono mai.

La lunga relazione di Linda (nome di fantasia) con gli psicofarmaci inizia nel 2012. "Il primo fu il Sereupin, un antidepressivo per adulti contro depressione e disturbi d'ansia - racconta Linda -. Credo di essere stata sempre un po' depressa, ma in famiglia la situazione veniva minimizzata”.

Poi, nel 2012, l'episodio scatenante. Linda lavorava in una tv privata come giornalista e conduttrice, un lavoro che l'appassionava e a cui si dedicava da 6 anni. L'arrivo di un nuovo capo in redazione che per anni si accanisce contro di lei e i colleghi.

"Due persone sono andate via - ricorda Linda - altre andarono in trasferta forzata, io ero sola con lui. Urla quotidiane, menzogne sul proprio lavoro, pressione alle stelle, era facile perdere le coordinate con la realtà. Era una tortura psicologica continua. Lì ho iniziato a stare male".

Il licenziamento era una soluzione certo, ma è sempre un bel dilemma quando si ha un contratto a tempo indeterminato. Nell'estate 2012 però, al momento di andare in ferie Linda si accorge che, invece di stare meglio perché libera, stava peggio.

L'esperienza in ufficio le è costata una relazione importante. "Tutta questa tensione ci aveva allontanati – spiega Linda – Lo avevo lasciato perché non parlavamo più e quando ci siamo ritrovati lui era cambiato, sembrava che volesse solo farmela pagare”.

Linda non ha retto il mix esplosivo e, una volta a casa, ha preso tutte le pillole di Serupin che aveva in casa. "Quando mi hanno trovata, hanno chiamato i soccorsi e sono andata in ospedale. Volevano ricoverarmi, ma quando ho visto il reparto, sotto la tutela dei miei genitori, sono tornata a casa. Due giorni dopo però l'ho rifatto e a quel punto non avevo più scelta, e mi hanno ricoverato".

Questo è il punto di partenza, l'inizio di una dipendenza senza apparente possibilità di disintossicazione. "Quando sono entrata in reparto formalmente ero una persona che aveva preso “una dose incongrua di farmaci”, come si leggeva nel rapporto. Non avevo precedenti di patologie psichiatriche di nessun tipo, quindi posso dire che mi hanno riempita di psicofarmaci senza criterio. Non ero più io". I farmaci avevano eliminato ogni freno inibitore, insieme alla lucidità.

Quello non è stato l'unico ricovero e ogni volta gli specialisti cambiavano farmaci e dosaggi. "La psichiatria non è una scienza esatta, e lo dicono anche i medici - sottolinea Linda -. A livello scientifico siamo nel Medioevo della psichiatria e anche loro - quando sono onesti - lo dicono: vanno per tentativi”.

Il problema è la diagnosi. A Linda è stato diagnosticato un disturbo bipolare di tipo 2: "Solo a quel punto mi hanno dato dei farmaci un po' più specifici”. Ora un altro psichiatra l'ha classificata come borderline.

Sono 6 anni che Linda prende psicofarmaci e nessun medico le ha mai detto che un giorno potrà smettere. "Il problema di questi farmaci in generale - parlo di un mix perché non ne prendo un tipo solo – è che ti levano la percezione di te stessa e delle cose che tu avevi prima. Ti rendono difficile fare uno storico di quello che ti è successo. E poi c'è il discorso della dipendenza. Tutti sanno che non si può smettere da un giorno all'altro, ma nessuno ti spiega cosa può succedere".

Linda ha avuto una crisi d'astinenza e spiega che, anche se salti poche dosi, gli effetti sono paragonabili a quelli da droghe illegali. "Mi sentivo come se avessi qualcosa dentro la testa che palpitava continuamente, perdevo l'equilibrio, non riuscivo a camminare dritta per il corridoio di casa", ricorda.

Sembra che accedere agli psicofarmaci sia molto più semplice che smetterli. È come se anche gli specialisti non si preoccupassero del dopo, che la loro responsabilità si fermi all'inizio e allo svolgimento della cura farmacologica. "Ho incontrato un solo psichiatra che mi ha detto 'tu puoi vivere senza psicofarmaci e questo sarà il nostro obiettivo', ma è un caso su un milione".

Il problema poi è il primo step, i medici di base: "ne danno a piene mani", spiega Linda. Un altro fattore critico è la vergogna sociale che a volte si prova nello scoprirsi pazienti psichiatrici. Poi ci sono gli effetti collaterali, "tipo che non ti ricordi più un cazzo. Perdi la memoria a breve termine. E allora ti arrabbi. Ti dici: queste cose dovrebbero curarti - io ho smesso di crederci - ma mi creano dei problemi". Linda ora ha un tremore alle mani che le impedisce di tornare a fare il lavoro che faceva ai tempi del mobbing, la videoreporter.

Quando Linda pensa alla sua vita senza psicofarmaci, il fantasma delle crisi d'astinenza torna a tormentarla: "La volontà ci sarebbe tutta. Ma quello che mi spaventa ancora di più è che lo psichiatra che ho adesso sostiene che nessuno dei farmaci che prendo può creare astinenza". E lei sa sulla sua pelle che non è vero.

Da quando la strada di Linda si è intrecciata con la psichiatria, conduce una battaglia contro la attuale gestione della salute mentale. Uno dei suoi punti di interesse è la contenzione, l'essere legati al letto nei reparti psichiatrici. Modena è la prima città ad averla abolita. Ma c'è ancora molto lavoro da fare. Si batte affinché nei reparti psichiatrici ospedalieri venga istituita la fondamentale figura dello psicologo: ora c'è solo lo psichiatra ad assistere i malati. Inoltre, secondo Linda, sarebbe necessario che i pazienti psichiatrici ricoverati nei reparti pubblici ospedalieri, soprattutto quelli sottoposti a TSO, avessero un tutore legale e un garante, come avviene per i detenuti.

"La cosa che vorrei dire a chi come me porta avanti una terapia psicologica è, se c'è la possibilità, di informarsi con le dovute attenzioni e cautele. Ad esempio per me sono stati fonte di ispirazione due testi: Indagine su un'epidemia di Robert Whitaker, e Farma & Co. di Marcia Angell. Secondo, quando si va dallo psichiatra, soprattutto nel settore pubblico, bisogna pensare che è uno specialista che ha a che fare prevalentemente con persone che hanno scarsa coscienza di sé. E, quindi non dà nessuna spiegazione ed è abituato a essere in una condizione di assoluta superiorità. Invece bisogna fargli capire di avere gli strumenti per opporsi se necessario, e che si capisce ciò che sta succedendo. La Costituzione stessa prevede il diritto a non curarsi: a meno che non si subisca un TSO, si ha diritto a non prendere farmaci".

Linda non demonizza gli psicofarmaci, ma si ribella contro chi li prescrive senza impegnarsi davvero in una soluzione del problema. Creare drogati di stato è facile. Rendere gli uomini liberi, curarli e aiutarli a stare bene sembra ad oggi essere molto più difficile.