La campionessa bergamasca racconta la vera vita di una campionessa, tra duro lavoro e poca visibilità, in cerca di quel riconoscimento che manca sia ai giocatori che alle giocatrici.
La campionessa bergamasca racconta la vera vita di una campionessa, tra duro lavoro e poca visibilità, in cerca di quel riconoscimento che manca sia ai giocatori che alle giocatrici.«Gli scacchi sono il mio lavoro». Non c'è esitazione nella voce di Marina Brunello nel pronunciare questa frase. La giovane campionessa bergamasca vanta un titolo nazionale conquistato a 14 anni e 2 mesi. A 21 anni è diventata Grande Maestra (la prima italiana a conquistare il titolo), poi Alfiere della Repubblica e nel 2019 è stata la prima connazionale a conquistare anche il titolo di Maestro internazionale assoluto. Traguardi importanti, che però non corrispondono a una retribuzione stabile: guadagni solo se giochi (e vinci) ad alti livelli.
Ma la passione per questo gioco di famiglia non ammette rivali. Si studia (tanto) e quando la testa ti lascia andare, ci si riposa o ci si diverte. Marina corre e gioca a calcetto per mantenersi in forma, perché ci vuole anche il fisico giusto per giocare. Non segue diete particolari. «Si mangia sano, senza impazzire, con un po' di buon senso. Come negli scacchi. Gli scacchi sono pieni di buon senso».
Oggi Marina ha 26 anni e se perde, le brucia ancora e poi fa fatica ad addormentarsi. Sta lì a riesaminare le mosse, a pensare dove ha sbagliato, proprio come Beth Harmon, la protagonista della serie Netflix La Regina degli Scacchi. Che le è piaciuta. Le differenze tra maschi e femmine: «Non ci sono: anche i maschi sono senza contratto». Forse perché nel tennis non ci sono aziende che investono nei giocatori e nei tornei, al contrario di ciò che avviene nel tennis o nel calcio. Colpa della staticità del gioco, dicono da Federscacchi. Perché guardare due persone quasi immobili, che muovono dei pezzi su una scacchiera può sembrare noioso. Ma tra quelle due persone ci sono più emozioni che in un'intera saga letteraria.
(foto di Yuri Garrett)
La tua, sembra una famiglia votata agli scacchi. Tuo fratello Sabino è Grande Maestro e tuo insegnante. Tua sorella Roberta è stata anche vincitrice del campionato italiano femminile del 2006. Da cosa nasce questo grande impegno famigliare?
Mio fratello Sabino ha iniziato tutti noi. Mia mamma non sapeva giocare, ha imparato dopo. Mio padre sapeva le regole e ha mostrato il gioco a mio fratello. Poi c'è stato un corso facoltativo a scuola, a cui lui ha partecipato. Una volta imparato ci ha istruite così da avere qualcuno con cui giocare.
Qual è il primo ricordo che hai di questo gioco?
Penso di aver imparato a 4-5 anni e di aver giocato il mio primo torneo ufficiale prima di andare alle elementari. Ricordo che era agosto. C'eravamo io e quest'altra bambina. Ci siamo sfidate. La cosa divertente è che durante le partite bisognava scrivere le mosse, ma né io né lei sapevamo scrivere. La mia avversaria scarabocchiava in continuazione e la situazione era davvero surreale.
Com'è la giornata di una scacchista come te?
Studio il gioco diverse ore al giorno. Nel tempo libero si fa quello che si vuole.
Oltre allo studio, fai anche preparazione atletica per reggere le partite?
Ogni giocatore fa un po' di sport, ma ognuno fa quello che gli piace. Io corro e il mercoledì gioco a calcetto con gli amici. Si sta attenti all'alimentazione, ma senza diventar pazzi, usando il buon senso. Come negli scacchi.
In che modo?
Una partita non è mai uguale all'altra e anche quando si studia, non si ripeterà mai una partita di torneo in modo identico. Si deve sempre adattare tutto quello che si vede, lo si deve assimilare e bisogna metterci del proprio quando gioca la partita. Il buon senso quindi è molto importante e si applica a tutto. Le regole degli scacchi sono poche, il bridge ne ha molto di più. Il resto è immaginazione, intuito e creatività.
(foto di Yuri Garrett)
Come funziona una partita a scacchi?
Si gioca per una media di quattro ore. Si sta seduti, ma ci si può anche alzare, rimanendo in sala. Bisogna sopportare la tensione della partita. Abbiamo adrenalina, emozioni: c'è uno scambio emotivo tra i due giocatori.
Cioè?
Ci si accorge quando l'avversario è sicuro, quando è in dubbio, si vede quando è nervoso, quando è contento di aver fatto una bella mossa... È una sfida tra due menti. E poi c'è il cuore, le emozioni, che si cerca di mascherare. Però si riesce a percepirle anche da come si muove un pezzo, da tante piccole cose di cui spesso si accorgono solo i due giocatori.
Qual è la componente più dura delle partite?
Da un lato mantenere la concentrazione molto alta per 4-5 ore e dall'altro gestire la tensione nervosa per tutto il torneo. In un torneo si gioca una partita al giorno per 9, anche 11 giorni. Il ritmo è molto stressante. Se la partita è alle tre del pomeriggio, tutta la giornata ruota attorno a quel momento. La mattina ci si sveglia, sperando di essere in tempo per la colazione. Poi si studia, si pranza e alle tre si gioca fino alle 19-20. Finita la partita, si cena, ma la tensione addosso è ancora alta.
A quel punto che si fa?
Si esce a fare due passi, per smaltire l'adrenalina. Così si va a dormire a mezzanotte, anche all'una. Non è facile addormentarsi se la partita ha avuto varie vicissitudini. Se si fanno tanti errori, si passa dallo stare meglio allo stare peggio, c'è un grosso carico emotivo da gestire. Succede anche di perdere e la testa rimane lì, a capire “perché ho perso?” e “dove ho sbagliato?”. Difficile dire: ci penserò domani. E il giorno dopo si ricomincia, svegliandosi alle 10-11 del mattino. Alla fine del torneo si è molto stanchi.
Hai scelto di studiare psicologia all'università: ti ha aiutato nel tuo gioco?
La verità è che mi piacevano tutte le materie scientifiche, ma per la maggior parte la presenza alle lezioni era obbligatoria. Psicologia non era tra queste. Così mi sono iscritta, pensando anche che in un futuro posso sempre specializzarmi in psicologia sportiva. Sicuramente troverei lavoro, dato che ho anche esperienza come giocatore.
Tu hai uno psicologo sportivo che ti supporta?
No, ma Yuri Garret, il mio manager, è molto bravo. Mi consiglia molti libri.
Come funziona la vita economica di una scacchista?
Dipende da paese a paese, da quanto la federazione sostiene i giocatori e dal loro livello. Una campionessa del mondo guadagna molto bene: i premi in denaro nei tornei di altissimo livello sono molto alti. Chi vince il campionato europeo, riceve circa 30.000 euro. Per il campionato del mondo maschile si parla anche di 500.000. I giocatori più forti del mondo sicuramente non hanno problemi economici. Poi ci sono gli sponsor privati.
I tuoi titoli di Grande Maestro femminile e assoluto ti danno dei vantaggi?
Le mie cariche non hanno un riconoscimento economico, ma se un organizzatore di tornei vuole giocatori forti, fanno la differenza. Si riceve un invito, vengono pagate le spese di viaggio, vitto e alloggio e si riceve un ingaggio.
Si parla di uguaglianza di genere nel mondo del lavoro, ma anche nello sport. Personalità come la calciatrice Sara Gama si battono affinché le atlete ricevano un contratto e possano considerare la propria attività sportiva un vero lavoro. Gli scacchi sono una disciplina riconosciuta dal Coni, le olimpiadi si tengono ogni due anni. Sono uno sport come gli altri. Anche negli scacchi ci sono differenze e mancanza di riconoscimenti?
Dal punto di vista economico no: sono senza contratti anche i giocatori maschi, quindi questo problema è molto più grave nella nostra disciplina. La differenza sta nella visibilità ricevuta da uomini e donne degli scacchi: in questo momento il livello maschile è più alto di quello femminile perché sono molti di più. In un torneo di 100 persone, le ragazze sono sempre tre o quattro.
Perché ce ne sono così poche?
È un problema culturale. Fino a quarant'anni fa era strano vedere una donna giocare. Fino a che la società non cambierà, la componente femminile negli scacchi sarà sempre in minoranza.
Hai guardato la serie La Regina degli Scacchi? Che differenze hai colto tra la vita reale e la ficiton?
La serie è fatta molto bene, mi è piaciuta. Fa vedere molto bene la vita del giocatore di scacchi. Ma la parte delle pillole è esagerata, non si potrebbe mai giocare una partita in quelle condizioni. Il doping non esiste nel mondo degli scacchi.
Ah no?
No. Non ci sono sostanze che ti fanno giocare meglio, tranne i betabloccanti che abbassano il battito cardiaco. Sei più tranquillo, ma i danni alla salute sono altissimi. Il vero doping scacchistico è dato dai motori di analisi.
Cosa sono?
Se si ha la possibilità di consultare un motore di analisi su un computer o uno smartphone, si può individuare lo schema vincente. Basterebbe andare in bagno un paio di volte e sarebbe fatta. Per questo oggi i telefonini non sono ammessi. Un'altra differenza con la serie è che la partita finisce nello stesso giorno in cui si inizia, non si mette più la mossa in busta, cosa invece frequente negli anni Settanta.
Hai raggiunto il tuo record Elo nell'agosto 2019: 2400 punti, al 1º posto tra le giocatrici italiane e 67º al mondo. Qual è il tuo prossimo obiettivo scacchistico?
Migliorare. Nell'ultimo campionato online sono arrivata seconda: ora voglio vincere.
Com'è giocare online?
Strano: manca lo scambio emotivo. Un conto è giocare in sala da gioco. con i pezzi veri, un'altra cosa è essere in casa, in un salotto. E poi è più facile barare
Cosa ti piace di più degli scacchi?
Ci sono diversi aspetti. C'è la componente razionale, con cui si cerca di analizzare e scegliere la mossa giusta. Ma spesso, dopo aver valutato ogni scelta possibile, si gioca una mossa che dà un'emozione diversa. Magari riesco a innervosire l'avversario. A volte entra in gioco l'intuito del giocatore: ogni mossa si gioca con emozioni e razionalità.
Cosa non sopporti?
Quando perdi, è dura.
Cosa insegnano gli scacchi?
A prenderti le tue responsabilità. Sei tu che gestisci il tempo, magari giocando le prime dieci messi mosse in un minuto e le successive quindici in un'ora. Impari a perdere, specie all'inizio quando perdi tanto. Quando vinci e hai vinto tu, i complimenti sono tutti tuoi e te li godi. Ti insegnano ad avere un minimo di controllo emotivo, a conoscere il tuo corpo. Se si si è in cattiva forma, si deve avere l'intelligenza di non strafare.
Cosa consiglieresti a chi vuole iniziare a giocare? Si può iniziare a qualsiasi età?
Si può iniziare a qualsiasi età, l'importante è divertirsi. Ci sono vari siti internet e piattaforme su cui esercitarsi come Chess.com oppure Lichess.org o Chess24.come. Per imparare si può leggere un libro, come Il primo manuale degli scacchi di Mikhail Tal e Nikolaj Zhuravlev (Caissa). Chi imparerà ad amare il gioco, continuerà.