DeAByDay ha intervistato Lodo Guenzi, leader dello Stato Sociale e della superband DPCM Squad che ha la missione di raccogliere fondi per il Coronavirus.
DeAByDay ha intervistato Lodo Guenzi, leader dello Stato Sociale e della superband DPCM Squad che ha la missione di raccogliere fondi per il Coronavirus.DPCM è il nuovo progetto dello Stato Sociale con Max Pezzali. L’idea è semplice: fare qualcosa di concreto per i lavoratori del mondo della musica e dello spettacolo che a causa del coronavirus stanno vivendo un momento di crisi senza precedenti. Nasce cosi la superband DPCM Squad, capitanata da Lodo Guenzi, frontman dello Stato Sociale, con Max Pezzali: insieme a loro tantissimi artisti tra cui Cimini, Eugenio in Via di Gioia, Fast Animals and slow kids, Marco Giallini, J-Ax, Jake la Furia, Emis Killa, La Pina, Pierluigi Pardo, Pinguini Tattici Nucleari, Nicola Savino e Boss Doms. La canzone nata dal progetto si chiama “Una canzone come gli 883”, un brano in cui viene omaggiato l’immaginario delle canzoni di Max Pezzali. Tutti i proventi del brano saranno devoluti al fondo Spotify Covid-19 sosteniamo la musica di Music Innovation Hub, promosso da FIMI. Per saperne di più, abbiamo fatto una chiacchierata con Lodo Guenzi.
Ciao Lodo, come stai?
«Ciao, in estate faccio molta fatica, è la stagione che spreferisco, con la s privativa davanti, faccio fatica a svegliarmi, ma non c’è male».
E’ un’estate strana anche per la musica. E’ uscito DPCM, il nuovo progetto dello Stato Sociale. Di cosa si tratta? So che è stato fatto per dare una mano, per sostenere la musica.
«DPCM è un instant party, Max Pezzali un anno fa mi aveva lanciato la provocazione, tu che sei bravo a fare gli elenchi, e mi aveva chiesto di fare un elenco delle immagini iconiche delle canzoni degli 883. L’ho fatto e ha detto 'Bellissimo'!, però non la canti! Mi ha un po’ friendzonato».
Ti ha friendzonato Pezzali?
«Si, la regola dell’amico! Poi c’è stata la “fine del mondo”, sono stati rimandati i suoi concerti, lui aveva già un San Siro pieno. Pensa a quanto è già "Max Pezzali" questa cosa: il primo stadio che annunci nella tua vita è tutto pieno, annunci una seconda data e si stava riempiendo e scatta la pandemia globale. Abbiamo deciso di far uscire il pezzo per dare un contributo piccolo piccolo ma simbolicamente rilevante alle persone che lavorano dietro a quel concerto, ma dietro ai concerti in generale. Attorno a questa causa si sono stretti diversi amici. Credo che sia un pezzo della prima parte dell’operazione, che è piu difficile da raccontare ma la più necessaria, ossia raccontare che la musica non è una cosa che riguarda il cantante famoso che ha la villa con la piscina, o meglio, riguarda anche lui ma riguarda in gran parte dei lavoratori come i tecnici che lavorano 8 ore al giorno per 200 giorni all’anno magari a chiamata, e in un momento in cui il mondo finisce sono gli ultimi a riprendere a lavorare. C’è un’emergenza reale lavorativa di lavoratori che hanno assolutamente la stessa dignità data dalla fatica di tanti altri. C’è anche il mondo dei festival, dei club, della libera impresa, che eppure fa cultura, che non ha alcun sostegno e che eppure fa cultura e sceglie una strada economicamente difficile. Lo Stato Sociale dà da lavorare a 30 persone perché 300 club hanno scelto di far suonare le band indipendenti invece di chiamare le cover band degli Iron Maiden. Quell’economia e quel lavoro che hanno generato andrebbe tutelato e invece stanno chiudendo qua e là, ad esempio a Milano l’Ohibò. Non è una bella situazione. Abbiamo provato a raccontarlo. Quando le persone si accorgono che ci sono i lavoratori della musica è già un primo passo».
La canzone che citi con Max Pezzali si chiama “Una canzone come gli 883” attualmente in radio. Che rapporto hai con Max Pezzali e con le canzoni degli 883 che rimandano ad un immaginario ben preciso?
«Il mio ricordo di “Hanno ucciso l’uomo ragno” è legato all’inizio delle elementari e i compagni di classe dicevano “Hanno ucciso la bidella”. Era un moto di ribellione punk! Siccome ero gia indie all’epoca, non la volevo cantare perché era troppo pop. Le insegnanti ce l’avevano con noi perché non si deve dire male della bidella. Io Max l’ho capito molto tardi e l’ho capito definitivamente quando l’ho incontrato come persona. Oltre ad essere una persona di strepitosa ed onesta umiltà (l’umiltà e la modestia sono due cose diverse: la modestia puo’ essere artefatta, l’umiltà devi essere umile per davvero), è una persona che ti insegna la cosa più importante per chi vuole fare canzoni, musica, teatro: il talento, diceva qualcuno, è la minore distanza tra quello che fai e quello che sei. Max ha ascolti diversissimi da quello che fa, è appassionato di un sacco di cose che non c'entrano nulla, ma ha capito che è un cantante pop che racconta la sua vita in provincia del mondo. Questa è la sua grandiosità, quando sei te stesso, sei interessante. È grandioso riuscire a mantenere questa cosa anche nel momento del successo. Non tanto perché tu abbia voglia di cambiare ma perché la percezione di te stesso è cosi moltiplicata e ci sono cosi tanti punti di vista su quello che sei che riuscire ad affermare la tua identità e non la chiacchiera attorno ha qualcosa di grandioso. Io ad esempio non mi sento molte volte me stesso per come vengo raccontato».
Ti senti più personaggio che persona?
«Si ma lui è stato piu bravo di me, è evidente. Lui riesce ad essere quella cosa li, lui è Max Pezzali».
DPCM è una parola che ci porta nel mondo della politica. Ormai in questi mesi abbiamo vissuto la presenza mediatica dei politici, che sono un po’ le nuove popstar. Vi stanno rubando il lavoro.
«Mi viene in mente quello spettacolo di Paolo Rossi in cui si lamentava già 20 anni fa che i politici stavano facendo i comici e lui non sapeva piu che cosa fare nella vita. Beh si, sicuramente c’è una grande voglia di esposizione. Diciamo le cose come stanno: nel momento in cui non hai nessun tipo di idee e l’unica chiave attraverso la quale costruisci il consenso è la paura o la sobrietà – ci sono solo questi due elementi – non c’è nessuna idea, nessuno vuole fare una patrimoniale, nessuno vuole eliminare qualsiasi privatizzazione della sanità neanche dopo il coronavirus, nessuno vuole parlare in termini complessi di accoglienza, sto facendo solo degli esempi. Non ci sono le idee e quindi l’unica chiave per costruire un consenso attorno a te è la visibilità. Siamo definitivamente nel mondo dell’apparire, che devo dire la verità, fa venire voglia a chi per mestiere deve apparire come me di stare anche un po’ lontani dal circo ogni tanto, proprio perché dopo un po’ se tutti parlano e tutti dicono delle cose a caso pur di fare rumore, il silenzio non è cosi male».
La consacrazione per lo Stato sociale è arrivata a febbraio 2018 con Sanremo, in quel momento la tua vita è cambiata. C’è stato un consenso popolare molto forte. Che ricordo hai di quei momenti in cui tutto è un po’ cambiato?
«Il ricordo è molto bello e molto esaltante, è stata la gita scolastica più spericolata della mia vita e eravamo molto uniti mentre fuori c’era il putiferio. Mi ricordo la lettera dei cassaintegrati di Pomigliano che ci siamo portati con i nomi sulle magliette che abbiamo indossato sul palco. Hanno scritto questa lettera struggente nella quale dicevano che facevano un picchetto in fabbrica per far votare noi a Sanremo. Se pensi ai problemi che hanno loro quel gesto simbolico è stato strepitoso e io che non riesco tanto a piangere quella volta ho proprio pianto. La mia vita è ovviamente cambiata e ti dirò di più. E’ un successo molto particolare perché arrivi nelle case di tutti. Ne parlavo con Calcutta qualche giorno fa. Io ho a che fare con dei matti perché la popolarità ti porta ad avere persone che sono convinte che stai parlando con loro ad esempio attraverso un post di Instagram e vengono sotto casa perché scoprono dove abiti. Pensano che tu abbia dato loro appuntamento. Esistono i matti. Ecco, il successo di Calcutta che è enorme, riempie i palasport, è un successo sociale nel senso che è conosciutissimo tra persone che escono la sera, che hanno una vita, che hanno degli amici, che hanno follie ma sono follie sociali. Sanremo ti porta a casa di tutti. Anche di quelli che non uscirebbero mai di casa. Anche di quelli che sono convinti che uno da uno schermo parla a te e solo a te. Ho scoperto la follia».
Hai gia fatto di tutto, condotto programmi televisivi, radiofonici, sei stato giudice di un talent show, cosa ti manca?
«Voglio scrivere una serie con un sacco di morti!»
Hanno annunciato da poco la giuria di XFactor. Tu sei stato giudice di X Factor in passato. Cosa ne pensi?
«Mando intanto un grande abbraccio a Manuel Agnelli che quell’anno è stato importantissimo per me. So chi ha fatto le scelte ed è una persona di cui mi fido e che stimo estramemente. Ho buone sensazioni per quest’anno perché secondo me non è più questione di chi si siede a quel tavolo. Si era un po’ esaurito a un certo punto. Si era un po’ esaurito nella mia edizione e nei numeri si è manifestato nell’edizione successiva. Quando abbiamo cominciato noi come Stato Sociale forse c’era uno stato sociale all’anno e non si capiva come potesse nascere, non si capiva come il mercato lo rendesse possibile. E ci stava una trasmissione di cover. Adesso che ogni anno ci sono dieci quindici realtà nuove che riempiono classifiche, vincono dischi d’oro una tramissione di cover è anacronistica rispetto al paese e io credo che ci saranno delle novità in merito. Questa è la sensazione buona che ho».
Ambra ti ha lanciato l’invito durante il primo maggio di preparare lo Stato Sociale per cantare T’appartengo l’anno prossimo a Roma. Lo farai?
«Beh, tu diresti di no ad Ambra?»