Keith Haring approda a Palazzo Reale di Milano con 110 opere: una mostra che ha lo scopo di chiarire il suo rapporto con i vari linguaggi della storia dell’arte.
Keith Haring approda a Palazzo Reale di Milano con 110 opere: una mostra che ha lo scopo di chiarire il suo rapporto con i vari linguaggi della storia dell’arte.All’arte pop e universale di Keith Haring, l’artista simbolo della street-culture newyorkese degli anni ’80, è dedicata la mostra "Keith Haring, about art", visitabile a Palazzo Reale di Milano, dal 21 febbraio al 18 giugno 2017. L’intento della mostra è quello di comunicare ai visitatori il senso profondo e la complessità della ricerca artistica di Keith Haring, mettendo in luce il suo rapporto con la storia dell’arte.
L’esposizione è curata da Gianni Mercurio e prodotta dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale, Giunti Arte mostre musei e 24 ORE Cultura - Gruppo 24 ORE, con la collaborazione scientifica di Madeinart e con il prezioso contributo della Keith Haring Foundation.
Del celebre artista americano, morto a soli 31 anni nel 1990, sono esposte 110 opere, alcune di dimensioni monumentali, altre inedite e altre ancora mai esposte in Italia, provenienti da collezioni pubbliche e private americane, europee e asiatiche.
I lavori di Keith Haring vengono affiancati dalle opere di autori di epoche diverse, a cui l’artista americano si è ispirato, interpretandole con il suo stile unico e inconfondibile, costellato da omini stilizzati e senza volto.
Tra queste opere, appartenenti sia alla tradizione classica, ma anche all’arte tribale ed etnografica e all’immaginario gotico o del cartoonism, ci sono i calchi della Colonna Traiana, i dipinti del Rinascimento italiano, le maschere delle culture del Pacifico e le opere realizzate da Paul Klee, Jackson Pollock e Jean Dubuffet, a rappresentare il Novecento.
Keith Haring non era solo un graffitista: la sua arte è espressione di un’intera controcultura, socialmente e politicamente, impegnata sui temi della seconda metà del Novecento dalla droga al razzismo, dalla minaccia nucleare all’Aids, dalla discriminazione delle minoranze all’alienazione giovanile.
Il progetto comunicativo di Keith Haring è quello di ricomporre i vari linguaggi dell’arte in un unico personale immaginario simbolico.
La mostra è pensata come un allestimento emozionante e denso di citazioni: la prima sezione si intitola “Umanesimo” e vede come prima immagine uno dei suoi omini (Untitled, 1981) con le braccia alzate e le gambe divaricate a ricordare l’Uomo Vitruviano di Leonardo e con il ventre forato, in ricordo dell’assassinio di John Lennon.
Il percorso espositivo prosegue poi con altre sezioni come il regno dell'Immaginario fantastico, che si ispira al gotico medioevale di Bosh, l’Etnografismo, il Moderno e postmodermo e si conclude con Performance, una sala video in cui vengono proiettati filmati delle incursione di Haring nella metro.
La maggior parte delle sue opere non sono state intitolate perché per Haring dipingere era un atto performativo e il dipinto, una volta terminato, non apparteneva più all’artista ma al pubblico; tuttavia un’opera del 1989, realizzata pochi mesi dalla morte per Aids, è stata intitolata Unfinisched Painting: un ultimo grido di dolore per testimoniare di non voler smettere di fare arte.
Foto www.widewalls.ch