Dagli esordi con il teatro drammatico alla commedia brillante: per l'attore romano Dario Cassini ciò che succede sul palco è una 'ragione di vita'.
Dagli esordi con il teatro drammatico alla commedia brillante: per l'attore romano Dario Cassini ciò che succede sul palco è una 'ragione di vita'.Come può un ragazzo nato e cresciuto a Napoli durante gli anni del trio Troisi-Arena-De Caro, sfuggire al demone del teatro? Dario Cassini ha portato con sé questo germe a Roma, dove ha iniziato a studiare arte drammatica, per poi debuttare come attore drammatico. Ma è nella comicità che trova alla fine la vera ragione del suo fare spettacolo. Proprio per questo abbiamo scelto lui per definire questa parola magica, ancora carica di suggestione, che attira il pubblico nelle sale dei teatri di tutta Italia. Ecco cos'è lo spettacolo secondo Dario Cassini.
La sua definizione di spettacolo.
Lo spettacolo è sicuramente la mia ragione di vita. Ciò che amo particolarmente, insieme all’effetto, è l’evento che si crea davanti a tre o davanti a 3.000 spettatori. In ogni caso non va preso troppo sul serio. Il primo ricordo del concetto di spettacolo è legato alla prima volta che andai in un teatro napoletano a vedere una commedia di tradizione meravigliosa che si chiama o’Scarfaliett - cioè l'equivalente della borsa dell’acqua calda - che nella Napoli dell’Ottocento veniva raccontata dalla compagnia di Dolores Palumbo. Si respirava un'aria genuinamente campana, meravigliosa, divertente e senza mai una volgarità.
Quando pensa allo spettacolo qual è la parola o l'aggettivo che vi associa nella sua mente?
Tre parole associo al concetto di spettacolo nel mio specifico: applauso, risata ma soprattutto pubblico. Sembra un monologo dei Monthy Pyton che più va avanti più si ingrandisce nei partecipanti. In realtà io vengo dal teatro drammatico, dal cinema drammatico ma ho sposato questa passione enorme, che è quella di divertire e distrarre, rallegrare il pubblico.
Foto: LaPresse
Cosa non deve mai mancare per creare un buono spettacolo?
Che si tratti di una commedia, di un monologo, di una tragedia, di un dramma, è assolutamente obbligatorio un plot narrativo, una storia. Deve esistere una solida struttura del testo e chiaramente occorrono degli “interpreti”. La regia è poi essenziale quando si è molto giovani e si ha bisogno di essere diretti. Questo non significa che in età adulta o matura non sia necessaria la figura del regista, al contrario, soprattutto per il cinema e per le commedie teatrali è fondamentale. Quando si tratta di un monologo, come ultimamente mi sta capitando, direi che l’autogestione del comico nel dirigere se stesso può essere sufficiente.
Cosa pensa sia andato perduto o abbia acquistato il mondo dello spettacolo negli anni?
Senz’altro è cambiato molto da quando io impiegavo due ore a truccarmi - da ragazzo - per interpretare Gaveston diretto da Giancarlo Cobelli, a quando invece arrivo e in camerino mi rendo conto che chiunque verrà, verrà a vedere me. Probabilmente si è acquisita un po’ di leggerezza. Truccarsi è sempre un bel rito, ma è senz’altro ridotto e dimezzato. Si vedono sempre più jeans e sempre meno pellicce e fili di perle. Questo significa che comunque c’è una modernità, un adattamento ai tempi, e questo sicuramente è degno di nota.
Qual è lo spettacolo a cui è più legato?
Io vengo da una famiglia di generazioni di artisti di arte varia ma nel contempo mi ricordo che lo spettacolo degli spettacoli fu vedere la terza replica pomeridiana nella stessa giornata del gruppo cabarettistico de La Smorfia con De Caro, Arena e l’immenso Massimo Troisi a Napoli.
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