Nel 1986 ha fondato Slow Food, movimento che ruota attorno al cibo e che ha fatto della lentezza la sua bandiera. Nel definire questa parola, Carlo Petrini ci spiega anche perché è un concetto che ha a che fare con il rispetto.
Nel 1986 ha fondato Slow Food, movimento che ruota attorno al cibo e che ha fatto della lentezza la sua bandiera. Nel definire questa parola, Carlo Petrini ci spiega anche perché è un concetto che ha a che fare con il rispetto.In pieni anni Ottanta, in un mondo che guardava con occhi lucidi ai fast food, che consumava risorse sempre più velocemente, Carlo “Carlin” Petrini pensava insieme ad altri gastronomi “autodidatti” e visionari come lui il movimento Slow Food. Attorno alla lumachina ormai nota in tutto il mondo, si stringeva l'attenzione delle persone che hanno visto sin da allora il valore della lentezza, soprattutto applicata al cibo.
Chi meglio del patron di Slow Food poteva dunque spiegare cosa significa oggi andare piano, mangiare piano, creare piano? Per il Vocabolario delle Celebrità Carlo Petrini ci dà la sua definizione di lentezza.
La sua definizione di lentezza: cos'è per lei?
Slow, lento. La lentezza oggi è un valore, un’esigenza che la società comincia a giudicare improcrastinabile. Poiché la nuova gastronomia è materia quanto mai complessa, anch’essa non può prescindere dalla lentezza.
Il movimento Slow Food ha fatto della lentezza la sua bandiera, dichiarandolo sin dall’inizio, nel suo Manifesto, e andando ben al di là della rivendicazione di un altro modo di mangiare: «La velocità è diventata la nostra catena, tutti siamo preda dello stesso virus: la fast life, che sconvolge le nostre abitudini, ci assale fin nelle nostre case, ci rinchiude a nutrirci nei fast food».
Slow food quindi ha, in qualche modo, anticipato i tempi...
Non era scontato nel 1986 riflettere sui guasti della velocità, e oggi i rapporti dell’Onu e della Fao ne danno conto, mentre filosofi, sociologi, economisti criticano duramente il nostro modo di vivere superveloce. Non è un caso che oggi, decenni dopo il Manifesto di Slow Food, gli elogi della lentezza si sprechino, si parli di slow life, slow cinema, slow book, slow money,… Invitandoci a rallentare, ci spinge a guardarci intorno con più interesse, a cogliere i dettagli e i sapori del mondo.
Non si tratta di una contrapposizione tra velocità e lentezza, ma piuttosto fra attenzione e distrazione; e la lentezza, a ben vedere, è legata alla capacità di distinguere e valutare, con la propensione a coltivare il piacere, il sapere e la qualità. [Si legge nel manifesto Slow Food, ndr.] «D’altra parte sappiamo da millenni che il pieveloce Achille non raggiungerà mai la tartaruga, la quale esce vittoriosa dalla corsa. Ecco, noi siamo per la tartaruga, anzi, per la più domestica lumaca, che abbiamo scelto come segno di questo progetto. È infatti sotto il segno della lumaca che riconosceremo i cultori della cultura materiale e coloro che amano ancora il piacere del lento godimento. La lumaca slow».
Foto: LaPresse
Quando pensa alla lentezza qual è la parola o l'aggettivo che vi associa nella sua mente?
La parola che associo a lentezza è rispetto: del tempo, delle stagioni, del prossimo, della diversità, delle culture materiali, dei saperi tradizionali e contadini, di metodologie scientifiche diverse. Perché se ci pensiamo bene, la lentezza è appunto legata con la capacità di distinguere e valutare, con la propensione a coltivare il piacere, il sapere e la qualità. Rallentando si riscoprono il rispetto della natura e dell’altro. Secondo il sociologo Franco Cassano: «La crisi, la crescita e la meditazione avvengono nella lentezza, così come solo nella lentezza si percepisce la complessità di un problema».
Cosa l'ha spinta a creare Slow Food?
In quell’aprile del 1986, nuove connessioni si svelarono agli occhi di noi autodidatti della gastronomia, appassionati di cultura materiale, pionieristici rivendicatori del diritto al piacere che stavamo per fondare, di lì a pochi mesi, Arci Gola e, qualche anno più in là, Slow Food. Nuovi ragionamenti uscivano dalle gabbie del pensiero. In seguito finirono nei rivoli più disparati, insieme alle persone che furono protagoniste di quel periodo e che si separarono e riavvicinarono, mettendo in campo altre idee e le loro fondamenta.
Certo, oggi è più facile collegare gli eventi, grazie al senno di poi, ma non si può fare a meno di notare che dal clima e dagli accadimenti di quei mesi si sprigionarono nuove energie che ancora oggi stanno realizzando la rivoluzione del cibo. Una rivoluzione lenta. Il cibo e la sua produzione devono riguadagnare la giusta centralità tra le attività umane, e i criteri che guidano le nostre azioni vanno ridiscussi. Il punto infatti, già da tempo, non è più la quantità di cibo prodotto, bensì la sua qualità complessa, che va dal gusto alla varietà, dal rispetto per l’ambiente, gli ecosistemi e i ritmi della natura in generale, a quello per la dignità umana.
Secondo lei l'uomo ha rinunciato completamente alla lentezza?
La questione è che siamo a un punto di non ritorno, per noi e per il pianeta. Per troppo tempo la nostra civiltà è andata “avanti” lasciando indietro donne, contadini, anziani e indigeni. Ma in realtà saranno proprio loro a segnare la strada per “ritrovarci”, per ritrovare un cibo sano, riscoprire le antiche tradizioni e allontanarci da inquinamento e distruzione delle risorse. Altrimenti non ci sarà futuro.
Cosa si deve fare per riappropriarsi della lentezza, soprattutto a tavola?
I cosiddetti “saperi lenti” nel mondo della produzione del cibo dove predominano i metodi industriali sono considerati il passato e spesso buttati via. Invece rappresentano il futuro del cibo, sono intessuti in una rete di altre conoscenze tradizionali e popolari che vanno salvate e rivalutate, prima di perdere completamente il gusto di vivere in un mondo non a misura d’uomo.
Foto apertura: LaPresse