Docente in Cina, Sara Platto ha vissuto nel suo appartamento di Wuhan la quarantena più lunga della storia: 76 giorni, trascorsi insieme al figlio e due gatti. Dall’esperienza è nato un libro per ragazzi, edito da De Agostini. L'intervista.
Docente in Cina, Sara Platto ha vissuto nel suo appartamento di Wuhan la quarantena più lunga della storia: 76 giorni, trascorsi insieme al figlio e due gatti. Dall’esperienza è nato un libro per ragazzi, edito da De Agostini. L'intervista.Matteo ha organizzato una festa spettacolare per il 23 gennaio 2020, giorno del suo 12esimo compleanno. Non vede l’ora di divertirsi con gli amici ma, purtroppo per lui, all’alba la città in cui vive, Wuhan, si risveglia blindata. È appena iniziata la più lunga quarantena dell’epoca contemporanea: Matteo trascorrerà i successivi 76 giorni nell’appartamento che divide con la madre Sara, che lavora come docente, fra videolezioni in solitaria e tragicomiche avventure con i gattini Gingy e Deawy. Insomma, il lockdown visto con gli occhi di un adolescente, proprio lì dove tutto è cominciato: è la trama di Buongiorno, Wuhan! Cronache (da casa) di un teenager, due gatti e WeChat durante l'epidemia, scritto da Sara Platto e pubblicato da De Agostini. Un romanzo per ragazzi dove ogni riferimento fatti e persone è decisamente non casuale: oltre a chiamarsi Sara, l’autrice ha figlio di nome Matteo e due gatti. Inoltre vive in Cina da 13 anni e a Wuhan da 8, dove lavora come docente di Comportamento e benessere animale alla Jianghan University.
Nel libro c’è qualcosa di inventato o è tutto vero?
«Un 10% è inventato, giusto all’inizio per dare una connessione agli eventi. Il resto è tutto vero».
Come avete vissuto il lockdown?
«Come ho scritto nel libro, abbiamo cercato di mantenere una positività quotidiana, cosa che in queste situazioni è più un lavoro che un’attitudine. Avendo un figlio di 12 anni a cui dovevo dare sicurezza, serviva ottimismo. Abbiamo mantenuto i contatti con gli amici, in particolare con altri nove italiani che vivono qui, tenendoci su il morale a vicenda grazie alle nostre chat quotidiane».
Anche Matteo è rimasto sempre in contatto con i suoi amici?
«Sì, ho spinto Matteo a mantenere un contatto quotidiano con i suoi compagni di scuola, che per la maggior parte erano evacuati, chi in Australia, chi in America, chi in Europa. Gli ho suggerito di organizzare partite di Dungeons & Dragons online, di telefonare agli amici tramite WeChat, di ideare progetti, così da avere un intrattenimento sociale quotidiano, fondamentale per un adolescente».
Avete vissuto questa situazione per primi nel mondo. Vi sentivate al sicuro?
«All’inizio è stato difficile, perché nessuno sapeva come sarebbe andata. Ma nelle settimane successive, grazie agli amici e all’università, pronta a sostenere i docenti stranieri che avevano deciso di rimanere, mi sono sempre sentita al sicuro. Senza dimenticare la solidarietà da parte dei miei vicini, persone che prima non avevo mai visto e che, quando hanno saputo che eravamo rimasti qui, si sono mossi per aiutarci».
A proposito, perché hai deciso di rimanere a Wuhan?
«Vivo qui da otto anni, il mio lavoro e i miei amici sono qui. Le persone che sono rimaste a Wuhan sono sposate con cinesi o vivono qui da tantissimi anni, gente che ha casa qui. E poi ci sono i nostri gatti, due micioni che abbiamo adottato dopo che erano stati abbandonati e che ora sono parte della famiglia. Non avremmo davvero saputo a chi affidarli. Matteo mi ha subito detto: “Se non possono venire con noi, stiamo qui”».
Il lockdown ha cambiato in qualche modo il rapporto con tuo figlio?
«L’adolescenza di Matteo non si è fermata durante la quarantena: anche tramite chat ci sono stati discussioni e litigi tra amici, di cui mi rendeva partecipe. Spendere 24 ore in 60 metri quadrati con il proprio figlio, vista la chiusura delle scuole, non è facile, ma per noi non è stato strano: io e Matteo siamo stati sempre insieme, perché mi ha sempre seguito nel mio lavoro».
Hai accennato alla scuola. Com’è stato il ritorno sui banchi a Wuhan?
«Molto tranquillo. Qui a Wuhan prima di iniziare le scuole hanno chiesto di fare il tampone agli studenti, ai loro familiari, agli insegnanti e a tutto il personale. All’ingresso degli edifici ci sono poi i termoscanner e, inoltre, due volte al giorno viene misurata la temperatura agli studenti. Sono passate tre settimane e non abbiamo avuto alcun caso. Non si può mai essere sicuri al 100%, però…».
In alcuni Paesi d’Europa sta tornando lo spettro del lockdown. Cosa ne pensi, dalla Cina?
«Quelli fatti in Europa non sono stati dei veri lockdown: la gente usciva, portava fuori il cane più volte al giorno, faceva jogging. Qui a Wuhan per quasi tre mesi non nessuno poteva uscire di casa, io al massimo sono andata fino al cancello del mio residence a ritirare la spesa a domicilio. Questo per 11 milioni di abitanti, con tutti i residence della città “sigillati”: la compartimentalizzazione ha permesso un controllo completo della situazione. Nonostante ciò, io e tantissimi altri abbiamo poi rinunciato alle vacanze. Per un anno, pazienza, siamo rimasti a casa. Invece ho visto che in Italia e in Europa la gente è andata in giro, all’estero, infettando poi familiari, amici e colleghi al rientro. Credo che, al di là delle decisioni del governo, serva senso di responsabilità, che invece è mancato. Il diritto alla libertà passa in secondo piano quando c’è un’emergenza del genere. Le vacanze in Italia, tra l’altro, avrebbero aiutato l’economia del nostro Paese. Senza considerare che gli spostamenti in auto anziché in aereo avrebbero ridotto le possibilità di contagio».
A proposito di lockdown, la prima cosa che hai fatto l’8 aprile, quando è finito?
«Sono andata a prendere il cappuccino da Starbucks! Praticamente di corsa, ma dopo quasi tre mesi ne avevo bisogno... In giro non c’era quasi nessuno, circolavano pochissime macchine, ma già vedere un aereo che passava sopra la mia testa voleva dire che la città aveva ripreso a vivere».
Oltre che docente, sei consulente scientifica per la China Biodiversity Conservation and Green Development Foundation. Che rapporto c’è tra pandemia e animali selvatici?
«Innanzitutto, negli ultimi 30 anni in Asia c’è stato un importante aumento della popolazione. Per fare spazio all’agricoltura, sono state abbattute molte foreste: in un continente dall’elevatissima biodiversità, l’uomo è così entrato in contatto con specie selvatiche da cui normalmente sarebbe stato lontano, esponendosi come ospite per nuovi virus e batteri. Inoltre, nelle fasce più povere della popolazione, che non possono permettersi di comprare manzo o pollo, l’animale selvatico rappresenta una risorsa di carne importante».
Pipistrello incluso...
«Nel sud-est asiatico, in diverse isole del Pacifico e anche in Africa ci sono comunità che utilizzano abitualmente la carne di pipistrello come cibo, insieme a quella di ratto e non solo. Lungo i confini meridionali dalla Cina, poi, c’è un traffico illegale di pipistrelli o parti di essi, utilizzati sia nella ristorazione che nella medicina tradizionale. Il pipistrello viene inoltre usato per il guano: in Vietnam, Cambogia, Thailandia, Filippine e soprattutto Indonesia è normale che nei villaggi gli agricoltori costruiscano dei trespoli per far aggrappare i pipistrelli, di cui poi raccogliere appunto guano, usato a livello mondiale per la produzione di concime. Prova a immaginare: dieci pipistrelli appesi e sotto galline, maiali, capre, etc… La possibilità di trasmissione del virus dall’animale selvatico a quello domestico e dunque all’uomo è elevata».
L’obiettivo della China Biodiversity Conservation and Green Development Foundation è convincere il governo a bandire lo sfruttamento degli animali selvatici, una delle possibili cause della pandemia. Che risultati avete ottenuto finora?
«Abbiamo spinto il governo a proibire il consumo di animali selvatici e siamo riusciti ad eliminare dalla farmacopea della medicina tradizionale cinese il pangolino. L’obiettivo è fare lo stesso con il pipistrello, che può essere serbatoio di un numero elevatissimo di virus, come la pandemia di Covid-19 ha messo in evidenza. E poi, cacciati dall’uomo, diverse specie di pipistrelli sono ormai a rischio estinzione: c’è da considerare l’aspetto ambientale».
Dunque possiamo dire che sconsigli il consumo di pipistrello?
«Decisamente. Anche perché sono vegetariana (ride, ndr). No grazie!».