Un'antica trazzera nell'entroterra palermitano
Un'antica trazzera nell'entroterra palermitanoIl sentiero della Cannavera racconta una storia della Sicilia poco conosciuta, quella dei mandriani e della vita agreste, dei pastori e dei coltivatori; percorrere questa strada equivale a vivere e sperimentare un turismo alternativo, alla scoperta di un volto dall’isola diverso, ma anche di luoghi insoliti rispetto ai classici, seppur bellissimi, che hanno reso famosa la Sicilia.
Trazzera è il corrispettivo siciliano del termine tratturo, gli antichi sentieri della transumanza percorsi dalle mandrie durante i loro spostamenti stagionali. La Cannavera, che in epoca medievale veniva chiamata via Panormi, oppure Regia trazzera della Cannavera, attraversa le montagne dell’entroterra palermitano, parte dai monti Sicani e raggiunge la conca d’Oro nella valle dello Jato. In epoca medievale il sentiero era una vera e propria via di comunicazione, oggi è uno dei pochi sopravvissuti alla conversione moderna in strade di asfalto; tali sentieri cominciarono a scomparire tra il XIX e il XX secolo, in seguito alla frammentazione dei terreni in latifondi destinati alla proprietà contadina e allo sviluppo della cerealicoltura.
Per riscoprire il percorso della Cannavera bisogna partire da Giacalone, frazione di Monreale, e arrivare a San Giuseppe Jato, seguendo un sentiero di circa 10 chilometri. Una volta usciti fuori dal centro abitato il cammino sale con un tratto in pendenza, inerpicandosi lungo il fianco del monte Renda. Siamo nel bel mezzo del vecchio territorio della riserva reale borbonica, tra alcuni esemplari di lecci che un tempo ricoprivano tutta la zona.
Si continua a salire, fino ad arrivare a un varco tra il monte Renda e il Pizzo dell’Assolicchiata, fino alla portella di Busino, a una quota di circa 975 metri. Da qui si domina un panorama splendido dai colori caratteristici: le macchie di verde si alternano al bianco delle rocce, sullo sfondo dei grigi delle alture circostanti.
Un tempo nell’entroterra siciliano s’incrociavano in ogni direzione percorsi che collegavano villaggi, città, porti, pascoli e coste. L’isola veniva così ciclicamente attraversata dagli spostamenti delle mandrie: in inverno il percorso delle trazzere partiva dagli Iblei, dagli Eri e dall’Etna per dirigersi verso le zone più verdi quali la piana di Catania o verso la costa; il percorso estivo, invece, collegava le regioni alle terre delle Madonie, dei Nèbrodi, dei Peloritani.
Una volta superato il passo, comincia la discesa nella contrada Cannavera; lungo la strada s’incontrano i resti di un antico pagliaio e di un’aia, testimoni della passata vita contadina. A sinistra, dalla cima di uno sperone, si affaccia la masseria Brivatura, ancora oggi utilizzata come ricovero di bestiame. È possibile raggiungere il rudere a piedi, e vedere l’antico abbeveratoio.
I percorsi delineati da muretti di pietra s’inerpicavano tra monti e valli, grotte e torrenti correndo in piano o arrampicandosi sulle alture. In genere i tratturi avevano una larghezza costante, talvolta raggiungevano addirittura i 36 metri, ma potevano trasformarsi in stretti passaggi. Le soste erano scandite dai ‘marcati’, luoghi dove gli uomini e i loro animali potevano fermarsi per riposare e pernottare.
Dopo la fattoria, e dopo aver incontrato e superato una sorgente, una deviazione conduce alla masseria Cannavera, oggi solo un isolato rudere. Le masserie erano il centro organizzativo della vita del latifondo, costruite come corti agricole fortificate dove viveva il signore e tutto il personale. Continuando verso sinistra si prosegue verso la gola, la parte più suggestiva del percorso: il cammino si trasforma in una gradonata ripida che sale con fatica.
Si scende poi nella gola percorrendo la scala della Curia, scavata nella roccia, tra il Pizzo Mirabella e il monte Dammusi e si apre davanti agli occhi la vallata dello Jato; vediamo le rovine della masseria della Procura, una sorta di dogana dove venivano riscosse le decime e i dazi destinati all’arcivescovado di Monreale. Una parete dei ruderi conserva ancora oggi una bifora di fattura orientale, che fa pensare a un’edificazione dell’edificio in tempi antichi. Nel passato la zona era caratterizzata da campi coltivati grazie alla presenza di abbondante acqua; per un periodo un esperimento riuscito portò in Sicilia anche la coltivazione del riso.
Tra gli insediamenti della valle vediamo San Cipirello e San Giuseppe Jato, la meta che chiude il percorso.