La vecchiaia, o settima età, ai tempi del coronavirus, secondo Marco Malvaldi, il papà dei vecchietti del BarLume.
La vecchiaia, o settima età, ai tempi del coronavirus, secondo Marco Malvaldi, il papà dei vecchietti del BarLume.Portano la nostra storia sulla faccia. Le loro rughe ci raccontano di lenti ballati sulle note dei jukebox, abbracci spezzati dalla guerra, film visti sotto un tetto di stelle al drive in, briscole sboccate ai tavolini dei bar. Viene voglia di sfogliarli. Storia per storia. Ruga per ruga.
I vecchi, al tempo della pandemia, sembrano quasi appartenere a un'altra razza. Volano frasi leggere del tipo "muoiono solo gli anziani" sorrette dall'incessante, mediatico martellare – che vorrebbe forse essere tranquillizzante - sull'età non più azzurra delle principali vittime del virus. Eppure, i vecchi, siamo noi. Lo siamo in potenza, se non in atto o in procinto di essere tali. Solo che non ci vogliamo pensare. D'altra parte chi di noi vuole pensare alla morte? Chi ha voglia di ammettere che le probabilità di farsela addosso, a un certo punto dell'esistenza, aumentano esponenzialmente?
Che vecchi saremo, noi? Com'è la vecchiaia che vorremmo? Ne ho parlato con Marco Malvaldi, papà della serie di romanzi editi da Sellerio sui vecchietti del BarLume e narratore brillante e arguto della settima età.
Nella nostra - lunga, densa, bellissima - chiacchierata ci troverete nonni atei, zii parroci, vecchi volanti, coscienze che viaggiano nel tempo e nello spazio, Keith Richards, Pellegrino Artusi, Antonio Di Ciolo, Homer Simpson, Nico Colonna della Smemoranda, i vecchietti del BarLume, naturalmente, e antiche campane della scuola che fu.
Il coronavirus ha decimato una generazione di nonni ... Come spieghi la strage silenziosa degli anziani nelle case di riposo?
«È una conseguenza della poca cura che mettiamo nell'occuparci di certe situazioni. E' paradossale che gran parte dei decessi siano avvenuti nelle case di riposo. I posti dove le persone si dovrebbero prendere particolare cura degli anziani e dove invece è successo esattamente il contrario».
Si è parlato di anziani ai quali è stato impedito il protocollo di cure previsto per lasciare il posto ai “giovani e forti”...
«Da un punto vista medico il negare una procedura di cura, lo scegliere, paradossalmente, chi ha più probabilità di vivere, è una pratica che è sempre esistita. Cioè se io ho 10 posti letto, 10 tende a ossigeno e 20 malati, 10 di quei 20 malati sono morti. Ho un amico che ha lavorato a Kabul in una ONG e mi diceva: "il problema peggiore è quando hai una dose di siero antiveleno e un vecchio e un bambino che ne hanno bisogno: devi decidere chi dei due sopravvive (o meglio, chi dei due muore). È in quel momento che non potrai mai rimediare a quello che fai e quindi cambierai destinazione". Quindi non è tanto questo il problema. Il problema sta in quei 10 letti. Perché quei letti sono 10 e non 20, 50, 100?».
(La Germania ha 28mila posti in terapia intensiva contro i 5mila dell'Italia, n.d. r.)
Cos'è la vecchiaia per te?
«Un privilegio, innanzitutto, perché non è detto che ci arrivi. Se sei vecchio significa che sei stato giovane, sei stato maturo, sei stato anziano. E adesso sei vecchio. Mi piace molto questa parola, “vecchio”. Norberto Bobbio si incavolava quando gli dicevano che era una persona anziana, e diceva "Io sono vecchio, anzi, stravecchio!”».
Qual è il bello di essere anziani?
«Ti rispondo da un punto di vista medico: se chiedi a una persona “quanto sei soddisfatto del modo in cui vivi?” e potessi segnare in un grafico questo in funzione degli anni che una persona ha, uno si aspetterebbe che i giovani fossero molto soddisfatti della loro vita e che, man mano che la vita va avanti, questa soddisfazione cali. In realtà non è esattamente così. Parecchi studi dicono che la soddisfazione che uno prova nella vita è come una specie di parabola. Sei molto soddisfatto a 10 anni. Sei poco soddisfatto a 20-25. Sei pochissimo soddisfatto a 35-40. E poi la curva risale. Verso gli 80-90 anni ti godi la vita in maniera svergognata. Sai dare il giusto peso alle cose».
La vecchiaia ci fa paura perché viene accostata alla fine della vita...
«Una volta ho chiesto a mio nonno, quando era molto molto anziano: "hai paura della morte?”. Lui mi ha risposto: "certo che ho paura. Però la vita eterna mi atterrisce molto di più". Passati i primi 10mila anni nei quali hai imparato tutte le lingue che potevi imparare, sai fare tutti i mestieri che potevi fare, bene o male le persone nuove che conosci sono uguali a tutte le persone che hai già conosciuto poi ....? Poi che fai? E non puoi neanche prendere il culo e andare via? Probabilmente ti rendi conto che una delle bellezze della vita sta proprio nella sua impermanenza».
E tu... hai paura di morire?
«Ho paura della morte, sì, ma non in relazione alla vecchiaia. Ho paura della morte in generale. Mi romperebbe morire ora che ho 46 anni, un figlio piccolo e una moglie stupenda. Man mano che il tempo passa l'infausto evento diventa sempre più accettabile. Quello che mi consola è che credo che un giorno riusciremo a capire che cos'è la coscienza. Magari riusciremo a capire che la nostra coscienza non si limita a "me Marco Malvaldi" o a “te Marianna Monte"».
Quindi credi nell'esistenza di una coscienza al di fuori di noi come persone, come corpi?
«Sì …mi piace pensare che sia così. Ci sono tantissime cose che succedono nei corpi e nelle vite degli altri e che influenzano la nostra coscienza Mi diverte sempre un pensiero... l'idea che un giorno potrei reincarnarmi … la mia coscienza potrebbe tornare in una persona che fra cento anni apre un libro di Marco Malvaldi, lo legge e si diverte un casino. Marco Malvaldi invece non si divertirebbe, quelle cose le ha scritte lui, le sa».
Cosa spaventa più il Malvaldi della vecchiaia?
«Le rughe e i capelli bianchi no, quelli poi ce li ho da quando avevo 20 anni! Quello che mi spaventa di più è la perdita della funzionalità fisica, avere difficoltà a muovermi, correre. Ancora adesso sono in un periodo in cui sto cercando di capire se devo combatterla o rassegnarmi (ride, ndr). Insomma: se devo fare un'ora di ginnastica al giorno o un'ora di meditazione. La perdita di funzionalità mentale no perché tanto se succede non me ne accorgerei. Magari quello dovrebbe più preoccupare gli altri».
La vecchia che vorresti. Mi spiego meglio. Ho letto di recente sul Venerdì la lettera di un'anziana in casa di riposo che si lamentava del fatto di vivere in un regime da caserma, fatto di premure invadenti. Ecco... in questa società di famiglie ridotte all'osso, single, coppie senza figli sembra non esserci spazio per i vecchi, la parte debole. La vecchiaia rischia di diventare un parcheggio a pagamento, più o meno accessoriato a seconda delle possibilità economiche. Esiste un modo per arginare questa deriva? Per rendere i vecchi parte viva e attiva della nostra vita quotidiana, non un peso superfluo?
«Certo che esiste. È una cosa che è sempre esistita ed è quella cosa che si chiama “insegnamento”. Ti faccio un esempio: una delle persone che frequento di più in questo periodo virtuale si chiama Antonio Di Ciolo, è un maestro di scherma che dal 1980 al 2016 ha sempre avuto un allievo medaglia d'oro alle Olimpiadi. In questo momento ha 87 anni e un enfisema polmonare che fa sì che, tutte le volte che parla, ti venga voglia di prenderlo e di fargli la respirazione artificiale perché hai paura che ti muoia davanti. Eppure continua ad andare tutti i giorni in palestra. Lui non insegna. Lui fa in modo che la gente impari. È insieme un insegnante, uno psichiatra, uno psicologo, un ricercatore. È una delle persone più lucide e brave a insegnare che conosca. Ebbene, il fatto è che, e inizio adesso a rendermene conto, Antonio sa e sa fare cose che io non so fare. Entra un bambino in palestra, Antonio lo guarda per una mezzora e poi dice: vedi, quel bimbo ha i genitori separati, probabilmente va bene a scuola ma lo fa per far piacere a uno dei due genitori. Dopo un mese passato in loro compagnia, senza parlarci mai di cose personali, è in grado di leggere dentro ai bimbi a cui insegna. Ho visto bambini autistici entrare nella sua palestra che durante la prima lezione si chiudevano nel sacco e tiravano la corda. In questo momento gareggiano».
Da vecchio ti vedi come uno che si lascia andare liberamente ai piaceri o che invece ligio alle regole?
«Eh … dipende da quello che mi succederà. Finora ho sempre vissuto rifiutandomi di vivere da malato per poi morire sano, un fatto veramente orribile. Ma magari cambio idea, magari la funzionalità fisica avrà il sopravvento».
Che vecchi saremo... noi?
«Accetteremo la vecchiaia solo quando saremo diventati vecchi. Faremo ginnastica, meditazione, ayurvedismo fino all'ultimo momento e, a un certo punto, ci dovremo rassegnare alla coperta di lana, alle pantofole e a rompere i coglioni, ecco. Credo che il modo migliore per diventare vecchi sia vivere bene adesso la propria gioventù o maturità o anzianità. Non so se hai presente la fine di Jumanji. Uno dei personaggi della versione nuova è un anziano che si ritrova in un videogioco suo malgrado, diventa un cavallo in grado di volare e si rifiuta di tornare nel mondo reale: “a 75 anni ho imparato a volare, col cavolo che torno indietro”. Ecco, esistono tanti modi per imparare a volare, a qualsiasi età».
Dedichi "La briscola in cinque" ai tuoi nonni. Come mai? C'è qualcosa nel libro che è ispirato a loro?
«Mio nonno era il ritratto vivente di Ampelio, uguale. Tutto quello che fa e che dice nonno Ampelio lo faceva e diceva mio nonno. Non ho avuto bisogno di inventarmi molto su di lui».
Cosa hai preso da tuo nonno?
«L'incapacità di star zitto quando dovrei. Se fossi vissuto nella Germania di Hitler probabilmente sarei durato 46 secondi!».
Un ricordo, un aneddoto legato ai tuoi vecchi che ti è particolarmente caro.
«Ce ne sono tanti... ti racconto quello che mi ricordo meglio, quello più umoristico. Mio nonno era ateo e viveva in casa con il suo secondo figlio, mio zio, che è don Piero Malvaldi parroco di Forte dei Marmi. Quando le “vecchiette moleste” andavano da mio zio dovevano bussare, non suonavano il campanello perché mio nonno le aveva avvertite “se suoni mi consumi la corrente”, diceva. Un modo elegantissimo per dire “non ti voglio tra i coglioni”. Però mio nonno, che era una delle persone più avare dell'universo, quando compii 18 anni mi telefonò dicendomi “vieni qui, c'ho il regalo per il tuo compleanno”. Io vado chiedendomi “quanto sarà grosso il pacchetto delle caramelle, da 6 o da 12?” perché mio nonno non m'aveva mai fatto un regalo in vita sua. Vedo davanti alla canonica una Reanult Clio, era il 1992, e dico: guarda lo zio s'è comprato la macchina nuova! Arriva mio nonno con un sorriso da un orecchio all'altro e mi fa: “ti garba?”. Io avevo 18 anni e un giorno, non avevo la patente, avevo la macchina. Chiaramente la cosa ebbe il suo contrappasso: tutti i mesi dovevo accompagnarlo a prendere la pensione».
Un'abitudine, una tradizione che porti avanti tramandata in famiglia.
«L'unica cosa tradizionale che mi viene in mente legata alla mia famiglia è un oggetto che ho ereditato da mio nonno. Una campana che il maestro elementare del paese usava per chiamare i bimbi a raccolta. Adesso ce l'ha mio figlio Leonardo».
Come nascono i vecchietti del Bar Lume? Come mai li hai scelti come protagonisti dei tuoi romanzi?
«Ho cominciato a scrivere "La briscola in cinque" quando scrivevo la tesi d'università davanti a uno schermo nero, grigio e sognavo di essere da un'altra parte. Ho immaginato di essere al bar a giocare a carte con gli amici che era il mio desiderio in quel momento. Ma a giocare a carte in un giorno feriale chi ci va? Quindi si parla di vecchietti e di pensionati...».
Tu chi sei fra loro?
«Io sono Aldo, Aldo è come sono io da vecchio».
(Aldo è l'intellettuale del gruppo dei vecchietti del BarLume. Ama la musica barocca, la cucina e ha la fissa di parlare italiano nel modo più corretto possibile, n.d.r. ).
Avrei giurato che tu fossi Ampelio.
«Magari ci diventerò come Ampelio, in vecchiaia!».
Pilade e Rimediotti, invece?
«Sono due personaggi della Commedia Greca: il Cinico e lo Sputasentenze dei caratteri della commedia greca di Teofrasto».
Come spieghi il loro successo?
«Credo che tutti noi abbiamo un nonno o un vecchietto che amiamo. Oppure tutti noi siamo il vecchietto che amiamo (ride, ndr). Parlando della vecchiaia parlo di un paesaggio che prima o poi auspicabilmente la maggior parte delle persone incontra».
Ti capita di giocare a briscola?
«Se mi capita? Ma no che non mi capita, io ci ho sempre giocato, ci gioco tutti i giorni a briscola!».
Sei bravo?
«Non quanto vorrei in realtà, mi ricordo delle carte ma tendo a distrarmi. Un bravissimo giocatore di briscola per esempio e Nico Colonna, il direttore della Smemoranda. Decisamente temibile».
E con chi giochi di solito?
«Eh, ora come ora con mio figlio. Di solito al mare, coi compagni di ombrellone.. In generale in Toscana non è mai un problema trovare qualcuno per giocare a briscola».
Giochi anche ai tavolini dei bar?
«No, perché sono una persona molto maleducata quando gioco a briscola e non sarebbe veramente bello farmi vedere in pubblico».
Cosa ci resterà di questo momento?
«Ho paura molto poco. Sarebbe bellissimo se ci restasse il senso di responsabilità, ma noi italiani il senso di responsabilità lo tiriamo fuori nei momenti eccezionali e poi crediamo di aver fatto abbastanza. Nel dopoguerra, nel dopo bomba, nella catastrofe siamo bravissimi, poi quando c'è da affrontare l'ordinaria amministrazione … ci trasformiamo in Homer Simpson».
E se ti chiedessero di cambiare la tua vita con quella di una persona con chi ti cambieresti?
«Devo dire che io sono molto contento di essere me. Mi reputo fortunato ad avere avuto la vita che ho avuto finora, per cui, se un domani un meteorite mi cascasse addosso… andrei in pareggio. C'è solo una persona con cui mi vorrei cambiare, Keith Richards. Uno che arriva alla sua età, in quella maniera, e che intervistato risponde alla domanda: “Ma lei ha avuto mai problemi con la droga? No ho avuto problemi con la polizia, è diverso”. Uno che ti dice “quando morirò toccherà alle mie figlie sniffare le mie ceneri” deve avere una biologia e un modo di vivere molto particolare. Ecco, non avrei dubbi: non Einstein, non Leonardo, nessun altro. Io sceglierei lui» .
Stai lavorando a qualcosa di particolare?
«Sto lavorando a un saggio sulla causalità... sul perché succedono le cose da un punto di vista matematico, non filosofico. A fine maggio, inizio giugno dovrebbe uscire invece il mio ultimo romanzo, per Sellerio, che si intitola “Il borghese pellegrino” con protagonista Pellegrino Artusi. Il libro tra l'altro parte proprio con una lettura del libro di Paolo Mantegazza, pensa un po'... sulla vecchiaia» .