La prima serie con protagonisti neri, nata dal romanzo "Non ho mai avuto la mia età" di Antonio Dikiele Distefano, schiera tre donne fortissime. La loro missione? «Riequilibrare il caos».
La prima serie con protagonisti neri, nata dal romanzo "Non ho mai avuto la mia età" di Antonio Dikiele Distefano, schiera tre donne fortissime. La loro missione? «Riequilibrare il caos».Daniela Scattolini, Virginia Diop e Beatrice Grannò: tre donne molto diverse per aspetto e temperamento, oggi insieme nel cast di una serie che cambierà la storia del cinema italiano. Zero, serie originale Netflix ispirata al romanzo Non ho mai avuto la mia età di Antonio Dikiele Distefano, aveva bisogno di tre figure femminili che raccontassero il tempo contemporaneo, quello in cui essere neri e vivere a Milano non è più una storia di cambiamento, ma solo il racconto delle normali emotività di ragazzi della generazione Z. Ognuna di loro è arrivata al cast seguendo la propria strada, ma tutte e tre coscienti che il loro personaggio avrebbe scritto un pezzo di storia.
Cos'è Zero
Zero è una serie originale Netflix che verrà trasmessa sulla piattaforma streaming a partire dal 21 aprile 2021, in contemporanea in 190 paesi. La serie italiana è ispirata al romanzo Non ho mai avuto la mia età di Antonio Dikiele Distefano, ma è molto diversa dal libro. Come ha spiegato lo stesso scrittore e sceneggiatore, «I superpoteri sono solo un punto di partenza. Da amante degli anime giapponesi, continuavo a pensare a quanto sarebbe stato incredibile avere un supereroe nero italiano».
Avere protagonisti completamente neri è un punto di svolta nella narrazione cinematografica italiana, ma di per sé le persone che hanno realizzato tutto questo non sono una “novità”. «Zero è il primo progetto in cui viene descritto un contesto normale in cui inserire personaggi di seconda generazione. Vogliamo che Zero sia la prima serie che racconta la normalità: solo quando sarà normale avere serie come queste ci sarà cambiamento».
Le donne di Zero
Accanto a Omar/Zero, interpretato da Giuseppe Dave Seke, è in relazione con tre donne: sua sorella Awa, interpretata da Virginia Diop; la leader silenziosa del gruppo che cerca di proteggere il Barrio, Sara (Daniela Scattolini); e Anna (Beatrice Grannò), l'aspirante architetto di cui si innamora in una sfortunata consegna di pizze. Tre donne distanti tra loro, eppure unite da due cose: la voglia di riequilibrare il caos e lo stesso supereroe in comune, la mamma.
Beatrice Grannò, Daniela Scattolin, Virginia Diop, come siete entrate nel cast di Zero?
Beatrice Grannò: «Ho trovato questa serie molto forte, già nel futuro. Racconta benissimo la comunità e di come il legame vero tra gli amici possa fare la differenza, in cui si capisce bene che il mondo si prende cura di te se tu ti prendi cura di lui. Perché il vero superpotere dei ragazzi di Zero è essere un gruppo».
Daniela Scattolin: «Dopo aver visto il video di Antonio su Instagram ho subito chiamato la mia agenzia chiedendo perché non mi avessero proposta! In realtà ero di qualche mese fuori dall'età richiesta, ma è uno dei progetti che ho desiderato di più. Ho studiato tantissimo per entrare nel mood del personaggio di Sara il più possibile, facendo ricerca. Per me era importante esserci: Zero rappresenta un momento unico».
Virginia Diop: «Anche se avevo già un'agenzia, non ho una grandissima esperienza. Prima di Zero, ho fatto un film con un ruolo da immigrata. Vedere questi ragazzi come me, protagonisti di una serie in cui non dovevamo interpretare immigrati o stranieri, dove eravamo noi i protagonisti, raccontando le storie di persone qualsiasi, mi ha emozionata. Fare un provino su una ragazza che non era un'immigrata o una straniera sembrava quasi un assurdo. Sin dall'inizio avrei voluto il ruolo di Awa. Quando il mio agente mi ha scritto, due giorni prima di un esame all'università, che avevo avuto la parte, è stato super. Ma prima di ottenere il ruolo, Antonio mi aveva scritto un messaggio: "Mi fido di te". Dopo aver girato Zero mi sono detta: adesso si può cambiare la storia del cinema italiano perché non si è mai vista una serie con dei ragazzi neri che raccontano la propria storia».
Come hai lavorato sul tuo personaggio?
B: «Il regalo più grande che si può fare a un attore è farlo recitare avendo un romanzo come riferimento. L'ho subito comprato per capire chi fosse, questa Anna. Doveva incarnare una parte magica, una dimensione semplice, di enorme complicità, quasi fiabesca. Con il suo modo di fare, doveva trascinare Zero in una dimensione sognante, una cosa che penso sia molto femminile. Tutte e tre le protagoniste in fondo cercano di riequilibrare il caos».
Daniela: «Ho sempre analizzato il personaggio secondo le esigenze di Sara. Sta lì, con un senso di protezione per il fratello-amico Momo. Cerca di dominare il gruppo, ma in realtà è più una sovrana silenziosa, che guida. È una sovrana silenziosa. All'inizio la sentivo lontana da me, ma ora io amo Sara. Credo che il suo obiettivo sia sì salvare il Barrio, ma anche mantenere unito il gruppo nel luogo in cui sono cresciuti».
Virginia: «Sono la piccola di casa nella realtà e nella serie ho riportato quello stesso modo di fare, iniziando a calarmi nella parte prima delle riprese, stuzzicando Dave».
Chi è il tuo supereroe?
B: La mia mamma, una grande supereroina. Abbiamo tanti supereroi, ma pochi di questi sono donne. Una grande ispirazione per me è Amy Winehouse, che trasforma la sofferenza in arte.
D: La mia mamma adottiva, Francesca, e quella biologica, che non conosco. Rivedo in loro la forza. Mi hanno dato le lezioni più importanti della mia vita, senza usare le parole, a gesti: fai quello che c'è da fare anche se comporta sofferenza e sacrificio.
V: La mia supereroina è mia madre, che ha affrontato tanti momenti difficili.
Che superpotere vorresti avere?
B: Sicuramente l'ubiquità!
D: Essere più leggera: il mio è il classico carattere “forgive but not forget”.
V: Il teletrasporto perché mi permetterebbe di andare in tutti i posti che preferisco, stare con le persone più lontane e poterlo fare in brevissimo tempo.
Cos'è il razzismo per te? Tre parole e/o aggettivi per definirlo.
B: Non mi sento toccata dal tema del razzismo: preferisco parlare delle discriminazioni subite come donna, un fenomeno che mi fa venire in mente tre parole: tristezza, ingiustizia, ignoranza.
D: Ignoranza, superficialità e xenofobia. C'è questa paura del diverso a prescindere, scatenato da qualcosa che ci fa paura a cui poi si accompagna l'ignoranza.
V: Ignoranza, amarezza e rabbia. Penso agli eventi di Minneapolis, a George Floyd: tutte cose che mi mettono rabbia addosso perché non riesco a capire come una persona possa arrivare a fare questo. Ma c'è anche il razzismo legato al genere e all'orientamento sessuale, come ci ricorda l'aggressione della coppia omosessuale in metro a Roma.
Essere una seconda generazione è un superpotere?
V: Credo sia un grandissimo potenziale che noi tutti abbiamo e che possiamo sfruttare: attraverso questa serie tante persone possono sentirsi rappresentate.
D: Essere invisibili è il vero superpotere! Oggi si può parlare perché c'è Instagram o il web: adesso abbiamo una voce. Il mio essere donna nera ha forgiato il mio carattere, mi ha resa più forte.
Se aveste il superpotere di Zero, se poteste diventare invisibili a piacere, cosa fareste?
B: Nessuno mi vedrebbe più! Ad esempio, amo pattinare e quando lo faccio sento gli sguardi degli altri addosso. Ecco, in quei momenti vorrei essere invisibile. Lo vorrei ma con la clausola di utilizzarlo solo una volta al giorno.
D: Ho due risposte, una pacifica e una da viperetta. La me pacifica userebbe quel superpotere per sparire quando non ho voglia di essere al centro dell'attenzione. La me viperetta userebbe la possibilità di essere invisibile per ascoltare ciò che dicono di me le altre persone quando io non ci sono.
V: Lo utilizzerei per stare da sola, quando ci sono tante persone.