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I trattamenti per l’endometriosi: risponde il ginecologo

La ‘malattia invisibile’, ma dolorosa e invalidante: questa è l’endometriosi, che può presentarsi in molteplici forme e dev’essere curata con trattamenti distinti e adeguati alla specifica situazione. Ne parliamo con Massimo Candiani dell’Irccs Ospedale San Raffaele.

La ‘malattia invisibile’, ma dolorosa e invalidante: questa è l’endometriosi, che può presentarsi in molteplici forme e dev’essere curata con trattamenti distinti e adeguati alla specifica situazione. Ne parliamo con Massimo Candiani dell’Irccs Ospedale San Raffaele.

Le donne con diagnosi conclamata di endometriosi sono almeno 3 milioni in Italia: questa patologia, secondo i dati forniti dal Ministero della Salute, riguarda il 10-15% delle donne in età riproduttiva e interessa circa il 30-50% delle donne infertili o che hanno difficoltà a concepire. Di endometriosi, quindi, si deve parlare sempre di più e con maggiore cognizione.
 
Il riconoscimento delle patologie cosiddette “femminili” è un processo in atto necessario, perché fondamentale per intervenire tempestivamente e migliorare la qualità della vita delle donne: il quadro, infatti, mostra come il picco di questa malattia si verifichi tra i 25 e i 35 anni, ma che i primi sintomi possano comparire anche in fasce d’età diverse. Questo perché la diagnosi arriva spesso dopo un percorso lungo e dispendioso, vissuto non senza ripercussioni psicologiche anche gravi per la donna. Ma quali sono gli esami e le cure disponibili per prevenire e contrastare l’endometriosi? Risponde Massimo Candiani, direttore dell’Unità di Ginecologia-Ostetricia e Medicina della Riproduzione dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

ENDOMETRIOSI: A OGNI DONNA IL SUO PERCORSO DI DIAGNOSI E TERAPIA

Non esiste un’unica forma di endometriosi e non per tutte si può applicare un medesimo protocollo di cura. “Innanzitutto bisogna identificare molto bene la malattia con la visita – premette Candiani –, il più delle volte la patologia non viene “vista”, ossia non viene riscontrata un’endometriosi perché non la si è andata specificatamente a cercare: a livello internazionale si parla di 6, 7 anni di latenza dall’insorgenza dei disturbi a quando la malattia viene diagnosticata e si stima che in media la paziente abbia incontrato 5, 6 anche 7 ginecologi prima di trovare chi è in grado di effettuare la diagnosi.
Gli esami basilari e accurati per individuare l’endometriosi sono l’ecografia transvaginale effettuata con criterio di andare a cercare, ispezionare le zone dove più frequentemente si potrebbe formare. Questo è un ottimo metodo diagnostico ma, per evidenziare se sono coinvolti altri distretti altri organi come vescica, uretere e intestino, allora si può ricorrere anche alla risonanza magnetica. A seconda degli organi su cui si vuole approfondire, si utilizza la diagnostica più pertinente. La visita, l’ecografia e la risonanza costituiscono nel 90% dei le indagini cliniche e strumentali sufficienti per rilevare l’endometriosi
”.

LE TERAPIE FARMACOLOGICHE E LE TERAPIE CHIRURGICHE PER L’ENDOMETRIOSI

Le terapie farmacologiche e le terapie chirurgiche sono di volta in volta decise e ‘adattate’ (come terapie personalizzate) sulla paziente in base alle caratteristiche, all’età, alla sintomatologia associata e gravidanza desiderata – chiarisce il ginecologo dell’IRCCS Ospedale San Raffaele –. Dove sussiste la possibilità conservativa, si evita l’intervento chirurgico compatibilmente con le esigenze della paziente: nella maggior parte dei casi si tratta di terapie farmacologiche non conciliabili con la ricerca di una gravidanza, ossia precludono per quel periodo di trattamento la possibilità di ricerca di gravidanza spontanea. Con l’età, entra in gioco anche il desiderio di prole della paziente: nelle donne over 40 che pensano di ricorrere alla fecondazione assistita, ad esempio, si può eseguire una terapia farmacologica che si ‘sblocca’ al momento della fecondazione assistita. Va sempre ribadito che la terapia, farmacologica o chirurgica che sia, va modulata sulla tipologia di paziente e di endometriosi. Lo specialista deve saper ascoltare le richieste della donna che, a sua volta, deve giungere consapevole che non esistono trattamenti uniformi”.
 
>>>Leggi anche: «Come rimanere incinta, cosa fare in caso di endometriosi»

QUANDO SI RENDE NECESSARIO RICORRERE ALL’INTERVENTO CHIRURGICO?

Nelle donne resistenti alla terapia medica o con controindicazioni – riferisce l’esperto -. Nelle donne con una patologia aggressiva e potenziale rischio di compromissione di funzioni d’organo, come il rene, l’intestino, l’ovaio. In casi particolari si ricorre all’esplorazione chirurgica per porre una diagnosi corretta”.

IN COSA CONSISTE L’INTERVENTO PER CURARE L’ENDOMETRIOSI?

L’intervento mininvasivo è quasi sempre condotto per via laparoscopica – prosegue Candiani – attraverso l’uso di una telecamera che si introduce dall’ombelico e tramite buchini attraverso cui saranno introdotti gli strumenti chirurgici necessari. Questa tecnica permette di avere un decorso post-operatorio più rapido, meno cicatrici e meno dolore.
Le tipologie di intervento sono diverse a seconda della localizzazione dell’endometriosi:
a livello ovarico, con cisti endometriosiche, siamo stati pionieri nella tecnica del laser Co2: questo agisce in modo da non impoverire l’ovaio dai suoi follicoli, dalla sua riserva ovarica. La cisti che danneggia l’ovaio viene eliminata in modo non dannoso così che l’ovaio torni a lavorare: questa tecnica ablativa fa sì che il laser vaporizzi l’endometriosi senza traumi sugli organi. Il laser Co2 è indicato anche per altre localizzazioni.
E’ importante salvaguardare il più possibile organi e tessuti: il rischio di un’operazione eseguita in maniera radicale, ad esempio ricorrendo alla metodologia oncologica, può avere conseguenze a livello neurologico (dal non trattenere le urine e le feci alle difficoltà di deambulazione) anche importanti nelle pazienti al punto che l’operazione può compromettere la salute della donna più della malattia stessa
”.

I TEMPI DI RECUPERO DALL’INTERVENTO CHIRURGICO PER ENDOMETRIOSI

I tempi di recupero possono variare di molto – conclude il direttore dell’Unità di Ginecologia e Ostetricia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele -: quando si parla di modulazione nella scelta terapeutica, si comprende anche la possibilità di eseguire interventi multidisciplinari in equipe con l’urologo o il chirurgo generale, in questi casi la ripresa è più lenta rispetto alla cisti ovarica, in cui la paziente viene dimessa in giornata. Esistono linee guida e protocolli a livello internazionale a tal riferimento ma dobbiamo ricordare che ogni valutazione clinica in ambito medico deve tenere conto della specificità e delle peculiarità che ogni paziente porta con sé”.

Foto apertura: mariakraynova - 123RF